Ricoeur, dall'ermeneutica della persona alla riflessione pedagogica

Intervento di mons. dal Covolo, Rettore della PUL, al Convegno “Paul Ricoeur e ‘Les Proches’. Vivere e raccontare il Novecento”

Share this Entry

Riprendiamo di seguito l’intervento pronunciato questa mattina del Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al Convegno “Paul Ricoeur e ‘Les Proches’. Vivere e raccontare il Novecento”.

***

Ricoeur, dall’ermeneutica della persona alla riflessione pedagogica. Prolegomeni per un’idea di università

Cari Colleghi e Amici,

anzitutto vi do un cordiale benvenuto in quella che viene comunemente chiamata “l’Università del Papa”.

Nella breve riflessione, che svolgerò adesso, vi propongo di osservare la ricerca filosofica di Paul Ricoeur attraverso la lente interpretativa della pedagogia, fino a dedurne alcune possibili implicazioni nell’ambito educativo – che è per me, come educatore, l’ambito più importante di tutti –. E’ evidente che l’idea di università, a cui Ricoeur si riferisce, rientra in questa prospettiva più ampia.

Svolgerò la mia riflessione a partire dal tema della persona, tema privilegiato da Ricoeur, con particolare attenzione ai concetti di alterità e di riconoscimento etico e sociale.

La complessità è certamente uno dei tratti caratteristici della modernità, e ne diviene anche una delle sfide più insidiose, come mostrano le derive che spesso – a partire da questo tema – sono ricadute nella storia del pensiero più recente. L’opera di Ricoeur accoglie autenticamente questa sfida, parte dalla complessità, e vi si getta incontro; non nel tentativo di negarla, né, tantomeno, di “sistematizzarla” in qualche modo. L’atteggiamento di Ricoeur è in se stesso una grande lezione: lasciarsi istruire, prima di istruire, per poter davvero istruire. La sua opera, lo spirito del suo filosofare, non solo testimonia, ma è un impegno all’ascolto responsabile.

Qual è, per contro, la dicotomia che nello svolgersi dell’età moderna ha lacerato la complessità, facendone vessilli per i quali combattere piuttosto che tentare, forse più faticosamente, di rispettare gli aspetti che la nostra ragione, finita per quanto grande, non è stata in grado di dominare?

Secondo il nostro Autore tali aspetti sono da un lato il Cogito cartesiano, in virtù del quale il soggetto si auto-pone come sé; dall’altro la riduzione operata da Nietzsche della soggettività, quale  a mera espressione della volontà individuale. Tra questi due estremi si articola l’ermeneutica del , ovvero il cammino che ricerca l’armonizzazione fra le opposizioni, che ne indaga le origini, che non vuole necessariamente spiegarle, ma che accetta il compito di comprenderle. Il rinvia alla persona, forse la più complessa tra le realtà accessibili, almeno parzialmente, entro il nostro orizzonte. Questa può essere compresa solo riflessivamente, e dunque non può apparire in maniera immediata come la correttezza formale di un calcolo è evidente a chi ne conosca la regola; la risposta alla domanda: “Chi sono?” può giungere solo in seguito a un percorso verso se stessi, segnato dalle tappe che determinano per ciascuno il proprio manifestarsi, e che domandano di interpretare il senso delle proprie manifestazioni.

Ed ecco che la necessità di interpretare per ciascuno il proprio sé rinvia allo spirito ermeneutico dell’Autore, e ci permette di comprendere come proprio quest’anima lo renda immune alle derive variamente riduttive, che spesso hanno afflitto la modernità, e che ancora oggi non sono affatto superate.

Di persona, infatti, si può parlare autenticamente solo in relazione al mondo e alla storia. Da un capo all’altro della ricerca di Ricoeur il tema unificante è l’azione, e il soggetto si fa persona proprio perché  è colto anzitutto nella sua potenza di agire, tanto sul piano individuale quanto su quello sociale. La stessa temporalità, grande capitolo del Novecento filosofico, è indagata a partire dall’azione e da ciò che ne permette la decifrazione, il racconto. Azione e linguaggio in tutte le loro stratificazioni e varianti, dunque, collocano il soggetto nel mondo e nella storia, e ne fanno una persona. Eccoci arrivati a un primo punto che potremmo assumere come paradigmatico: è l’altro, del mondo, della storia, che collabora a farci prendere coscienza del nostro . Ci si rivela allora la natura intrinsecamente relazionale della personalità. Essa ci appare così non come un dato monolitico alla maniera del cogito, e nemmeno svilita a un capriccio volitivo; ci si mostra come tensione di un io che si riconosce persona proprio nell’alterità con se stesso, e che si fa insieme persona nel percorso che lo porta a testimoniare questo riconoscimento attraverso la propria azione. La persona dunque è testimonianza dell’unità che si sa inattuale, ma possibile, e che dunque diviene una meta, una guida, un valore (un valore non negoziabile, giacché ne va con esso la questione di essere per ciascuno una persona). Il è poi ciò che salva la persona dall’omologazione. Infatti, seguendo nuovamente la proposta di Ricoeur, la persona si colloca nella tensione tra idem e ipse. E se il primo si configura come identità immobile e immutabile, quella per la quale siamo numericamente (o anche estensionalmente) uguali a noi stessi per tutta la nostra esistenza, da questa formalità ci salva proprio l’ipse (il se stesso), il filo rosso che ricompone la molteplicità del nostro vissuto e lo rende propriamente nostro.

Si è già accennato al tema del racconto, e vorremmo riprenderlo con un gusto metaforico che forse divertirebbe il nostro autore, per sottolineare che la persona è tale, in quanto si riconosce protagonista di una storia dal finale aperto.

E’  così rivelato il valore centrale che Ricoeur attribuisce alla relazione; la persona umana è costituita da una triplice relazione: con la trascendenza, con se stessa e con il mondo. Affrontando le ultime due, osserviamo come il modo abituale di esprimerle sia l’azione, e che essa sia determinata da un insieme di norme. Proprio a tale riguardo possiamo individuare un fondamentale e eminentemente pedagogico aspetto del pensiero ricoeuriano: l’etica fondata sui formalismi esasperati (come quello kantiano ma non solo) non lascia la persona libera di esprimersi, ma la determina secondo un paradigma precostituito e incurante di ciò che la rende persona: il mondo, la storia, la relega invece al ruolo di comparsa di un racconto già scritto. Dunque non solo l’università, ma qualsiasi sistema che voglia dirsi educativo deve favorire e preparare all’interazione, alla interrelazione con se stessi e col mondo (e, se ha il privilegio di poterlo fare, anche con la trascendenza). Compito dell’educazione è di mostrare la natura non individuale, bensì personale del , che nasce in relazione al mondo che contribuisce a creare.

Perché la fenomenologia scopre, al posto di un soggetto ideale chiuso nel suo sistema di significati, un essere vivente, che ha da sempre come orizzonte di tutti i suoi progetti un mondo, il mondo.

+ Enrico dal Covolo

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione