ROMA, lunedì, 1 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Sull’attacco terroristico di domenica 30 settembre contro la parrocchia anglicana di San Policarpo a Nairobi, in Kenya, dove una bomba lanciata contro un’aula di catechismo ha ucciso un bambino di nove anni, John Ian Maina, e ne ha feriti altri otto, interviene con una nota il sociologo torinese Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa promosso dal Ministero degli Esteri italiano.
«Non si tratta di un attacco casuale – spiega Introvigne -, né solo di una ritorsione per il contributo delle truppe del Kenya alle sconfitte subite dalle milizie ultra-fondamentaliste islamiche in Somalia, ma del frutto di una lucida strategia di “pulizia religiosa” che mira a espellere totalmente i cristiani da aree e quartieri a maggioranza islamica, come la parte del quartiere di Pangani a Nairobi dov’è avvenuto l’attacco e dove vivono molti rifugiati somali».
«Nell’identificare i responsabili – precisa ancora Introvigne – non è sufficiente parlare di Shabaab, il Movimento della Gioventù Combattente che rappresenta la parte più radicale del fondamentalismo islamico somalo. L’attentato viene infatti da una delle due fazioni in cui si è diviso nel febbraio 2012 il movimento Shabaab, una fazione che si è perfettamente integrata in al-Qa’ida e ha assunto il nome di AQEA, al-Qa’ida in Est Africa, e che ha anche militanti kenyani. Questo gruppo si è posto sotto la direzione personale del leader internazionale di al-Qa’ida e successore di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri, e ha stipulato nel maggio 2012 un patto di coordinamento operativo con i nigeriani del movimento Boko Haram e AQMI, al-Qa’ida nel Maghreb Islamico, che ha la sua direzione in Mali e opera soprattutto in Libia e in Algeria. La novità è che gli attacchi ai cristiani nell’agenda di al-Qa’ida sono ora al primo posto, e la retorica anticristiana ha assunto toni di una virulenza inaudita».
Che fare, allora? «Ha qualche responsabilità – accusa Introvigne – chi ha voluto far credere, con analisi clamorosamente sbagliate o dettate da calcoli politici ed elettorali, che al-Qa’ida fosse morta con Bin Laden. Da un certo punto di vista, non è mai stata così forte e va fermata sul piano militare, specie in Mali e in Somalia».
«Occorre anche continuare – conclude Introvigne – l’azione diplomatica di sostegno, in cui l’Italia è particolarmente impegnata, al nuovo governo federale della Somalia, che cerca faticosamente di controllare il suo territorio. Ma a questo governo occorre anche chiedere di cambiare gli articoli 2 e 17 della nuova costituzione somala, i quali ripetono due volte che “nessuna religione diversa dall’islam può essere predicata nel territorio della Repubblica Federale di Somalia”. Senza libertà religiosa non ci sarà mai una vera pacificazione».