PISA, martedì, 25 ottobre 2005 (ZENIT.org).- Monsignor Alessandro Plotti, Arcivescovo di Pisa e Presidente della Conferenza episcopale toscana, insieme ai Comitati cittadino e provinciale di “Scienza e Vita”, hanno lanciato una mobilitazione per fermare l’importazione e l’utilizzo della pillola abortiva RU 486.
La mobilitazione si è resa necessaria dopo che Massimo Srebot, Primario di Ginecologia all’Ospedale Lotti della cittadina toscana di Pontedera, ha annunciato di voler importare dalla Francia la pillola abortiva RU 486.
Secondo un Decreto del Ministero della Sanità del 1997, è possibile l’importazione di medicinali non registrati in Italia se giudicati utili dal medico per un determinato paziente. Dal 2003, la pillola RU 486 è inserita dalla Regione Toscana fra i farmaci esteri, di cui si assume anche la spesa.
Queste due normative permetterebbero all’Ospedale di Pontedera di poter importare e utilizzare la RU 486 senza richiederne la sperimentazione.
Di fronte a questa eventualità l’Arcivescovo di Pisa ha scritto sul settimanale “Toscana Oggi” del 21 ottobre scorso che “la possibilità di praticare l’aborto attraverso il farmaco RU 486 pone serie domande alla coscienza dei credenti, al senso di umanità di tutti i cittadini e alla responsabilità delle autorità civili e del personale addetto ai servizi sanitari”.
Monsignor Plotti ricorda che l’aborto farmaceutico non è “esente da rischi per la donna”, e che “resta la necessità di assistenza sanitaria per chi vi si sottopone”.
Il Presidente della Conferenza Episcopale Toscana, si chiede preoccupato: “se l’idea di un aborto più facile non finisca per indebolire ulteriormente il principio della tutela sociale della maternità, allontanando ancor più l’eventualità di ripensamento della decisione di interrompere la gravidanza”.
Secondo l’Arcivescovo si tratta di “un altro passo avanti sulla via dell’individualismo, che prevale sul senso di responsabilità personale e comunitario”.
Dopo aver sottolineato che “la vita è un dono di Dio che nessuna creatura è autorizzata a sopprimere né a contrastare nel suo naturale sviluppo”, monsignor Plotti ha ricordato che la stessa legge 194 “precisa che l’aborto non può essere considerato un metodo contraccettivo”.
In merito alla vicenda, il professor Massimo Ermini, responsabile del “Centro di Bioetica” dell’Università di Pisa e Coordinatore del Comitato provinciale “Scienza e Vita”, ha scritto una lettera al quotidiano “La Nazione” in cui critica l’Assessore Regionale alla Sanità, il dottor Enrico Rossi, il quale avrebbe autorizzato la prescrizione e quindi l’uso della pillola abortiva RU 486 nell’Ospedale Lotti di Pontedera, accogliendo la richiesta in tal senso del dottor Srebot.
Secondo Ermini si tratta di una autorizzazione derivante da una interpretazione errata e strumentale delle disposizioni legislative in materia ed in particolare del Decreto del Ministero della Salute del 20/04/2005 che consente l’adozione di farmaci non commercializzati in Italia soltanto in mancanza di “una valida alternativa terapeutica”, ossia in casi di assoluta necessità, circostanza che non riguarda evidentemente il farmaco in questione.
Il Comitato “Scienza e Vita” di Pisa diretto dall’avvocato Aldo Ciappi ha diffuso il 24 ottobre un comunicato in cui solleva una serie di problematiche che riguardano la salute delle donne che hanno utilizzato la RU 486.
Nel comunicato si afferma che “in una percentuale di circa il 5% dei casi si rende necessario sottoporre ad aborto chirurgico le donne che avevano assunto la RU 486. Addirittura in alcune casistiche tale percentuale sale all’8% dei soggetti. Nella popolazione femminile cubana il tasso di fallimenti è giunto sino al 16%”.
“Gli effetti collaterali che la donna deve patire dopo aver assunto la RU486 comprendono dolore o crampi (93,2% dei casi), nausea (66,6%), debolezza (54,7%), cefalea (46,2%), vertigini (44,2%), perdite di sangue più prolungate che richiedono una trasfusione nello 0,16% dei casi”, si legge di seguito.
“Questo significa – spiega il comunicato – che se tutte le donne abortissero in Italia mediante la RU486, ogni anno 209 di loro dovrebbero subire una trasfusione. La scheda tecnica della RU486 riporta tra gli eventi avversi anche la sincope nell’1% dei casi. Anche le complicanze infettive non sembrano essere ridotte dall’aborto chimico”.
“Le donne stesse non mostrano di avere una netta preferenza per il metodo RU486 rispetto all’aborto chirurgico, anzi talora avviene il contrario ed addirittura la vista del feto morto si associa a un tasso maggiore di incubi, ricordi, e pensieri intrusivi legati all’esperienza vissuta”, si aggiunge.
Intervistato da ZENIT, l’avvocato Aldo Ciappi, ha auspicato la mobilitazione di altri Comitati “Scienza e Vita”, al fine di fermare questo “orrore”, ed ha denunciato la “deriva antropologica che vede la Regione Toscana all’avanguardia nella sperimentazione di un cultura che nega la legge naturale e che stravolge l’identità degli uomini, delle donne e della famiglia”.