Il fenomeno dei “foreign fighters” assume un contorno nuovo. Gli occidentali che partono per il Medio Oriente non sono soltanto gli aspiranti jihadisti, c’è anche chi abbandona casa e affetti per andare in terre lontane a combattere al fianco dei curdi. E poi, fenomeno emergente ma in espansione, ci sono coloro che si arruolano per difendere la presenza cristiana dalla ferocia del terrorismo islamista.
Lo testimonia la storia di Brett, ventottenne americano il quale ha aderito a una milizia cristiana assira di nome Dwekh Nawsha che ha come propria roccaforte la cittadina di al-Qosh, abbarbicata sulle montagne nel nord iracheno. Per questo giovane, che ha raccontato la sua scelta in un video di Askanews, si tratta di un ritorno in Iraq, visto che aveva combattuto nell’esercito americano tra il 2006 e il 2007 nel corso della seconda guerra del Golfo.
Esperienza, quella vissuta nell’esercito statunitense, che egli definisce “una risorsa fondamentale”, poiché ora può trasmettere a quelli che chiama senza esitazione “fratelli” il suo addestramento e quanto ha appreso “in condizioni molto dure e pericolose”.
Quando parla dei motivi che l’hanno spinto a compiere una scelta così radicale, Brett volge lo sguardo verso il suo avambraccio sinistro e fissa gli occhi sul Cristo coronato di spine che ha tatuato. Dopo di che, risponde con apparente mansuetudine: “Non potevo starmene seduto tranquillo a casa a guardare quello che succede qua, le atrocità, le crocifissioni, gli stupri, la schiavitù sessuale, la gente cacciata di casa. Tutto questo per me era inaccettabile”. Così ha deciso di dare il suo contributo per arginare l’avanzata dell’Isis, “riprendere le città e permettere a questa gente di tornare nelle loro case”.
Brett non è partito da solo. Ha convito cinque amici a seguirlo in questa rischiosa avventura, primo drappello di quella che nella sua mente sarà presto una “legione straniera” cristiana in Iraq e in Siria. Un’unità composta da uomini sospinti solo ed esclusivamente da ragioni ideali. Se spesso gli stranieri arruolati nell’Isis testimoniano di averlo fatto anche per soldi, gli amici di Brett ci tengono a precisare che non sono dei mercenari.
Racconta infatti Louis Park, ex marine giunto fin qui dal Texas: “Non ricevo alcuno stipendio, mi danno da mangiare, mi danno le armi ma tutto l’equipaggiamento che mi serve me lo sono pagato da solo”. E aggiunge: “Credo in questo causa e sono pronto a qualsiasi sacrificio”. Dello stesso avviso anche un altro volontario americano, che si è presentato al Daily Mail con il nome di Park. “Se il mio Governo non li combatte (i terroristi di Isis, ndr), lo faccio io”, ha detto.
La città di al-Qosh non è mai stata occupata dai miliziani dell’Isis, ma la popolazione è fuggita ad agosto, quando i terroristi si sono impadroniti di alcuni villaggi nei dintorni. La sopravvivenza di una delle più antiche comunità cristiane della regione è dunque seriamente in pericolo. Un’ipotesi contro la quale il gruppo di volontari occidentali si batterà fino all’ultimo sangue, come dimostrano le parole di Brett: “Qui stiamo combattendo per la libertà di un popolo a vivere in pace, per far sì che le campane delle chiese possano ancora suonare”.
Al momento, negli Stati Uniti non esiste alcuna legge che proibisca ai propri cittadini di partire per il Medio Oriente e combattere con l’esercito di un altro popolo. Divieto che invece esiste già in Australia, dove il Governo ha così voluto da un lato porre un deterrente all’adesione a organizzazioni terroristiche, dall’altro evitare che l’eventuale cattura dei propri cittadini si trasformi in un’arma di ricatto nelle mani dell’Isis.