di Karna Swanson
DENVER (Colorado), venerdì, 5 settembre 2008 (ZENIT.org).- Non solo la religione ha diritto al suo spazio nella sfera pubblica, ma la democrazia ha bisogno dell’apporto della morale e delle convinzioni religiose per mantenersi sana e forte, secondo l’Arcivescovo di Denver.
Estromettere la religione, aggiunge monsignor Charles, autore di un libro di recente pubblicazione da titolo “Render Unto Caesar: Serving the Nation by Living Our Catholic Beliefs in Political Life” (Dare a Cesare: Servire la nazione vivendo le proprie convinzioni cattoliche nella vita pubblica), è il modo più rapido per distruggere una democrazia.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, monsignor Chaput parla delle idee contenute nel suo libro sul rapporto tra cattolici e politica, e commenta quelli che ritiene i temi più importanti per gli elettori statunitensi impegnati nelle elezioni presidenziali che si terranno a novembre.
Il Cattolicesimo nella vita pubblica degli Stati Uniti ha compiuto un percorso lungo e complesso. Lei afferma che i cattolici hanno ancora molto da offrire alla sfera politica, ma che troppo spesso mantengono le loro convinzioni separate dall’attività politica. Perché?
Monsignor Chaput: I cattolici hanno sempre rappresentato una minoranza negli Stati Uniti, e nel Paese è sempre esistita una forma di pregiudizio nei loro confronti, sin da prima della sua fondazione. Spesso la discriminazione si è espressa in modo indiretto e garbato, ma altrettanto spesso ha preso una forma più rozza di una discriminazione economica e politica, e di un fanatismo mediatico. Ad ogni modo, il pregiudizio alimenta sempre il desiderio di una minoranza di essere accettata, di ottenere successo e potersi riscattare, e i cattolici nordamericani lo hanno fatto molto bene, forse troppo bene.
Con la scusa di dover essere buoni cittadini, molti cattolici hanno accolto un’idea estremamente distorta di laicità dello Stato. I cattolici nordamericani hanno sempre appoggiato il principio della separazione fra autorità religiosa e autorità civile.
Nessuno vuole veramente una teocrazia e lo spettro del “fondamentalismo cristiano” che spesso viene paventato dai mezzi di comunicazione è solo una tattica offensiva particolarmente efficace. La Chiesa non può pensare di dirigere lo Stato. Ma neanche vogliamo che lo Stato interferisca nelle nostre credenze e pratiche religiose, cosa che francamente rappresenta oggi un problema molto più grave.
La separazione fra Chiesa e Stato non significa separare i temi delle fede da quelli della politica. Un vero pluralismo ha bisogno di un sano confronto fra idee diverse. In questo senso, il modo migliore per far morire una democrazia è indurre la gente a tenere separate le convinzioni religiose e morali dalle decisioni politiche. Se la gente crede veramente in qualcosa, agirà sempre mantenendo quello come punto di coscienza. Altrimenti non farà altro che mentire a se stessa. Per questo l’idea di voler estromettere la religione dal dibattito politico pubblico non solo è poco intelligente, ma è anche antidemocratica.
Un capitolo del libro è dedicato a San Tommaso Moro. In quello stesso capitolo lei cita John F. Kennedy, il primo presidente cattolico degli Stati Uniti. Qual è la differenza fondamentale tra questi due leader politici cattolici?
Monsignor Chaput: Come affermo nel libro, dobbiamo essere cauti a non fare un parallelismo eccessivamente stretto tra la situazione in cui si trovava San Tommaso Moro e i problemi che devono affrontare i dirigenti pubblici nordamericani. Ma Moro e il suo amico John Fisher rimangono così vivi nella nostra memoria per un motivo. Hanno mantenuto la loro integrità a qualunque costo, anche a costo della vita. Hanno messo Dio al di sopra di Cesare.
Per quanto riguarda Kennedy è necessario ricordare il contesto della sua campagna del 1960. Kennedy aveva talento e coraggio da vendere, ma doveva anche superare 200 anni di pregiudizio protestante sedimentato.
Purtroppo, per venire incontro a questi timori protestanti ha creato un nuovo e distorto modello cattolico di separazione tra impegno pubblico e convinzioni personali. Ha agito in buona fede e certamente non avrebbe potuto prevedere il futuro, ma la sua impostazione ha creato molti danni. Negli ultimi 40 anni, il suo esempio ha guidato ciascun funzionario pubblico cattolico che “personalmente si oppone” ad un determinato male, ma che non vuole impegnarsi per eliminarlo. Stiamo ancora scontando gli effetti di questa impostazione.
Lei osserva inoltre che la nuova cultura dei mezzi di comunicazione ha creato una forma di dibattito pubblico in cui il “serio confronto fra idee” è stato sostituito dagli slogan. Cosa devono fare, in questo contesto, i politici cattolici?
Monsignor Chaput: Non esiste una risposta semplice a questo problema. I cattolici nordamericani dovrebbero porsi in modo molto più critico rispetto ai mezzi di comunicazione e all’intero settore dell’informazione. Nella stampa, per esempio, è più facile trovare persone equilibrate. Ma l’immagine della realtà proposta dai mezzi d’informazione è sempre modulata da almeno tre elementi: il tipo di tecnologia, la necessità del profitto e la tendenza politica dell’organizzazione.
Ciò che vediamo e ascoltiamo nell’informazione politica è spesso una versione addomesticata dei fatti. È necessario stare sempre allerta sulla tendenza dei mezzi di comunicazione a plasmare le opinioni e i gusti del pubblico. I politici cattolici devono imparare a usare i mezzi di comunicazione – in modo onesto ovviamente – e non ad essere usati da loro.
Pubblicando il suo libro a pochi mesi di distanzza dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ha voluto in qualche modo avere un impatto sulle scelte degli elettori?
Monsignor Chaput: In realtà ho finito di scriverlo a luglio dell’anno scorso e ho finito di rivederlo a novembre. Avrei voluto che il libro fosse pubblicato a marzo per lasciare un po’ di tempo prima della campagna elettorale. Ma è l’editore che prende queste decisioni.
Non è mia intenzione, né nel libro, né in qualunque altro modo, di dire alla gente come votare. Non appoggio canditati e non uso un codice terminologico che possa indurre la gente a gradire o non gradire un determinato partito politico. Non è questo il lavoro di un pastore.
Le persone devono votare secondo coscienza. Ma la coscienza non appare miracolosamente dal nulla; non è una questione di opinione personale o di preferenza privata. La coscienza è sempre fondata su una verità più grande di noi stessi. La gente che si dice cattolica deve essere onesta con se stessa e con la comunità dei credenti. Deve agire veramente da cattolico, sia in privato, sia nell’ambito pubblico, compreso il momento delle decisioni politiche. Ed è proprio questo il lavoro del pastore: incoraggiare i cattolici ad approfondire la propria fede e ad applicarla.
In questo anno di elezioni sembra che il dibattito si sia concentrato più sui “grandi” temi sociali. Come vede questa tendenza? E quali ritiene siano le questioni principali su cui gli elettori cattolici si confronteranno nel novembre prossimo?
Monsignor Chaput: La testimonianza morale della Chiesa non cambia, che ci si trovi sotto elezioni o no. In questo autunno le questioni importanti saranno molteplici: l’economia, la riforma dell’immigrazione, la guerra in Iraq. Tutti temi urgenti e imprescindibili. Ma non è possibile usare questi temi come una scusa per ignorare i bambini non nati.
Nonostante la si cerchi di coprire con discussioni sui “più grandi temi sociali”, la questione dell’aborto rimane la principale questione sociale dei nostri tempi. Non c’è possibilità di girare attorno alla realtà del profitto, della brutalità e dell’ingiustizia dell’aborto con un linguaggio politicamente corretto. L’aborto è omicidio legalizzato. E deve essere fermato.
Ogni altro diritto dipende dal diritto alla vita.
Il libro è indirizzato principalmente a un pubblico statunitense, poiché parla espressamente della Chiesa negli Stati Uniti. Tuttavia, cosa possono leggervi di importante i lettori di altri Paesi?
Monsignor Chaput: Tutti i cattolici, ovunque essi vivano, qualunque sia il loro Paese, devono ricordare di essere anzitutto cittadini del Cielo. Quella è la nostra casa. Il modo migliore per servire la nostra patria è quello di vivere pienamente e autenticamente la nostra fede e di portare con forza la nostra testimonianza cattolica sulla dignità umana all’interno della vita politica della nostra nazione.
Dobbiamo smetterla di vergognarci di parlare e di agire per la verità. Possiamo scegliere di essere discepoli o di essere codardi. Nel mondo odierno non c’è altra possibilità: dobbiamo scegliere.