Le storie di adozioni sono tutte meravigliose, perchè testimoniano la concretezza dell’accoglienza e dell’amore verso gli ultimi della terra, verso i bambini abbandonati. Ma questa di Michele e della famiglia Cargiolli di Genova contiene qualcosa davvero di straordinario.
Mamma Paola, ex insegnante di religione, e papà Franco, macchinista di treni in pensione, avevano già tre figli nel lontano 1990. Tutta la famiglia aveva la sana abitudine di pregare insieme. E durante una di queste preghiere, il loro figlio più piccolo Marco, che aveva solo 8 anni, chiese a mamma Paola di accogliere Michele, quel bambino con una malattia rara, dato in pericolo di vita, per il quale era stato lanciato un appello dal giornale Avvenire.
La semplicità della richiesta di quel bambino ha colto di sorpresa i genitori, che hanno sentito in cuor loro il dovere della coerenza tra la fede della preghiera e le azioni derivanti dal credo. Il papà Franco ha chiamato il giudice del tribunale dei minori di Milano per avere informazioni su quel bambino. Ma la decisione di procedere con l’adozione di Michele avvenne da parte della famiglia Cargiolli quando il giornale Avvenire pubblicò, due settimane dopo, un secondo articolo dove rilanciava l’appello. A questo punto la decisione fu presa e Michele fu presto accolto da tutta la famiglia.
Michele era un bambino affetto da una grave malattia rara, la sindrome di Lesch-Nyhan (LND) che porta con se gravi conseguenze che la malattia comporta: tetraparesi spastica, l’insulina fin da piccolino, poi a 9 anni il trapianto di reni e tanti ricoveri in ospedale, e non ultimo gravi disturbi del comportamento per la mancanza di un enzima. Tutte situazioni che avrebbero terrorizzato qualunque famiglia.
Lo stesso pediatra di famiglia, consigliato da papà Franco, sconsigliò di accogliere Michele a causa della gravità delle conseguenze fisiche e psitiche della malattia. Michele non ha la capacità di trattenere gli impulsi: egli vive sulla sua sedia a rotelle con delle fascie alle mani e ai piedi per evitare che lui si possa fare del male e possa fare male agli altri. E’ una situazione involontaria che non riesce a controllare a causa della sua malattia.
Michele è rimasto senza parlare sino all’età di quattro anni, quando fu stimolato a pronunziare le prime parole per mezzo della visione dei film di Terence Hill, che per lui costituiscono ancora oggi una sua grande passione.
Inoltre anche il suo parlare è senza freni. Il suo primo giorno di scuola chiamò “ciccione” il suo professore. Michele si è riuscito a diplomare a pieni voti. Da due anni Michele scrive fiabe riferite alla sua condizione di principe seduto sul trono della sua sedia a rotelle ed insieme a tanti compagni riesce a superare molti incatesimi grazie al coraggio di tutti, per giungere a sconfiggere il vero nemico che è il dolore.
Papà Franco e mamma Paola hanno fondato una associazione con la finalità di aiutare i malati e le famiglie delle persone affette dalla stessa patologia di Michele. Solo in Italia si contano circa quaranta casi di questa rara patologia. La generosità di Michele e della sua famiglia non ha confini. Una parte dei proventi della vendita del Libro vanno all’associazione dei malati di LND e un’altra parte vengono utilizzati per l’adozione a distanza di Giulien, una bambina africana.
Che dire di questa esemplare storia di adozione? E’ una testimonianza di amore che ci lascia illuminanti e preziosi insegnamenti. Il primo è l’utilità dei mezzi di informazione quando perseverano nel lanciare appelli per aiutare i più bisognosi. Oggi tante volte i giornali parlano di fatti di cronaca nera avvenuti già da diversi anni ed ignorano le tante situazioni ancora presenti che necessitano di essere conosciute ed pubblicizzate. Anche oggi in Italia e nel mondo ci sono tantissimi bambini abbandonati.
In termini numerici la piaga dei bambini e dei ragazzi che sono di fatto abbandonati costituisce la quarta piaga del pianeta. Per non considerare i tanti bambini e adolescenti sparsi per il mondo che vengono abbandonati e reclusi in strutture mediche per gravi patologie e vivono la loro vita nella quasi più totale solitudine, perchè nessuno li desidera accogliere. Questi bambini prima di lasciare prematuramente questo mondo a causa della malattia e passare a possedere un posto privilegiato nel regno dei cieli davanti a Dio e ai suoi angeli, muoiono interiormente per tutta una vita a causa della solitudine e della mancanza dell’affetto da parte di una famiglia.
Con il suo esempio la famiglia Cargiolli insegna che l’accoglienza di un bambino è possibile anche quando si ha avuto il dono di avere figli biologici. L’adozione di un bambino con gravi discapacità è vero che toglie tempo, risorse ed energie, ma dona una pace soprannaturale derivante dal servire gli ultimi della terra che possiedono come loro unica ricchezza le relazioni interpersonali. L’accoglienza di questi bambini è davvero un ariete contro il muro dell’egoismo e dell’indifferenza che serpeggia nelle famiglie della nostra società. Durante una messa Papà Franco ha avuto la conferma da parte del Signore di accogliere Michele quando ha sentito rivolta proprio a Lui la parola di Gesù: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.
Ecco il punto chiave di tutta la questione. La fede muove all’accoglienza, alla solidarietà e al sacrificio. Il mondo in cui viviamo è indifferente e pigro, perchè ha posto al centro della vita il potere, le ricchezze e più in generale il pensare a se stessi, ricolmandosi dell’idolatria del proprio “io” e trovandosi così privo di spazio per accogliere l’altro.
L’amore della famiglia Cargiolli non si è limitata ad accogliere Michele, ma attraverso l’associazione da loro fondata ha voluto condividere la propria esperienza verso chi soffre lo stesso disagio della malattia di Michele, per rendersi disponibili ad un confronto e sostegno reciproco.
Questo è un esempio di una fede autentica, perchè vittoriosa sull’indifferenza e sull’insensatezza del dolore altrui, perchè capace di accoglie la sofferenza dell’altro rendendola propria ed infine testimoniando la volontà di condividere le fatiche, le gioie e le speranze del vivere quotidiano.