Nel clima del Concilio Vaticano II prendono vita due importanti encicliche sociali di Giovanni XXIII, Mater et magistra e Pacem in terris. Due encicliche profetiche. “La Mater et magistra non è semplicemente un documento-ponte verso la successiva e altrettanto importante Pacem in terris, ha una sua valenza propria, autonoma, non strumentale rispetto al magistero successivo. La Mater et magistra e la Pacem in terris si tengono insieme e si complementano come due pilastri di uno stesso edificio”. (7)
La Mater et magistra (MM) promulgata nel lontano 15 maggio 1961, riusciva a leggere già allora i problemi che sarebbero derivati dalla globalizzazione: la Dottrina Sociale della Chiesa elabora una lettura dell’incarnazione dell’evento cristiano centrale per il processo di umanizzazione della realtà sociale. Accanto all’attenzione verso l’ordine naturale delle cose, impresso dal Creatore, prende sempre più rilievo l’attenzione verso il concreto divenire della storia che si svolge sotto l’azione dello Spirito operante nella storia dell’uomo.
L’evangelizzazione del sociale, in un mondo sempre più secolarizzato, viene letta alla luce dello Spirito e svela l’aspetto più profondo e dinamico della creazione e dell’ordine che la regge e la guida verso il suo compimento. La creazione tutta attende cieli e terra nuovi, attende la trasfigurazione, attende il Regno (cfr Romani 8, 19-21).
L’attesa della venuta del Signore da parte dei cristiani diviene così invocazione di salvezza universale, espressione di una fede cosmica che con-soffre con ogni uomo e ogni creatura. La MM insegna che queste sono le valenze dell’attesa del Signore e richiama a una precisa responsabilità i cristiani che devono lasciarsi interpellare dall’accorato e provocante appello lanciato a suo tempo dal gesuita Teilhard de Chardin: “Cristiani, incaricati, dopo Israele, di custodire sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa?”.
Tutto questo perché una creatura come l’uomo attende di essere liberata dalle conseguenze del peccato cui è stata assoggettata e di essere reinserita in un ordine nuovo già fin d’ora, in maniera libera, mediante un processo di sviluppo integrale per passare nella storia “da condizioni meno umane a condizioni più umane” (Populorum Progressio pp, n. 20).
Da quanto detto, emerge che con il Vaticano II la DSC diviene una “bussola” per leggere la realtà sociale e nel suo continuo evolversi quasi caotico: viene coniata la categoria dei “segni dei tempi”. E’ questo un problema antico. I primi a dare vita all’espressione “segni dei tempi” sono stati i Vangeli, identificandolo come un invito alla fede e alla vigilanza (Mt 16,4; Lc 12,54-56).
Giovanni XXIII, nella sua profetica lettura della storia della chiesa, ne ha riproposto con forza l’originario significato: “Facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi, crediamo di scoprire, in mezzo a tante tenebre, numerosi segnali che ci infondono speranza sui destini della chiesa e dell’umanità” (8).
Per Roncalli l’attenzione ai “segni dei tempi” è stato un costante metodo di “lavoro” che trova la sua esplicitazione nell’enciclica Pacem in terris (9). Semplificando, con tale espressione, si intende richiamare e porre all’attenzione quegli eventi e tendenze sociali che in sé contengono elementi di progresso, e che, l’uomo con responsabilità può contribuire a realizzare un ordine sociale più giusto, conforme cioè al progetto di Dio sull’uomo e sulla sua vita terrena.
Il contributo della DSC aiuta a compiere una corretta lettura degli eventi storici e a cogliere in essi i “segni dei tempi”. “È dovere permanente della Chiesa – afferma il Concilio – di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche” (GS, n. 4).
“Leggere” gli eventi sociali e coglierne i “segni dei tempi” in una società dominata dal tecno-nichilismo come “luogo” in cui si esprime l’azione dello Spirito, è compito non facile. Difatti i “segni dei tempi” sono avvolti dalle ambiguità e dalle oscurità proprie di ogni evento umano: possiamo scambiare come “segni dei tempi”, intenzionalità suggerite dall’egoismo e dalla paura, da visioni parziali o distorte della realtà, da travisamenti e strumentalizzazioni delle stesse cognizioni scientifiche.
Questo discernimento richiede una conoscenza di sè, una vita interiore che sappia riconoscere negli eventi storici ciò che è positivo e risultato degli sforzi umani suggeriti dalla ricerca della verità e del bene comune. Nella DSC, come nella vita di ogni cristiano, il discernimento deve essere alimentato dalla Parola di Dio, dall’aiuto dello Spirito Santo, dal Magistero sociale: non esiste la Dottrina Sociale della Chiesa senza questo tripode.
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NOTE
(7) Mario Toso, Congresso Internazionale 50° Anniversario della Mater et Magistra giustizia e globalizzazione: dalla Mater et Magistra alla Caritas in Veritate, p.1
(8) Giovanni XXIII, Humanae salutis, Documento di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961; AAS 54 (1962), pp. 5-13.
(9) Giovanni XXIII, Pacem in terris, nn.21-25 (1963) – AAS 55 [1963] 300-301.