L'Ad Gentes rilanciato da Paolo VI quindici anni dopo

Quanti pensano che il mondo sia talmente cambiato, tanto che la “missio ad gentes” non ha più senso, sono sconfessati dagli ultimi tre Papi dal 1965 ad oggi

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di padre Piero Gheddo, del Pime

ROMA, venerdì, 19 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Il chiaro orientamento ad gentes del Vaticano II è ripreso e confermato dal magistero ecclesiale post-conciliare fino ad oggi. Quanti pensano o anche affermano che il mondo è talmente cambiato nell’ultimo mezzo secolo, che la “missio ad gentes” non ha più senso, sono sconfessati dai tre ultimi Papi dal 1965 ad oggi.

Il Concilio ha portato grandi e provvidenziali novità nella Chiesa, ad esempio il dialogo all’interno della Chiesa e poi verso le religioni non cristiane; la “collegialità”  nella direzione delle istituzioni ecclesiali; l’apertura verso il mondo e i valori laici; la “medicina della misericordia”, come diceva Papa Giovanni, che prevaleva sulla condanna, la protesta, la denunzia; l’inculturazione della Liturgia nei vari popoli, lingue e culture, ecc.

L’entusiasmo del periodo conciliare veniva da queste e da altre novità. Pochi anni dopo è venuto il travaglio della “contestazione” sessantottina. Sono crollate le certezze, ci siamo divisi anche per motivi politici come s’è detto, ma soprattutto sul concetto stesso di missione alle genti, mentre non pochi missionari andavano in crisi e le vocazioni missionarie diminuivano. Non si sapeva più cos’era la missione, si moltiplicavano i pareri e le ipotesi, mentre la fuga in avanti (o indietro?) di una certa teologia scardinava l’impianto di verità su cui si basa la fede.

Tutto questo non si può certo attribuire al Concilio, che ha dato alla Chiesa una spinta missionaria molto forte. Persino nel primo documento approvato sulla Liturgia (“Sacrosantum Concilium”) si dice che il Concilio “si propone di… rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa” (Proemio); e che la Chiesa stessa è “come segno innalzato sui popoli, sotto il quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi, finchè si faccia un solo ovile e un solo pastore” (n. 2). La Costituzione sulla Chiesa chiama Cristo “luce dei popoli” (LG, 1) e la Chiesa “sacramento universale di salvezza” (LG, 48), definizione ripresa dall’Ad Gentes (n. 1). L’afflato missionario del Concilio è chiaro e forte.

Ma dal Concilio ad oggi la sensibilità per la “missio ad gentes” nelle Chiese locali (certo in quella italiana) è diminuita molto, nonostante le solenni affermazioni di Paolo VI nella “Evangelii Nuntiandi”: “La Chiesa mantiene vivo il suo slancio missionario e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico. Essa si sente responsabile di fronte a popoli interi. Non ha riposo fin quando non abbia fatto del suo meglio per proclamare la buona novella di Gesù Cristo. Prepara sempre nuove generazioni di Apostoli. Lo constatiamo con gioia, nel momento in cui non mancano di quelli che pensano e anche dicono che l’ardore e lo slancio apostolico si sono esauriti e che l’epoca delle missioni è ormai tramontata. Il Sinodo ha risposto che l’annunzio missionario non si inaridisce e che la Chiesa sarà sempre tesa verso il suo adempimento” (n. 53).

“Evangelii Nuntiandi” di Paolo VI (8 dicembre 1975) e “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II (7 dicembre 1990) sono ritenute le encicliche pastoralmente più significative dei due Pontefici, in continuazione al decreto “Ad Gentes”. Scritte a 15 anni di distanza l’una dall’altra, hanno diverse impostazioni e orizzonti; ma sono unite nel dichiarare che la missione della Chiesa è proclamare, annunziare, testimoniare all’umanità la salvezza in Cristo; un’opera di natura religiosa, che porta gli uomini ad incontrare il Figlio di Dio fatto uomo per salvarci. “Vogliamo nuovamente confermare che il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa” (EN, 14).

La EN è il risultato del dibattito al Sinodo episcopale sull’evangelizzazione (Roma, ottobre 1974), durante il quale erano emerse due tendenze: una quasi identificava l’evangelizzazione con la liberazione dei poveri e dei popoli oppressi; per l’altra il Vangelo converte al modello di Cristo, cioè orienta l’uomo a Dio e all’amore del prossimo, e con questo dà il massimo contributo per eliminare le ingiustizie. Il Sinodo non era riuscito a pubblicare un testo unitario e rimandava tutto alla mediazione di Paolo VI.

La EN afferma che l’evangelizzazione ha una finalità specificamente religiosa: liberare l’uomo dal peccato, riconciliarlo con Dio: “La Chiesa collega ma non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo, perchè sa per rivelazione, per esperienza storica e per riflessione di fede, che non ogni nozione di liberazione è necessariamente coerente con una visione evangelica dell’uomo; sa che non basta instaurare la liberazione, creare il benessere e lo sviluppo, perchè venga il Regno di Dio” (EN, 35).

Paolo VI aggiungeva (EN, 36): “La Chiesa reputa certamente importante ed urgente edificare strutture più umane e più giuste… ma è cosciente che le migliori strutture diventano presto inumane se le inclinazioni del cuore dell’uomo non sono risanate, se non c’è la conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in queste strutture e le dominano”.

Negli anni ’70 era forte, anche nel mondo cattolico e missionario, l’idealizzazione dei regimi e movimenti di “liberazione dei poveri”, nati dall'”analisi scientifica” del marxismo, spesso dichiaratamente comunisti. Certa stampa cattolica e missionaria ha attraversato un periodo di ubriacatura ideologica per la Cuba di Fidel Castro, il Vietnam di Ho Chi Minh, la Cina di Mao, i Khmer rossi della Cambogia, le “guerriglie di liberazione” delle colonie portoghesi in Africa, i “sandinisti” del Nicaragua, ecc.

Ero presente come giornalista all’assemblea dei vescovi latino-americani  del Celam a Puebla in Messico (gennaio-febbraio 1979) e ogni giorno frequentavo le conferenze stampa dei vescovi e, poco distante, dei “teologi della liberazione”. Proprio in quel gennaio la Russia aveva invaso e occupato l’Afghanistan. Un giornalista chiede se condannano anche quel colonialismo. I rappresentati dell’associazione dicono che invece è la liberazione del popolo afghano e un passo in avanti del socialismo per conquistare il mondo.

 Nella “Evangelii Nuntiandi” Paolo VI precisava molto bene le caratteristiche che deve avere la “liberazione evangelica” (n. 33): dev’essere basata su “una visione evangelica dell’uomo” (n. 35), “esige una necessaria conversione del cuore” (n. 36), “esclude la violenza” (n. 37); la Chiesa deve poter dare “il suo contributo specifico” (n. 38), richiede che siano rispettati “i fondamentali diritti dell’uomo, fra i quali la libertà religiosa occupa un posto di primaria importanza” (n. 39).

Nessuna di queste caratteristiche della “liberazione evangelica” era presente nei regimi e movimenti che avevano suscitato tante indebite speranze e caloroso sostegno anche da parte di cattolici: ma Paolo VI non fu ascoltato. La storia ha poi giudicato quei movimenti e regimi e ha smentito i “profeti” applauditi, che avevano scelto una “liberazione” presto rivelatasi nuova e peggiore oppressione.

Nei difficili anni settanta e ottanta, E.N. era il documento ecclesiale più importante dopo il Concilio Vaticano II. Presenta la missione essenziale della Chiesa, annunziare Cristo ai popoli, a cui tutto dev’essere finalizzato. L’evangelizzazione è  “vocazione e missione propria della Chiesa, la sua identità più profonda” (n. 14). Tutto il resto, liturgia, sacramenti, preghiera, testimonianza, strutture, diritto, teologia, cultura, assistenza ai poveri e ogni altra realtà all’interno della Chiesa ricevono la loro giustificazione e senso nella misura in cui sono orientati all’evangelizzazione.

“La Chiesa è tutta intera missionaria” dice Paolo VI (n. 59). Verità fondamentale che è facile ripetere come affermazione di principio, ma troppe volte disattesa nella vita delle comunità cristiane! EN afferma che la Chiesa deve essere costantemente rivolta ai non cristiani: “Rivelare Gesù C
risto e il suo Vangelo a quelli che non li conoscono, questo è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore (EN, 51).

Il documento di Paolo VI rappresenta una svolta radicale nell’azione della Chiesa: l’evangelizzazione come primo imperativo, tutto il resto viene dopo. E’ stata recepita questa svolta? Certamente sì nei vertici ecclesiali, nei “piani pastorali” della Cei, che ha orientato la pastorale della Chiesa italiana in senso missionario: da “Evangelizzazione e promozione umana” (1976) fino a “Evangelizzazione e testimonianza della carità” (1990), passando per “Comunione e comunità missionaria” (1986).

Ma nella base ecclesiale c’è ancor oggi la forte tendenza a ridurre l’obbligo religioso di evangelizzare a impegno sociale: l’importante è amare il prossimo, fare del bene, dare testimonianza di servizio. La Chiesa dà spesso un’immagine riduttiva di se stessa, come se fosse un’agenzia di aiuto e di pronto intervento per rimediare alle ingiustizie e alle piaghe della società. Indro Montanelli esprimeva un’opinione diffusa: “I missionari sono ammirevoli e utili quando vanno a curare i lebbrosi ed a portare il progresso fra popoli arretrati; ma se vanno per imporre loro la nostra religione, che neppure noi oggi pratichiamo più, a cosa serve la loro generosità?”.                                           

Paolo VI, parlando del dovere della testimonianza di vita, quindi dell’amore al prossimo, afferma “la necessità di un annunzio esplicito” e spiega: “Anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1 Pt. 3, 15) – esplicitata da un annunzio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La buona novella proclamata dalla testimonianza di vita dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita e le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati…” (EN, 22).

La proclamazione del Vangelo è l’elemento prioritario, almeno come finalità se non cronologicamente, di ogni azione missionaria, che dà coerenza a tutti gli altri elementi (promozione umana, dialogo interreligioso, inculturazione, azioni caritative, ecc.). “L’evangelizzazione conterrà sempre – come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo – anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso” (EN, 27).

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ZENIT Staff

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