di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 13 giugno 2011 (ZENIT.org).- La Pontificia Università Lateranense (PUL) ha istituito una nuova Area internazionale di ricerca, dedicata allo studio e alla diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, intitolandola “Caritas in Veritate” in omaggio alla recente Enciclica, con la quale Benedetto XVI ha inaugurato il suo magistero sociale.
Il nuovo organismo accademico ha per finalità lo svolgimento di attività di ricerca e di approfondimento, nonché quella di attivare percorsi formativi che, facendo perno sulla visione antropologica espressa dalla Dottrina sociale della Chiesa, siano incentrati sui temi delle scienze economiche, giuridiche e, più in generale, delle scienze sociali, con un taglio sia pratico che teorico.
Diverse e articolate le domande a cui la nuova Area di ricerca cerca di rispondere. Per cercare di conoscerne la progettualità e le finalità ultime, ZENIT ha intervistato il prof. Flavio Felice, che del nuovo Istituto è stato nominato direttore.
Che cosa è l’Area internazionale di ricerca sulla Dottrina sociale della Chiesa?
Felice: L’Area internazione di ricerca “Caritas in Veritate”, dedicata allo studio e alla diffusione della Dottrina sociale della Chiesa, la dobbiamo interamente al Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, al quale va il mio più sentito ringraziamento anche per la responsabilità della quale mi ha investito. Spero di esserne degno. Essa si inserisce a pieno titolo nella missione (didattica e di ricerca) dell’Istituto pastorale “Redemptor Hominis”.
Da anni l’Istituto pastorale prevede una specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa nella forma del dottorato, della licenza, del master e del diploma. Da undici anni curiamo il coordinamento accademico dei corsi in Dottrina sociale della Chiesa della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice.
Sicché, negli anni siamo entrati in contatto con docenti, con cultori, con studenti (soprattutto con gli studenti, la nostra fondamentale ragione sociale) e con operatori pastorali, economici e politici di tutto il mondo, interessati a conoscere meglio il Magistero sociale della Chiesa, le sue premesse teologiche, l’incrocio con gli approcci delle moderne scienze sociali, nonché le implicazioni pratiche nel campo della scienza economica, di quella politica, dell’agire imprenditoriale e del più generale ambito culturale.
La constatazione di quanto oggi sia profondo l’interesse nel mondo politico, economico e culturale, tanto accademico quanto imprenditoriale e associativo, e di quanto ormai sia diffusa nel mondo la sfera d’influenza di una università globale come la Lateranense, ci ha spinto a riflettere concretamente sull’esigenza di dotarci di un’istituzione accademica interdisciplinare, votata alla ricerca sulle questioni aperte delle realtà sociali e alla diffusione del messaggio della Dottrina sociale della Chiesa. Di qui l’idea di costituire un’Area internazionale di ricerca che non sia limitata alla cerchia ristretta, e talvolta asfittica, del panorama romano ovvero italiano, ma che si candidi a diventare un punto di riferimento internazionale per tutti coloro che si occupano professionalmente dell’analisi delle questioni sociali, avendo come riferimento l’orizzonteideale offerto dalla prospettiva antropologica cristiana.
La presenza nel comitato scientifico di professori provenienti da tutti i continenti esprime l’intenzione di stabilire relazioni accademiche che favoriscano l’incontro delle diverse prospettive scientifiche in modo transdisciplinare, nonché la condivisioni dei risultati ottenuti.
Quali sono i suoi obiettivi accademici e culturali?
Felice: Le finalità dell’Area di ricerca sono legate allo svolgimento di attività di ricerca e di approfondimento, nonché all’attivazione di percorsi formativi che, facendo perno sulla visione antropologica espressa dalla Dottrina sociale della Chiesa, siano incentrati sui temi dell’economia politica, delle scienze giuridiche e delle scienze sociali, con un taglio sia pratico sia teorico. A tal proposito, oltre al coordinamento dei corsi in Dottrina sociale della Chiesa, organizzati con la Fondazione Centesimus Annus, abbiamo in animo di organizzare per il prossimo autunno il primo colloquio internazionale di Dottrina sociale della Chiesa, dedicato ad una riflessione globale sul ruolo delle istituzioni nazionali e sovranazionali, alla luce dei due principi ricordati dal Santo Padre Benedetto XVI nella recente enciclica “Caritas in Veritate”: i principi di sussidiarietà e di poliarchia. Principi raccomandati dal Pontefice nel paragrafo 57 della suddetta enciclica come i cardini per una “governance della globalizzazione” – cito testualmente – “Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico”.
Perchè la Pontificia Università Lateranense ha deciso di approfondire lo studio della Dottrina sociale?
Felice: Perché è l’università del Papa, esprime un’istanza globale (universale) e in quanto tale vuole contribuire a comprendere meglio i processi politici, economici e culturali nella loro globalità. Il tutto, nel quadro della nostra stessa ragione sociale: essere dei ricercatori e degli educatori.
Come ci ha ricordato il Rettore Magnifico in occasione della prima riunione del Comitato direttivo, l’emergenza educativa sollecita l’università del Papa alla formazione dei formatori: una formazione caratterizzata da una metodologia accademica interdisciplinare e da una sintesi teologica dei contenuti. A questi obiettivi intendiamo rispondere, lasciandoci interpellare dalla più recente Enciclica del Papa: la Caritas in Veritate, alla quale l’Area è dedicata.
Potremmo chiederci quali siano i vantaggi di istituire un ulteriore organismo accademico. I vantaggi sono quelli tipici di un’istituzione accademica dedicata all’attività di ricerca. Tra colleghi potremo avvantaggiarci di un maggior coordinamento e di una più proficua condivisione dei nostri lavori. Teologi, economisti, politologi, giuristi e storici delle idee, da oggi, avranno uno strumento in più per poter confrontare i risultati delle loro ricerche e contribuire, in tal modo, all’offerta di un prodotto culturale sempre più adeguato alle questioni aperte dei nostri giorni.
Tutto ciò andrà certamente a vantaggio della comunità accademica Lateranense nel suo complesso, comunità alla quale partecipano a pieno titolo e a titolo speciale gli studenti (la nostra ragione sociale), i quali potranno usufruire del frutto fresco della nostra ricerca e di una ricerca di prima mano sviluppata dai loro stessi professori. Inoltre, potranno essere fieri di aver contribuito con la loro attiva presenza, con la loro quotidiana partecipazione alle lezioni, con le loro domande, con le loro critiche – le critiche più severe – alla maturazione di nuove idee e alla confutazione di quelle non più abili a rispondere in modo adeguato alle domande del “qui ed ora”. Invero, gli studenti saranno invitati a prendere parte ai seminari, ai convegni, al colloquio annuale, in quanto è importante tener presente che l’Area internazionale di ricerca “Caritas in Veritate” nasce per servire l’intera comunità accademica e le istituzioni economiche, politiche e culturali globali.
I risultati più rilevanti saranno resi pubblici e offerti alla più ampia comunità scientifica attraverso linee editoriali che spazieranno da una collana di saggi di carattere monografico, all’annuale dove intendiamo presentare i saggi più rilevanti dell’anno, oltre ad una rivista scientifica che possa godere del credito della comunità accademica internazionale.
Quali sono le indicazioni di Dottrina sociale che potrebbero essere significative per risolvere la crisi finanziaria ed economica mondiale?
Felice: Fuori da ogni logica dogmatica: statalista-dirigista o anarco-libertaria che sia, Benedetto XVI in “Caritas in Veritate”, sulla sci
a del suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, sembra ripeterci che il “mercato nudo e crudo” semplicemente non esiste. Il mercato è un sistema relazionale, la cui cifra “civile” è rappresentata in particolar modo dalla capacità dei regolatori di individuare con metodo cooperativo (partecipativo-democratico) le procedure che consentano agli operatori del mercato la condivisione delle medesime regole. Per il rispetto di tali regole è necessario, sebbene nella logica espressa dalla Dottrina sociale della Chiesa non sia ancora sufficiente, predisporre per via sussidiaria e poliarchica un sistema di istituzioni nazionali e sovranazionali politiche e culturali che ne salvaguardino la certezza e la trasparenza operativa, avendo a cuore l’ampliamento dei margini di libertà integrale degli operatori, presupposto indispensabile per ogni forma di sviluppo.
Ciò significa almeno tre cose; innanzitutto che la fede cristiana non è compatibile con qualsiasi teorizzazione, forma e organizzazione di società (Benedetto XVI lo dice chiaramente nel discorso di Westminster alle autorità civili dello scorso 17 settembre). In secondo luogo, che essa produce orientamenti e suggestioni capaci di dare figura, ovvero spunti teorici, a modelli concreti di forma di società, pur non identificandosi mai con nessuno di essi, ma rimanendo aperta a interpretazioni diversificate, flessibili e cangianti, ma pur sempre ben caratterizzate e coerenti. Per tornare a quanto affermato da Benedetto XVI a Westminster, ricordiamo tra le istituzioni: “la tradizione parlamentare”; “l’equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti”; “i limiti all’esercizio del potere”; “la libertà di espressione”; “la libertà di affiliazione politica”; “la rule of law” – il primato del diritto ovvero, secondo una definizione classica, la “modellizzazione della tradizione” -, “l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge”. In pratica, i caratteri politici capaci di promuovere la dignità della persona, il dovere che le autorità civili hanno di promuovere il bene comune ed una nozione di bene comune che si risolve nella visione plurale e poliarchia delle istituzioni politiche, economiche e culturali, irriducibile ad una prospettiva monistica e centralistica.
Infine, che il riferimento antropologico non si riduce mai a sfondo e ad esortazione generica, ma si fa da un lato proposta teorica e dall’altro nervatura e trama di precise istanze sociali, tutt’altro che generiche: anzi, storicamente situate e concretamente suscitatrici di azione e di istituzioni sociali, politiche ed economiche: di azione sociale: è questa la “via istituzionale della Carità” alla quale ci invita Benedetto XVI nel paragrafo 7 della sua enciclica sociale.
Appare con chiarezza che oggetto della critica tanto di Giovanni Paolo II quanto di Benedetto XVI non fossero e non siano la proprietà privata, il mercato o il perseguimento del profitto, che entrambi, invece, hanno saputo analizzare ed anche ridefinire: si considerino i concetti di capitale umano e sociale ovvero di impresa come comunità di persone che lavorano. Motivo di critica di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è piuttosto il riduzionismo materialistico che finisce per negare la dimensione integrale dello sviluppo umano a favore di un’idea di economia e di sviluppo economico considerati unicamente da un punto di vista puramente ingegneristico ed indicizzabile (quantitativo). Entrambi i pontefici ci dicono invece che economia e sviluppo sono autentici se sono integrali; di qui il carattere qualitativo oltre che quantitativo.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI delineano un profilo economico in forza del quale le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in uno vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. Quando un sistema sociale nega il valore trascendente della persona umana, a partire dal diritto a nascere e a vivere, partecipando alla dimensione economica, oltre che politica e culturale, si rivela in sé disumano, e merita di essere criticato.
Lei mi chiedeva della crisi economica e finanziaria. In tempi di crisi è diffusa la tendenza a cercare risposte definitive a problemi contingenti, nella convinzione che esistano ricette ultimative che impediscano l’insorgere di nuove crisi. La Centesimus annus e la Caritas in veritate, da questo punto di vista, considerano il presupposto antiperfettista che non esistono soluzioni definitive proprio perché i problemi economici sono sempre contingenti, relativi, storicamente connotati; oltretutto, ogni costituzione umana riflette il dato ineludibile che al centro delle organizzazioni sociali opera la persona, un soggetto imperfetto, ignorante e fallibile, per quanto sia sempre perfettibile. Dunque, ecco la ragione per cui anche la crisi economica non andrebbe interpretata come l’araldo di un “nuovo mondo” che implacabile s’imporrà sull’attuale come l’aurora di un nuovo giorno s’impone sulle tenebre del giorno ormai passato. Piuttosto, la crisi andrebbe letta come il segnale che nessun sistema è perfetto, che una metafisica del mercato è tanto dannosa all’uomo quanto lo è una metafisica statalistica, e che compito dello scienziato sociale è di operare una continua vigilanza per cogliere l’errore ovunque si annidi e superare l’ignoranza comunque si presenti. Di qui, l’invito ad allargare la ragione e a mettersi all’ascolto del reale per cogliere quel flebile segnale che ci consenta di intervenire con la conoscenza possibile (limitata e fallibile) nella rilevazione dei singoli fatti e della loro sequenza e dare a questi e alle loro concatenazioni un’interpretazione coerente con la prospettiva antropologica che da cristiani rende ragione del nostro unico interesse per le questioni sociali: promuovere la trascendente dignità della persona umana: immagine visibile del Dio invisibile.