“Questo è il momento della misericordia”. A pochi giorni dall’apertura dell’Anno Santo, Papa Francesco ha rilasciato una breve intervista al settimanale Credere per approfondire quello che sarà il tema cardine del Giubileo, la misericordia, oggi urgente nella situazione del mondo e della Chiesa. Nel colloquio, il Pontefice ripercorre la storia del tema della misericordia nella Chiesa: da Paolo VI a Giovanni Paolo II che lo volle sottolineare fortemente con la Dives in misericordia, la canonizzazione di Santa Faustina e l’istituzione della festa della Divina Misericordia. “Non è quindi venuto in mente a me, ma riprendo una tradizione relativamente recente, sebbene sempre esistita. E mi sono reso conto che occorreva fare qualcosa e continuare questa tradizione”, spiega.
“Il mondo di oggi – osserva infatti il Pontefice – ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di patire con. Siamo abituati alle cattive notizie, alle notizie crudeli e alle atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è Padre, che c’è misericordia, che la crudeltà non è la strada, che la condanna non è la strada, perché la Chiesa stessa a volte segue una linea dura, cade nella tentazione di seguire una linea dura, nella tentazione di sottolineare solo le norme morali, ma quanta gente resta fuori”.
Torna dunque l’immagine della Chiesa come “un ospedale da campo dopo la battaglia”: “È la verità, quanta gente ferita e distrutta! I feriti vanno curati, aiutati a guarire, non sottoposti alle analisi per il colesterolo”, afferma Francesco. Inoltre, in questo tempo storico – evidenzia – si sta attuando un vero e proprio “sacrilegio contro l’umanità”, attraverso “il traffico di armi, la produzione di armi che uccidono, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli possibili, lo sfruttamento di persone, minori, bambini”.
Quindi c’è bisogno di scoprire di sapere che “Gesù vuole aprire la porta del Suo cuore, che il Padre vuole mostrare le Sue viscere di misericordia”. Anche perché – spiega il Papa – “tutti noi siamo peccatori, tutti portiamo pesi interiori”. A cominciare da lui stesso, che dice: “Sono peccatore, mi sento peccatore, sono sicuro di esserlo; sono un peccatore al quale il Signore ha guardato con misericordia. Sono un uomo perdonato… Ancora adesso commetto errori e peccati, e mi confesso ogni 15 o 20 giorni. E se mi confesso è perché ho bisogno di sentire che la misericordia di Dio è ancora su di me”.
A tal proposito, Bergoglio ricorda il suo primo ‘incontro’ con questo speciale sguardo di misericordia di Dio. Accadde il 21 settembre 1953, quando il futuro Papa, studente di 17 anni in Argentina, cattolico praticante “ma niente di più”, lungo la strada per la stazione ferroviaria di Flores entrò in una parrocchia dove c’era un sacerdote che non conosceva (don Carlos Benito Duarte Ibarra, sacerdote di Corrientes ndr). “In quel momento non so cosa mi accadde, ma avvertii il bisogno di confessarmi, nel primo confessionale a sinistra, molta gente andava a pregare lì”, ricorda. “E non so cosa successe, ne uscii diverso, cambiato. Tornai a casa con la certezza di dovermi consacrare al Signore e questo sacerdote mi accompagnò per quasi un anno”.
Un episodio, questo, molto legato al suo motto episcopale miserando atque eligendo. L’espressione, cioè, con cui Beda il Venerabile, parlando della conversione di San Matteo, descriveva lo sguardo di Gesù. “La traduzione letterale sarebbe ‘misericordiando e scegliendo’, quasi come un lavoro artigianale”, osserva il Papa. “Quando anni dopo, recitando il breviario latino, scoprii questa lettura, mi accorsi che il Signore mi aveva modellato artigianalmente con la Sua misericordia. Ogni volta che venivo a Roma, poiché alloggiavo in via della Scrofa, andavo nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a pregare davanti al quadro del Caravaggio, appunto la Vocazione di san Matteo”.
Nell’intervista il Papa parla anche del concetto di “maternità di Dio” che, dice, “non tutti comprendono”. “Non è un linguaggio popolare – nel senso buono della parola – sembra un linguaggio un po’ eletto”; per questo lui preferisce parlare di “tenerezza”, “propria di una mamma” ma che “nasce dalle viscere paterne”. “Dio è padre e madre”. E scoprire questa paternità/maternità di Dio – sottolinea il Santo Padre – “ci porterà ad avere un atteggiamento più tollerante, più paziente, più tenero”. Bisogna dunque realizzare quella “rivoluzione della tenerezza”, perché “da qui deriva la giustizia e tutto il resto”.
Ad esempio, secondo Bergoglio, applicando rigidamente i contratti approfittando degli articoli che vanno a favore della propria convenienza, “l’imprenditore non mostra tenerezza”: “Se un imprenditore assume un impiegato da settembre a luglio non fa la cosa giusta perché lo congeda per le vacanze a luglio per poi riprenderlo con un nuovo contratto da settembre a luglio, e in questo modo il lavoratore non ha diritto all’indennità, né alla pensione, né alla previdenza sociale. Non ha diritto a niente”. Così il datore di lavoro “tratta l’impiegato come un oggetto”. Se, invece, “ci si mette nei panni di quella persona, invece di pensare alle proprie tasche per qualche soldo in più, allora le cose cambiano”.
Quindi, “la rivoluzione della tenerezza è ciò che oggi dobbiamo coltivare come frutto di questo anno della misericordia: la tenerezza di Dio verso ciascuno di noi”, rimarca il Pontefice. “Ognuno di noi deve dire: ‘sono uno sventurato, ma Dio mi ama così; allora anche io devo amare gli altri nello stesso modo’”.
Questa tenerezza, poi, si traduce in gesti concreti. Come la carezza. “Quando vedo i malati, gli anziani, mi viene spontanea la carezza…”, dice Francesco. “La carezza è un gesto che può essere interpretato ambiguamente, ma è il primo gesto che fanno la mamma e il papà col bambino appena nato, il gesto del ‘ti voglio bene’, ‘ti amo’, ‘voglio che tu vada avanti’”. A proposito di gesti, quale sarà il gesto che il Papa farà durante il Giubileo per testimoniare la misericordia di Dio? “Ci saranno tanti gesti che si faranno – risponde Bergoglio – ma un venerdì di ogni mese farò un gesto diverso”.
[A cura di Salvatore Cernuzio]