SAN GALLO, sabato, 29 settembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo l’omelia tenuta oggi da mons. Jozef Michalik , arcivescovo di Przemyśl (Polonia) e vicepresidente del CCEE, in occasione dell’annuale assemblea plenaria dei Presidenti delle Conferenze episcopali in Europa, in corso a San Gallo (Sankt Gallen), in Svizzera.
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Il culto degli Angeli era conosciuto già nell’Antico Testamento e godeva di così grande popolarità, provveniente in parte dagli apocrifi, che si è deciso di trattare tale questione durante i tre Sinodi: di Laodicea (361) e di Roma (492 e 745). In seguito alle serie discussioni è stato concesso il culto liturgico solamente dei tre Arcangeli: San Michele, San Gabriele e San Rafaele, perchè solo di questi tre si trovano esplicite testimonianze nella Sacra Scrittura.
San Giovanni nell’Apocalisse (12, 7 ss) parla della vittoria di Michele e dei suoi angeli sul Drago, che si chiama Diavolo e Satana, che si è messo contro Dio. E’ proprio grazie all’Arcangelo Michele sono venuti: la salvezza, la potenza e il Regno del nostro Dio.
E, siccome, la storia della salvezza si distingue per la continuità ed insegna la fede ricordando gli avvenimenti salvifici, allora fino al giorno d’oggi recitiamo la preghiera a San Michele, chiedendo il suo aiuto e la sua protezione nei momenti particolarmente difficili della storia. Il Papa Leone XIII ha composto una preghiera speciale che, fino al Concilio Vaticano II, i sacerdoti erano obbligati a recitare ogni giorno dopo la Santa Messa.
L’Arcangelo Gabriele conosciamo grazie al Vangelo di Luca, il quale descrive la sua missione particolare e il suo bellissimo dialogo con Maria che rivela il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ma San Gabriele è venerato anche dai Maomettani, i quali credono che il loro fondatore ha ricevuto da Dio, tramite San Gabriele, la missione di fondare una nuova religione.
L’efficacia d’aiuto dell’Arcangelo Rafaele nei momenti di malatia e nel viaggio conosciamo grazie alla figura biblica di Tobia. E anche per noi, instancabili pellegrini, egli può dimostrarsi come un patrono speciale.
Nel passo del Vangelo secondo Giovanni appena proclamato (1, 47-51) il Signore Gesu’ a Natanaele, chiamato “un vero israelita in cui non c’è inganno” rivela il vero incarico degli Angeli di Dio che annunciano e confermano la missione salvifica del Figlio dell’Uomo.
E’ interessante la storia di Natanaele. Gesu’ evidentemente ha posato il suo sguardo su di lui, ha allaciato con lui il dialogo, assai interessante ed importante, che si è concluso con la professione di fede nel Figlio di Dio, ma il nome di Natanaele non si trova nell’elenco dei dodici Apostoli. Forse lui ha ricevuto un’altro incarico oppure aveva bisogno di piu’ tempo per comprendere ed assimilare ciò che è successo durante l’incontro sotto l’albero di fico. Sicuramente, questo incontro doveva essere importante anche per gli altri perché San Giovanni l’ha raccontato in modo così dettagliato.
Nella nostra vita ci sono anche degli incontri con Dio e con le persone, ci sono dei contatti con gli avvenimenti e con le espressioni dette, lette oppure ascoltate che hanno bisogno del tempo per maturare in noi ed acquistare quella forza che ci permette di essere uomini pienamente convinti.
L’antico saggio ebraico diceva che l’uomo sente solamente ciò che vuol sentire e che vede solo ciò che vuole vedere. Quante volte guardiamo la realtà che ci circonda in maniera selettiva? Com’é difficile, a volte, notare ed accattare le cose vere, ma non sempre piacevoli? Come, talvolta, ci nascondiamo o fuggiamo, addirittura, di fronte alla verità che non corrisponde alla nostra visione di vita e ai nostri programmi. Perciò sono così importanti ed utili tutti i nostri incontri, tutti i confronti con le nostre preoccupazioni e con le nostre speranze di avere successo. Sono necessari i colloqui silenziosi con Dio e con gli altri per poter sentire anche ciò che ci dice il Signore e ogni uomo che ci sta vicino, ma anche ciò che ci vogliono trasmettere i segni tei tempi.
Robert Schuman nel “Recherches et Débats” ha scritto: “E’necessario ricordare che l’Europa non può limitarsi solo alle strutture, puramente economiche. Bisogna che essa diventi garante di tutto ciò che rende grande la nostra civiltà cristiana… L’Europa deve riprendere di nuovo il suo ruolo di essere educatore disinteressato per le nazioni che hanno appena conquistato la libertà… Se ci limitiamo a offrirli solamente un aiuto economico e militare, senza dare a loro un esempio di vita, fondato sui principi morali, allora abbiamo fatto una cosa non solo inutile, ma addirittura pericolosa… Se l’Europa non ritroverà la propria coscienza e la consapevolezza della propria responsabilità, se non ritornerà ai principi cristiani di solidarietà e di fraternità, essa non sopravivrà e non si salverà” (30 Giorni, n. 5(2003).
Noi serviamo l’Europa con la nostra riflessione e la nostra cura per le sue sorti, ma bisogna che la serviamo anche con la nostra preghiera, perché il vuoto esistenziale e spirituale che osserviamo sul nostro continente può portare lentamente alla sua scomparsa, a motivo della mancanza delle grandi idee e dei solidi fondamenti morali.