“Inquietudine” è la parola chiave per comprendere un santo come Agostino di Ippona. Ieri sera, nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, papa Francesco ha presieduto la messa inaugurale del Capitolo Generale dell’Ordine Agostiniano, tenendo un omelia in cui, mirabilmente, il carisma agostiniano e quello ignaziano si sono intrecciati.
Come ha spiegato il Pontefice, in Agostino si riflettono tre forme di inquietudini: “l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore”.
L’inquietudine della ricerca spirituale si manifesta nella gioventù del santo, che vive un’esperienza “abbastanza comune tra i giovani d’oggi”. Educato cristianamente dalla madre Santa Monica, pur senza ricevere il battesimo, Agostino è però attirato dal manicheismo, pur non rinunciando al “divertimento spensierato”, e pur vivendo “intense amicizie” e conoscendo “l’amore intenso”.
Ancor giovane Agostino sperimenta il successo nella vita come maestro di retorica, diventa un uomo “arrivato”, eppure “nel suo cuore rimane l’inquietudine della ricerca del senso profondo della vita”.
Non è rimasto “anestetizzato dal successo, dalle cose, dal potere”, né si è chiuso in se stesso. Pur commettendo errori e peccati, Agostino “continua a cercare il volto di Dio” e si accorge che “Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo”.
L’uomo di oggi, al pari di Sant’Agostino, è tenuto a chiedere a se stesso: “hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose?”. E ancora: “Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi?”.
In merito all’“inquietudine del cuore”, Agostino si accorge che “quel Dio che cercava lontano da sé, è il Dio vicino ad ogni essere umano”. E il santo non si accontenta e conserva “l’inquietudine di conoscerlo sempre di più e di uscire da se stesso per farlo conoscere agli altri”.
Proprio quando Agostino preferirebbe “una vita tranquilla di studio e di preghiera”, Dio lo chiama ad essere vescovo di Ippona “in un momento difficile, con una comunità divisa e la guerra alle porte”.
Agostino è dunque l’immagine del Buon Pastore che conosce le sue pecore (cfr Gv 10,14), che – come ama ripetere papa Francesco – “sente l’odore del suo gregge” e si mette alla ricerca di quelle smarrite. Non si fa vincere dalla tentazione di “privatizzare” l’amore ma rimane “sempre in cammino”. Vive il virtuoso paradosso di una “pace dell’inquietudine”.
A questo punto il Santo Padre ha provocato le coscienze dei sacerdoti e dei consacrati: “sono inquieto per Dio, per annunciarlo, per farlo conoscere? O mi lascio affascinare da quella mondanità spirituale che spinge a fare tutto per amore di se stessi?”.
Anche tra chi dovrebbe servire Dio in modo esclusivo esiste indubbiamente un rischio di lasciarsi ammaliare dagli “interessi personali”, dal “funzionalismo delle opere”, dal “carrierismo”, ha ammonito il Papa.
Parlando infine della “inquietudine dell’amore”, il Pontefice ha fatto riferimento a Santa Monica e alle lacrime da lei versate per la conversione del figlio, come tante lacrime versano tante mamme di oggi “perché i loro figli tornino a Cristo”.
Da questo punto di vista “Agostino è erede di Monica, da lei riceve il seme dell’inquietudine”, in quanto cerca sempre “senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata, con quella intensità che porta anche alle lacrime”.
Anche davanti a ciò, sorgono spontanee alcune domande: “Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo?”, ha domandato il Papa.
C’è un rischio, in tal senso, che anche la vita di comunità, diventi “comunità-comodità”, al punto che “si può essere in comunità, senza conoscere veramente il proprio confratello”.
Rispolverando una sua espressione ironica, papa Francesco ha parlato di religiosi “zitelloni”, ovvero non fecondi nell’amore al prossimo, laddove “l’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno”.
In conclusione, ha ricordato il Santo Padre, “l’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità pastorale” ed ogni religioso o consacrato deve domandarsi quanto tale fecondità sia forte.