Quando il Papa, mentre in Siria sembrava imminente da una parte un attacco degli Stati Uniti contro il regime di Assad, data la responsabilità del dittatore di Damasco nello sterminio dei civili con le armi chimiche, e dall’altra parte una azione di difesa del regime da parte della Russia, con la conseguente destabilizzazione dell’intero Medio Oriente ed tutto il quadro dei rapporti internazionali, invitò gli uomini di buona volontà, compresi i non credenti, ad unirsi a lui nel chiedere la preservazione della pace, sentimmo che potevamo assecondarne soltanto in un modo: dando diffusione al suo messaggio, spiegandolo ed invitando a riflettere sui contenuti.
Due punti dell’omelia risultarono particolarmente chiari: in primo luogo, Bergoglio non prendeva posizione in favore di alcuna delle parti in conflitto: questo rientra nella linea cui tradizionalmente la Santa Sede si attiene in presenza di situazioni di guerra.
Tuttavia, nel caso specifico, non mancavano pressioni sul Vaticano dirette a fare propendere il Papa verso un orientamento favorevole alla parte con cui erano schierati i Cristiani, e cioè il regime: il Papa non lo fece, dando prova del fatto che non vi è nessuna differenza tra gli uomini quando la loro esistenza è sacrificata o messa in pericolo; né vi è differenza tra l’oppressione sofferta dall’una o dall’altra fede religiosa.
Non si dimentichi che il conflitto in Siria è sorto per via precisamente dell’oppressione – in questo caso da parte di una minoranza nei confronti di una maggioranza – degli Alawiti sui Sunniti.
Certamente molta attenzione veniva prestata in quel momento alle parole di Bergoglio nell’ambiente musulmano: uno sbilanciamento in favore dei Cristiani da parte del Papa sarebbe stato percepito come la prova di una persistenza nella Chiesa di una mentalità antislamica ed ancora condizionata dal colonialismo.
Il Pontefice, che viene da un Paese un tempo soggetto al dominio diretto, e poi a quello indiretto, di potenze europee, non poteva certamente cadere nell’equivoco, e infatti non vi cadde, mettendo tutte le vittime sullo stesso piano.
Già al tempo della guerra in Vietnam, a Paolo VI che invocava la pace si obiettava – da parte di un certo ambiente tradizionalista cattolico – che i nostri correligionari di quel Paese erano schierati con il regime filoamericano del Sud, ed anzi per un certo tempo vi esercitarono direttamente il potere.
Montini seppe vedere al di là degli aspetti contingenti e specifici di quel conflitto, e ne colse il valore universale: la Chiesa, già all’epoca composta in maggioranza da fedeli dei Paesi in sviluppo, non poteva essere insensibile alla causa della liberazione dei popoli, anche quando questa causa era promossa in nome di ideali politici che non potevano di per sé essere condivisi; ed infatti il Papa venne criticato nel nome dell’anticomunismo.
Oggi questo stesso scenario si ripete nel caso di Bergoglio, il quale però dimostra anch’egli di vedere giusto nella situazione del mondo.
L’altro punto del discorso del Pontefice che richiamò l’attenzione fu la condanna dell’uso delle armi di sterminio a danno dei civili: precisamente su tale questione la guerra poteva allargarsi e degenerare, oppure – superati i limiti posti dalla comunità internazionale – prendere il cammino di una soluzione negoziata e pacifica.
Il voto con cui questa notte il Consiglio di Sicurezza ha sancito la ritrovata unità tra Russi ed Occidentali sul problema della Siria ci da finalmente la certezza che questa strada è stata imboccata: esso determina infatti, in modo indiretto ma anche inevitabile, il cessate il fuoco tra le parti.
Non si può svolgere infatti una ispezione così ambia e dettagliata come quella che inizierà tra poche ore se i funzionari incaricati rischiano di trovarsi nel fuoco incrociato.
Verrà poi la nuova Conferenza di Ginevra a trasformare in situazione “de jure” una situazione “de facto”.
E qui si inserisce la parte più alta ed importante del discorso del Papa, il quale – guardando al di là della Siria – ha detto che un conflitto si poteva chiudere, altri si potevano evitare, ma la situazione del mondo era tale da generarne continuamente di nuovi.
E la situazione generale del mondo è caratterizzata dall’ingiustizia nei rapporti economici.
Aggravandosi la crisi, la tendenza all’identitarismo, cioè alla chiusura egoistica in sé stessa di ogni comunità è destinata a riprodursi, con effetti sempre più destabilizzanti.
La nuova Siria che verrà disegnata a Ginevra sarà divisa per linee etnoreligiose, su confini coincidenti con le linee del cessate il fuoco.
E’ questo il destino del Medio Oriente: gli attuali negoziati costituiranno uno stato arabo in Palestina, accanto allo Stato ebraico di Israele; il Libano è già diviso in una entità sunnita, una cristiana ed una sciita; anche in Iraq si è imposta questa soluzione tra Sunniti, Sciiti e Curdi; e verrà un giorno il turno dei Curdi della Turchia.
Ben venga, dirà qualcuno, lo spezzettamento territoriale, e perfino la pulizia etnica e lo scambio delle minoranze, purché non ci si uccida più.
Rendiamoci però conto che non stiamo parlando di un bene, ma di un male relativamente minore.
Se però questa tendenza si amplia e si generalizza, quante guerre dovremo vedere, già nell’immediato futuro?
E allora ecco la necessità della sintesi, della causa comune cui il Papa chiama i popoli del mondo: perché non lottare insieme contro una ingiustizia globale, anziché dilaniarsi tra vicini che si scoprono un giorno nemici irriducibili?
Siamo tanto lontani dal fare anche noi la stessa fine degli Alawiti e dei Sunniti della Siria?
Se ascoltiamo certi messaggi politici, non ci sentiamo assolutamente immuni da un rischio simile.
Preghiamo la Madonna “Salus Populi Romani”, cui Pio XII affidò la salvezza della Città nell’avvicinarsi del fronte di guerra, e che Francesco I ha fatto portare in piazza San Pietro alla veglia di preghiera, perché ci salvi da una tale insidia.