L’interessante costruzione cristiana posizionata accanto al Palazzo Venezia è la semi sconosciuta Basilica di S. Marco Evangelista. Semi sconosciuta perché al di fuori dei più importanti circuiti turistici romani e seppur al centro di una serie di edifici di grande attrazione come l’Altare della Patria e lo stesso Palazzo Venezia, viene sistematicamente ignorata perche considerato ‘di secondo piano’ rispetto alle attrattive del Campidoglio o dei Fori Imperiali. Ciononostante viene commesso un grave errore da parte di coloro i quali ritengono attribuirgli un’importanza relativa. Sappiamo infatti che l’edificio, oltre ad essere uno dei pochissimi esempi di arte cristiana sorta ai tempi dell’imperatore Costantino, presenta elementi di grande interesse storico-artistico ed apporti di grandi artisti quali Antonio Canova, Melozzo da Forlì o Pietro da Cortona per citarne soltanto alcuni.
In base a specifici studi identificativi, la Basilica di San Marco può considerarsi frutto di una delle prime iniziative di istallazioni cultuali cristiane, tra cui quelle di papa Silvestro all’inizio del IV secolo che istituì sul Colle Oppio due edifici cultuali, intitolati a se stesso e al suo presbitero Equizio. Il pontefice Marco, vissuto soltanto otto mesi al soglio pontificio, chiamò col suo nome una basilica da lui avviata nei pressi della via Lata, l’attuale via del Corso che collega Piazza del Popolo a Piazza Venezia.
Egli ebbe il tempo di costruire due basiliche a Roma, una dentro e l’altra fuori delle mura della città, anche se si ipotizza che riuscì ad erigere soltanto quella in cui venne sepolto, oggi scomparsa, ma situata nell’area del cimitero di Balbina, tra le vie Appia ed Ardeatina.
L’area cultuale dell’odierna basilica di S. Marco venne inserita nel quartiere romano delle Pallacinae (un riferimento il cui significato è ancora avvolto nel mistero) e per capirne origine e significato sono stati necessari molteplici studi nonché alcuni lavori di ristrutturazione che hanno contribuito notevolmente, ed in maniera piuttosto fortuita ed inaspettata, a chiarirne molteplici aspetti. Tra il 1947 e il 1949 infatti, grazie ad alcuni lavori per l’eliminazione di umidità da parte del Genio Civile, venne asportata la pavimentazione di epoca gregoriana della navata centrale, rivelando l’antico impianto della basilica paleocristiana e le fondazioni altomedievali, assai diverse dall’originale impianto. Questo però, nonostante rappresenti uno straordinario elemento di scoperta legato all’accertamento dell’originale impianto planimetrico, rappresenta l’unica fonte di studio, in quanto gli scavi non furono adeguatamente documentati (pare non siano stati documentati affatto) ed oggi abbiamo a disposizione soltanto una esigua testimonianza fotografica realizzata da padre Antonio Ferrua SJ.
Tale documentazione però è riferibile quasi esclusivamente alla sistemazione effettuata dal Genio Civile (non troppo dissimile da quella ancora oggi visibile) e comunque riguardante uno stato dei lavori troppo avanzato per poter dare giudizi del tutto innovativi, fermo restando che le fotografie non forniscono nulla riguardo al contenuto dell’impianto stratigrafico che è andato definitivamente perduto. La scoperta venne pubblicata dallo stesso Ferrua, poi successivamente ripresi dal Krautheimer e dal Corbett, che elaborarono interessanti ricostruzioni cronologiche.
L’antica basilica infatti venne costruita al di sopra di strutture murarie pertinenti ad edifici datati tra il II e il III secolo d.C. La sua impostazione è tipica delle grandi strutture basilicali, costruita in opus vittatum (alternanza di tufelli con un maggior numero di filari di mattoni) e pavimentata in opus sectile, quindi rispettando i criteri dell’architettura e della decorazione romana di quel tempo. Pur vedendosi rispettare planimetricamente anche durante l’alto medioevo, l’impianto paleocristiano presentava due significative varianti architettoniche corrispondenti ai punti terminali delle navate laterali ma non all’altezza dell’abside, bensì nei pressi della facciata. La navata sinistra presentava un restringimento a circa due metri dalla facciata, mentre la navata destra inglobava una sorta di appendice quadrata con pavimento in mosaico ad una quota leggermente più bassa (circa sei cm) rispetto alla pavimentazione della navata centrale. Nonostante l’area presbiteriale fosse stata soltanto supposta grazie al ritrovamento di un gradino in marmo bianco attiguo ad un’area lastricata dello stesso materiale, si ritiene con buona sicurezza che le variazioni delle navate siano prossime all’ingresso e non all’area di culto vera e propria.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.