Vivere in solitudine, riscoprire le radici, poi uscire, andare, coinvolgere il popolo, vivere da cristiani e, oggi, ritornare sui propri passi. Il percorso tracciato da padre Bruno Secondin, durante le sue meditazioni per gli Esercizi Spirituali di Quaresima con il Papa e la Curia ad Ariccia, aggiunge un’altra tappa per arrivare al traguardo finale della conversione.
Sulla geografia interiore delineata dal carmelitano continuano a dominare la figura del profeta Elia e le sue vicende, riportate nel primo Libro dei Re. Il metodo di riflessione è pure il medesimo: rievocare immagini, scene, rimandi, flashback, da cui trarre spunti, domande, risposte, esortazioni, utili per la vita di ogni cristiano.
Nella meditazione di ieri pomeriggio, martedì 24 febbraio, e di questa mattina, padre Bruno completa il discorso sullo “scandaglio della coscienza” e prende ad oggetto la “depressione mortale” che attanagliava Elia. Il capitolo 19 del primo libro dei Re ritrae infatti il profeta solo, impaurito, deluso dal fallimento di non aver saputo difendere l’alleanza tra il Signore e il suo popolo.
Egli si è battuto con zelo e furore, ma anche con un “egocentrismo esasperato”, e si ritrova pertanto esausto, sconfitto, abbandonato in una caverna del monte Oreb. Si ritrova depresso, insomma, come spesso capita anche a molte persone, inclusi sacerdoti, osserva Secondin. “Non è così raro, anche nella vita sacerdotale” vivere questo stato d’animo, dice infatti, “tanti crollano, anche tra i preti”.
A volte, poi, tali segnali sfociano pure in enormi difficoltà interiori, come ad esempio la “paura” per il futuro o per delle responsabilità da assumersi. O ancora la “solitudine”, il sentirsi esclusi e diversi, a cui si accompagna quasi sempre un “senso di vuoto” dato da una vita inaridita, dal “crollo psicofisico”, dalla “autoaccusa”.
L’istintiva reazione a tutto ciò è la “fuga” – sottolinea il predicatore -; essa può essere una fuga fisica o fuga della mente che si rifugia nella immaginazione, ma anche può tradursi in una evasione nel mondo virtuale, nella ripetizione ossessiva di certi gesti come il consumo di alcol e cibo o, ancor peggio, in un inspiegabile “desiderio di morte”. Elia stesso, afferma Secondin, “precipitato negli inferi, conosce la trasformazione della fuga impaurita che diventa pellegrinaggio”.
Per controbilanciare questi pericoli dell’anima, il carmelitano propone quindi una vita ordinata, dove “il rapporto tra lavoro, riposo, preghiera e relazioni sociali” sia “ben equilibrato”. Ciò permette infatti di riconoscere prima possibile certi “segnali di stress” e trovare presto una soluzione. Trovare cioè quell’angelo che nel racconto biblico tende la mano ad Elia, lo conforta e lo invita a uscire dalla caverna per dirigersi verso l’Oreb.
Ma noi – domanda il religioso – “sappiamo riconoscere la mano dell’angelo” nella difficoltà? Come il pane fu di sostegno a Elia, “riconosciamo nell’Eucaristia il viatico che ci accompagna?”. E ancora: “Come il viaggio riportò Elia alle radici dell’alleanza, sappiamo anche noi “tornare alle radici” della nostra fede?
Perché solo quando si sono spenti tutti i rumori che ci distraggono e si è scesi nel silenzio della propria intimità allora ci si può predisporre all’ascolto e, dunque, giungere al confronto con Dio. Il quale sceglie sempre modi misteriosi di manifestarsi; come accade ad Elia sull’Oreb che incontra il Signore nel “sussurro di una brezza leggera”.
Quello stesso soffio, sul quale tanti esegeti si sono arrovellati, può suggerire molto alla meditazione personale, dice padre Secondin. E conclude con la consueta fila di domande: “Che fai qui? Cosa cerchi? Ti lasci sorprendere da Dio? Vuoi capire dove vuoi andare? Allora ‘ritorna sui tuoi passi’”.