di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 20 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Il colle del Celio, oltre ad essere l’asperità territoriale più alta del centro della Capitale, rappresenta uno dei luoghi più suggestivi della cristianità. Qui si stanziarono comunità monastiche e vennero fondati edifici di culto, la cui tradizione risale fin dall’epoca paleocristiana.
Come tutte le costruzioni cristiane sorte in aree storiche di Roma, anche la chiesa di S. Stefano ha sfruttato per la fondazione antiche preesistenze di epoca romana. Inizialmente la sua forma circolare a croce greca fece supporre che potesse essere stata costruita sopra una antica struttura cultuale simile al pantheon (i templi di Venere Ericina o Cloacina o di Ercole Olivario tanto per citare i più famosi), sfruttando dunque la forma circolare delle preesistenze.
Con le indagini archeologiche sono stati risolti alcuni interrogativi (smentendo le ipotesi iniziali) e mettendo in luce una situazione assai più complessa. Gli scavi, avviati nel 1969 al di sotto della pavimentazione, misero in luce alcune strutture che si rivelarono ben presto pertinenti al castrum peregrina, all’interno del quale era inserito un mitreo costruitovi nel 180 d.C. e messo in luce nel triennio 1973/1975.
La funzione del castrum sembra uscita da un quadro politico di uno stato moderno. Capeggiato dal princeps peregrinorum, la struttura era formata dai frumentarii e dagli speculatores, i primi erano parte del corpo di polizia statale (con lo scopo di proteggere la sicurezza dei membri del Senato e dell’Imperatore), mentre i secondi dei veri e propri 007, con il compito di raccogliere informazioni in tutto l’impero allo scopo di tutelarne la stabilità e la sicurezza. L’elemento che rendeva la struttura molto influente era la sua completa autonomia dalle coorti urbane e dalla guardia pretoriana, potendo agire nel completo anonimato per il raggiungimento degli obiettivi. All’interno della struttura, oltre al già citato mitreo, era collocato il tempio di Iuppiter Redux (Giove Reduce) e nelle vicinanze sono stati rilevati i resti di una domus appartenuta alla gens Valeri.
La chiesa venne costruita sotto papa Leone I nel V secolo e i lavori vennero probabilmente iniziati soltanto durante l’ultimo anno di vita. Le indagini presso le fondazioni dell’edificio infatti hanno restituito alcune monete del regno dell’imperatore Libio Severo che iniziò il suo regno nel 461, anno della scomparsa del pontefice. La chiesa venne ultimata sotto il pontificato di Simplicio ed impostata su una pianta a tre anelli concentrici.
Il primo anello, formato da 22 colonne che sorreggono un alto tamburo, delimitano uno spazio centrale con diametro di22 metria sua volta circondato da un secondo anello che funge da collegamento alle quattro appendici (formanti la ‘croce greca’) introdotte da archi a loro volta sorretti da colonne. Le cappelle hanno un’altezza maggiore rispetto alla copertura del secondo anello ed un tempo erano tra loro collegate da quattro corridoi a cielo aperto che formavano contiguità mediante l’apertura di otto porte ad arco che a loro volta immettevano all’interno della chiesa.
L’altare, posto al centro dell’edificio, era originariamente circondato da ricchi arredi marmorei di tipo parietale e pavimentale (come confermato dal ritrovamento dei fori destinati all’alloggiamento dei perni di sostegno). Le colonne del primo anello sono materiale di spoglio proveniente da altre costruzioni di epoca romana, mentre i capitelli in stile ionico sono stati appositamente realizzati nel V secolo. Sotto i pontificati di Giovanni I e Felice IV (prima metà del VI secolo) venne realizzata la decorazione musiva e la messa in opera di marmi pregiati e collocata una cattedra la cui tradizione vuole venne usata da papa Gregorio Magno (manomessa nel XIII secolo con l’eliminazione dello schienale e dei braccioli).
In quest’epoca doveva esistere un monastero dedicato ad Erasmo, in cui si rifugiarono i seguaci di S. Benedetto in fuga da Subiaco a causa dell’invasione longobarda del 601.
Tappa importante fu quella del VII secolo quando nella chiesa vennero trasferite, all’interno della cappella situata nel braccio nord-orientale, le reliquie dei SS. Primo e Feliciano ad opera di papa Teodoro I. Per l’occasione venne manomesso il muro di fondo con la creazione di un’abside, dinanzi alla quale venne collocato un altare arricchito da un paliotto d’argento.
L’abside venne decorata da uno splendido mosaico di gusto e stile bizantino, sfondo color oro e raffigurante i due santi ai lati di una croce gemmata con un clipeo che la sormonta riportante l’immagine del Cristo. A partire dall’XI secolo la chiesa iniziò un lento ed inesorabile declino che portarono sporadici e approssimativi restauri a modificarne l’aspetto originario. Nel XII secolo venne chiuso l’anello più esterno, abbandonate tre delle quattro cappelle (esclusa quella dei SS. Primo e Feliciano) e creato il portico d’ingresso a sei colonne utilizzando materiale di reimpiego.
Nel 1420 la chiesa versava in pessime condizioni e considerata edificio in rovina ed addirittura si fece largo la convinzione (smentita solo nel XIX secolo) che potesse essere un tempio romano dedicato al dio Fauno (definito ‘tempio di Bacco’). Soltanto nell’ultimo quarto del XVI secolo vennero realizzati gran parte degli affreschi ancora oggi visibili da Niccolò Circignani con 24 scene che imitano rilievi scultorei (raffiguranti la vita di S. Stefano) e il ciclo pittorico della ‘strage degli Innocenti’, della ‘Crocifissione di Gesù’ e del martirio del Santo.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.