Strutture termali che diventano luogo di preghiera

Un altro esempio di curvi-linearità romana nella chiesa di San Bernardo alle Terme

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 27 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Tra tutte le chiese e le strutture ecclesiastiche fino ad oggi esaminate, probabilmente la Chiesa di S. Bernardo alle Terme è quella più bistrattata dall’enorme flusso turistico romano, pur trovandosi nel pieno centro cittadino, a due passi dalla vita pulsante e chiassosa della città. Non c’è inoltre da stupirsi se si venisse a conoscenza del fatto che anche molti residenti ignorano la sua esistenza cosi come la sua origine romano-imperiale.

A differenza di molte chiese che si sono stanziate sfruttando le fondazioni o le strutture di templi pagani, San Bernardo ha utilizzato una parte della recinzione più esterna delle famose terme di Massimiano e Diocleziano, il cui nucleo più consistente è stato occupato dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. La struttura circolare su cui venne impiantata nel 1598 la chiesa su iniziativa di Caterina Sforza di Santafiora (le cui spoglie sono state collocate all’interno dell’edificio) era un tempo una delle aule a pianta circolare, posizionate ai due angoli occidentali del recinto esterno delle terme (l’altra si trova lungo via del Viminale e presenta ancora visibile l’antico rivestimento laterizio).

Si è dibattuto in passato su quale possa essere stata la destinazione delle due strutture angolari a pianta circolare. Secondo alcuni potrebbero essere state destinate a spheristerium, luogo in cui i romani eseguivano attività fisiche con l’uso di una palla. Nonostante entrambe le strutture circolari siano state notevolmente manomesse, risulta difficile immaginare come si potesse praticare un simile sport all’interno di ambienti completamente chiusi (escludendo l’oculo e l’ingresso) e così distanti dalle due palestre termali e dai servizi per la cura del corpo. Un’altra ipotesi è quella di una loro destinazione ad uso cisterna, ma l’ipotesi appare decisamente inverosimile per una serie di motivazioni. Sappiamo infatti che la grande cisterna a pianta trapezoidale, detta ‘botte di termini’ (e scelleratamente abbattuta nel 1876) aveva un fronte massimo lungo 91 metri, la cui copertura era sorretta da colonne e, probabilmente in grado di alimentare gran parte del complesso che usufruiva dell’acqua trasportata dall’acquedotto Marcio. Inoltre l’altezza e la circolarità delle due strutture (nonché la mancanza di un impianto di adduzione e conservazione dell’acqua, le cui tracce sarebbero comunque molto evidenti) autorizzano a scartare quanto ipotizzato.

Per trovare una destinazione più verosimile è probabilmente necessario ragionare non tanto sulla forma quanto sulla vicinanza ad altri edifici. Sappiamo infatti che tra l’esedra delle terme (corrispondente ai portici della piazza) e le due aule circolari, erano state posizionate due biblioteche (una di lingua greca e l’altra latina, come era ormai prassi consolidata nella Roma Imperiale) che raccoglievano volumina provenienti dalla Basilica Ulpia (caduta già in disuso all’epoca dell’inizio dei lavori, nel 298 d.C.). Si potrebbe ipotizzare che questo settore prettamente ‘culturale’ delle terme accogliesse il cosiddetto Atrium Libertatis, che comprendeva oltre all’archivio dei censori anche le liste dei cittadini e le tavole di bronzo con le mappe dell’ager publicus, pienamente compatibile con la sua originaria collocazione accanto alle biblioteche delle basilica traianea.

La chiesa fu dedicata a S. Bernardo di Chiaravalle (1090–1153), nato in Borgogna e fondatore dell’ordine dei Cistercensi. La parte esterna è stata negli anni modificata con l’aggiunta di decorazioni, stucchi e paraste, tipiche della cultura decorativa dell’inizio del XVII secolo e circondata dalle strutture del monastero. L’interno presenta un diametro di 22 metri(esattamente la metà del diametro interno del pantheon che misura 43,30 metri) e una copertura a cupola con un oculo protetto da una lanterna decorativa.

La cupola presenta un’interessante decorazione ad esagoni (quella del pantheon è ‘cassettonata’ con quadrati) la cui dimensione decresce all’approssimarsi dell’oculo (decorazione che richiama quella della basilica di Massenzio nel foro). Il tamburo interno è pressoché inalterato salvo per le aperture frontali (una a sinistra destinata ad uso Sacrestia, una al centro destinata al coro e l’altra sulla destra per la cappella di S. Francesco) praticate nel XVI secolo, ma che non ne hanno alterato la spazialità.

Lungo la parete interna del tamburo sono visibili a mezza altezza otto nicchie occupate da altrettante statue di Santi, opera di Camillo Mariani e tipiche dello stile del Manierismo Internazionale, cosi caro allo scultore. La predominanza dei colori chiari che si integrano perfettamente con il bianco delle nicchie e delle statue, si interrompe bruscamente in corrispondenza dei due altari laterali, incorniciati plasticamente dall’uso marmoreo policromo tipico della cultura settecentesca (le colonne in marmo verde sembrano di origine più antica, probabilmente provenienti da alcune edicole decorative dell’impianto termale). Gli altari incorniciano due splendide pale opera di Giovanni Odazzi (1663 – 1731) raffiguranti “San Bernardo in estasi abbracciato a Gesù Crocefisso” (a destra) e lo “Sposalizio mistico di San Roberto conla Vergine” (a sinistra).

Dopo l’altare di San Bernardo si apre un breve corridoio (che corrisponde allo spessore del tamburo dell’aula romana) che conduce ad una ambiente con altari dedicato a S. Francesco, la cui statua è posta sulla destra.

Vale la pena spendere un po’ del proprio tempo per una visita e una preghiera in questo edificio, dove il fascino dell’architettura romana viene esaltato dalla magnifica decorazione interna, il cui connubio ribadisce ancora una volta la grande evoluzione storica della Capitale.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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