«Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato, si spegne». Allora, per evitare di rimaner vittime di questo pericolo che Cesare Pavese descriveva nel suo diario, è bene che esistano e vengano vissuti bene, con partecipazione e passione, eventi come quello della “Giornata della Memoria”, che da anni ricorda al mondo intero, specie a coloro i quali sono troppo giovani per averne avuto nozione diretta, magari dai propri nonni, che cosa fu l’orribile sterminio nazista di ebrei, rom, omosessuali, avversari politici.
Il passato è come una sorgente che alimenta il fiume del presente e ci spinge verso il domani: è per questo che il futuro di un popolo non è tanto in una massa di cittadini rumoreggianti, ma scarsamente dotati di valori, di conoscenza, di cultura, bensì in una vecchiaia ricca di quel mirabile patrimonio trasmesso da antenati che ha il nobile nome latino di traditio.
La memoria è importante, anzi essenziale: chi dimentica la faccia del male facilmente ne rimane vittima, fino a farsene interprete. Smarrendosi nella selva dei dubbi che tormentano i credenti e con essi quanti, nonostante e a prescindere dal credo professato, non rinunciano ad interrogarsi sul senso e sul fine ultimo della vita.
Tra i molteplici interrogativi, uno é fondamentale e ricorrente: ma dov’è Dio quando il male si compie? Dov’era, ad esempio, negli anni della Shoah? E perché ha lasciato che tutto si compisse? «La sua era una presenza nascosta, come quella della brezza leggera di cui parla la Bibbia raccontando l’incontro con il profeta Elia sul monte Oreb», ha risposto qualche settimana fa, con profonda delicatezza, papa Francesco.
Era sofferente tra sofferenti, nascosto eppure presente anche nel teatro dell’orrore; incarnato nei gesti di piccola e grande umanità che avvenivano quotidianamente nelle baracche dei “colpevoli”, fino a sconfinare, in più d’un caso, in eroismo per amore dell’altro. Per solidarietà e per amore, dunque, ragione che come sottolineava il Pontefice «va al di là di tutte le possibili spiegazioni» ed alla quale si giunge «dopo un lungo pellegrinaggio, talvolta triste, pesante o tenebroso».
Pure a questo serve la memoria: a non smarrire il prezioso scrigno della scienza, a non perdere la fede, a ritrovarla ci pare di averla smarrita. Ancora: la memoria è utile a costruire un sistema di valori ed a tramandarlo di generazione in generazione, evitando proprio che si spezzi il nesso della traditio e che i padri non siano più in grado di parlare ai figli; è indispensabile alla cultura, che è bene costruire nel ricordo acquisendo una capacità unica: porre le notizie in una specie di frigorifero che può essere aperto ogni qual volta occorra.
Nessun dubbio: prendendo a prestito le parole della scrittrice Susanna Tamaro, «è il ricordo che costituisce l’essere umano, lo situa nella storia, nella sua personale e in quella più grande del mondo che gli sta intorno». Per questo fare memoria è vitale: chi non ricorda non vive.
+ Vincenzo Bertolone