Una grande ondata di commozione percorse l’Italia nei giorni che seguirono al 17 maggio 1972, dopo l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi. Segno dell’impronta profonda che lasciò quest’uomo mite, ligio al proprio dovere e soprattutto “gioioso”, come ci tiene a ricordarlo don Ennio Innocenti, suo amico e confessore. Calabresi fu ucciso da un commando di Lotta Continua sotto la sua abitazione, dopo un linciaggio mediatico iniziato due anni prima. Il 4 luglio 1970 fu prosciolto dall’accusa di omicidio dell’anarchico Pino Pinelli, precipitato nel 1969 da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio per la strage di piazza Fontana. “Pinelli si è suicidato”, disse Calabresi, ma gran parte della stampa “impegnata” e dell’intellighenzia la pensò diversamente. Dopo il proscioglimento in sede giudiziaria, oltre 800 intellettuali pubblicarono sull’Espresso un messaggio per proclamare che “Calabresi porta la responsabilità della fine di Pinelli”. Il livore complice di quegli anni turbolenti non dissipa la purezza di un personaggio che volle vivere una vita “profondamente, integralmente cristiana”. La Chiesa ha riconosciuto in Luigi Calabresi un Servo di Dio, il suo amico don Ennio Innocenti chiese inoltre che venisse aperta una causa di beatificazione, che è tuttavia rimasta inevasa. In questi giorni in cui la figura di Calabresi è tornata d’attualità per via della fiction Rai in onda il 7 ed 8 gennaio, abbiamo incontrato don Ennio Innocenti. Nel 2008 la casa editrice da lui fondata e diretta, Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis, ha pubblicato la sesta edizione della biografia “Un profilo per la storia: Luigi Calabresi”, scritta da Giordano Brunettin.
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Don Ennio, Lei che conosceva bene Luigi Calabresi, che idea si è fatto della fiction andata in onda sulla Rai?
Don Innocenti: Meritevole nelle intenzioni ma difettosa, non rende per intero la figura di Luigi Calabresi. L’interprete ha un’espressione mortuaria, mentre Luigi era un ragazzo molto gioioso. E poi purtroppo, nella prima parte non viene sottolineata la formazione religiosa di Luigi. Quanto alla seconda parte, le cose vanno un po’ meglio. L’aspetto migliore è che è stata messa in rilievo la connessione tra il circolo anarchico e Feltrinelli, terrorista e organizzatore di attentati. Questo è importante, poiché spiega il motivo per cui Calabresi aveva interesse ad occuparsi di questa faccenda. Purtroppo anche qui non si definisce l’eroismo di Calabresi. Da questa fiction sembra che lui sia stato un poliziotto come tutti gli altri. La differenza traspare giusto un po’ dal confronto con i superiori, che appaiono spaventati e pavidi. Ma questo non basta per evidenziare l’eroismo, che invece il suo biografo – Giordano Brunettin – ha messo in luce, sia nello svolgimento della sua professione, sia in famiglia, sia nel rapporto con il nemico. C’è poi un passaggio in cui si dice che lui è entrato in polizia per passione… Altro che passione, lui è entrato in polizia per la missione!
Come e quando ha conosciuto Luigi Calabresi? Che rapporto ha avuto con lui?
Don Innocenti: L’ho conosciuto tramite padre Virginio Rotondi, perché Luigi faceva parte del movimento Oasi, fondato dal gesuita. Siccome padre Rotondi abitava sulla via dei Laghi, fuori Roma, chiese a me, in quanto assistente di Oasi, di potermi occupare di questo ragazzo. Da qui nacque un rapporto spirituale e poi anche di amicizia strettissima. L’ho guidato fin quando è rimasto a Roma, dopo di che si è mantenuto un rapporto molto stretto per cui mi informava costantemente, per telefono, delle sue cose.
Più di 800 intellettuali hanno indicato nel Commissario Calabresi un assassino; il presidente della Repubblica Ciampi gli ha conferito una Medaglia d’oro al merito civile alla memoria. Posizioni agli antipodi che possono suggerire il dubbio: Calabresi era un repressore o un eroe?
Don Innocenti: Il fatto stesso che il presidente della Repubblica gli abbia conferito la Medaglia d’oro, è la risposta che scioglie ogni dubbio. Il gesto del presidente ha smentito questi 800. Personalmente chiesi a Ciampi di fornirmi la documentazione che gli aveva permesso di conferire questa medaglia, lui mi mandò al Ministero degli Interni, ove mi fu impedito di prenderne possesso per opposizione della vedova di Luigi. Fu così che intervenne l’allora presidente del Consiglio Berlusconi, che acquisì la documentazione e me la girò. Posso dire che Ciampi ha proceduto in base a una motivazione fornita dal Ministero degli Interni che conteneva gli elogi, gli encomi, il riconoscimento dell’attività sempre ligia alla legge di Luigi Calabresi.
La morte di Calabresi poteva essere evitata?
Don Innocenti: La morte di Calabresi si sarebbe potuta evitare, se lo Stato lo avesse protetto. E invece non l’ha fatto. Non l’ha fatto durante il processo per la morte dell’anarchico Pinelli, che servì ai suoi nemici per montar su tutta la canea che voleva farlo falsamente apparire come un assassino. Non l’ha fatto, inoltre, poiché non l’ha protetto con una scorta. È vero che Calabresi la rifiutò, ma come ha giustamente fatto rilevare il prefetto Achille Serra, lo Stato doveva imporla, poiché il pericolo era oggettivo e non doveva essere in dominio della persona accettarla. E così pure, lo stesso Serra aggiunge che il trasferimento di Calabresi da Milano andava attuato senza aspettare il suo consenso. Io stesso lo feci presente all’allora presidente del Consiglio Andreotti, dopo che mi convinsi che la sentenza di quel falso tribunale di Lotta Continua contro Calabresi era stata emessa.
Tra i suoi numerosi libri c’è “Coscienza militare e coscienza cristiana” (ed. Pedanesi – 1984). Alla luce di quanto scrisse in quel volume, come si coniuga la fede cristiana con la vocazione alla professione del poliziotto?
Don Innocenti: Il poliziotto non fa altro che un servizio allo Stato, e lo Stato è un’esigenza di diritto naturale. Bisogna stare attenti a non equivocare le Costituzioni, che sono frutto di ideologie, con lo Stato, che è un’esigenza in quanto c’è bisogno di un’autorità che coordini, che promuova e che punisca chi fa del male. Per cui la polizia, sia nell’attività di promozione e tutela, sia nell’attività di repressione, esercita un servizio essenziale e delicato. Non c’è nessuna antinomia – anzi! – tra l’essere cristiano e l’essere servitore dello Stato, allorquando esso agisca per il bene comune.La concezione per cui l’uomo è autosufficiente come individuo è tipicamente moderna, liberale, e fa a pugni con l’antropologia cristiana. Per quest’ultima l’uomo non può prescindere dalle relazioni sociali, che vanno però governate e c’è quindi bisogno di qualcuno che si assuma questa responsabilità di guida. È da qui che nasce il potere politico, che è un potere di servizio affinché la solidarietà fra i cittadini sia costruttiva, aperta verso gli altri popoli e orientata alla pace. E naturalmente la pace va anche difesa, laddove venga minacciata.
Quali sono secondo Lei le caratteristiche che rendono Calabresi degno di inserirsi nella schiera dei Beati della Chiesa cattolica?
Don Innocenti: Sono quelle indicate espressamente da papa Giovanni Paolo II, il quale ha definito Luigi Calabresi “testimone del Vangelo e eroico difensore del bene comune”. Questo vale già una beatificazione. Se questo scritto di Giovanni Paolo II fosse stato inserito nel decreto, sarebbe bastato da sé per procedere. E dunque c’erano tutte le premesse per aprire il procedimento sulle virtù che io chiesi, dopo esser stato incitato a farlo da alti prelati, i quali sapevano del mio stretto rapporto con Calabresi. Inoltre, la biografia scritta da Brunettin ha ricevuto l’avallo scritto di quattro cardinali. Ma malgrado tutto ciò, il p
rocedimento non è stato aperto.
Quali insegnamenti lascia alle nuove generazioni Calabresi, sul piano umano e religioso?
Don Innocenti: Sul piano umano, basta leggere le lettere che aveva scritto alla fidanzata. C’è poi l’intervista che rilasciò alla rivista Epoca, appena dopo essere uscito dalla scuola di polizia, in cui spiega quali sono i suoi alti ideali. È questo il primo insegnamento che Calabresi lascia ai giovani di oggi che non l’hanno conosciuto. Sul piano religioso, posso dire che tutti i giorni faceva la comunione e, almeno fin quando è rimasto a Roma, recitava il Rosario. E quotidianamente recitava questa preghiera: Ti offro la mia mente per i tuoi pensieri, la mia volontà per i tuoi voleri, i miei sensi per le tue opere: fa che vivendo di Te, operando per Te, io mi trasformi in Te.