Per cercare di chiarire la storia e i retroscena dell’intricata vicenda, ZENIT propone una dettagliata analisi scritta dal giornalista polacco Wlodzimier Redzioch, che verrà pubblicata in lingua inglese sul numero di febbraio del mensile “Inside the Vatican”.
La prima parte di questa analisi è stata pubblicata il 19 gennaio.
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Il Papa non sapeva
Tutti gli osservatori dei fatti ecclesiastici si chiedono: perché Benedetto XVI non è stato informato prima del passato dell’arcivescovo Wielgus? A tale proposito bisogna fare qualche precisazione. Il dossier riguardante monsignor Wielgus, già vescovo di Płock, è stato preparato in primavera. Allora la Nunziatura Apostolica a Varsavia non aveva nessuna possibilità di fare le sue verifiche presso gli archivi dei vecchi servizi di sicurezza: la legge polacca prevedeva che solo gli interessati potevano consultare i loro dossier conservati presso l’IPN (Istituto della Memoria Nazionale). Per poter effettuare le ricerche negli archivi storici dell’IPN l’Episcopato polacco ha fondato una speciale commissione storica che ha cominciato a funzionare nell’autunno del 2006. Ma la commissione non ha fatto niente per verificare le carte del monsignor Wielgus, malgrado le voci apparse in Polonia circa il suo passato, perché il vescovo ha assicurato tutti, Santo Padre compreso, che non aveva collaborato con i servizi comunisti e non aveva fatto del male a nessuno. Fidandosi della parola del vescovo la Santa Sede, tramite la Sala Stampa vaticana, ha fatto sapere in un comunicato del 21 dicembre che monsignor Wielgus godeva della piena fiducia del Papa, tenendo conto anche del suo passato. Il problema è apparso di nuovo due settimane prima della presa di possesso della cattedrale di Varsavia, quando la rivista polacca “Gazeta Polska” ha annunciato la pubblicazione di documenti che avrebbero attestato la collaborazione del vescovo con i servizi comunisti.
Il 2 gennaio monsignor Wielgus ha chiesto alla Commissione Storica dell’Episcopato di fare la verifica dei suoi dossier conservati negli archivi, confermando la sua estraneità al lavoro di spionaggio; lo ha giurato davanti all’arcivescovo Jozef Kowalczyk, Nunzio apostolico in Polonia. Ecco il testo del solenne giuramento firmato da Wielgus: “Giuro su Dio, Uno e Trino, che durante i miei incontri e conversazioni con i rappresentanti della polizia e dell’intelligence, che ho avuto in occasione dei miei viaggi all’estero negli anni ‘70 e ‘80, non mi sono mai messo contro la Chiesa e non ho fatto, né detto niente di male contro il clero e le persone laiche”.
Nel comunicato della Commissione diffuso già il 4 gennaio (soltanto 1 giorno di lavoro per analizzare 90 documenti!) si dice che i documenti attestano che monsignor Wielgus aveva collaborato con i servizi di sicurezza e la sua attività avrebbe potuto nuocere a certe persone dell’ambiente ecclesiale. Il giorno seguente l’arcivescovo Wielgus, che nel frattempo aveva preso possesso della diocesi, ha scritto una commovente lettera penitente alla “Chiesa di Varsavia” nella quale ammetteva i suoi contatti con i servizi segreti, si scusava per aver taciuto su tali contatti, assicurava di nuovo che la sua collaborazione con i comunisti non aveva fatto male a nessuno, chiedeva il perdono per il suo comportamento di 30 anni fa e si metteva a disposizione del Santo Padre. La sera del 6 gennaio, si sono quindi avuti febbrili contatti e consultazioni tra la Nunziatura Apostolica e la Segreteria di Stato. Alla fine il Papa ha preso la decisione di accettare le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus e lo annunciato a sorpresa prima della cerimonia della presa di possesso della cattedrale da parte del nuovo vescovo.
Al cardinale Josef Glemp, primate della Polonia, Benedetto XVI ha chiesto di amministrare temporaneamente l’arcidiocesi. Durante la santa messa il cardinale Glemp ha pronunciato a braccio una appassionata omelia (cfr. ZENIT, 10 gennaio 2007). Con questo atto sembrava che Roma locuta causa finita, ma il caso Wielgus ha troppi risvolti per dichiarare il caso chiuso.
Perché monsignor Wielgus ha taciuto?
Il cardinale Glemp ha sottolineato nella sua omelia nella cattedrale di Varsavia che “non sappiamo quale pressione veniva esercitata su di lui (mons. Wielgus), quali metodi siano stati usati per costringerlo a firmare un atto, non valido legalmente, perché fatto sotto minacce ed intimidazioni”. Il Primate della Polonia voleva dire in questo modo che la firma estorta sotto minaccia non ha nessun valore legale. Questo è vero. Ma perché monsignor Wielgus non ha ammesso le sue responsabilità fin dall’inizio? Si presume che ritenesse quella sua firma sul documento di 30 anni fa non valida, né dal punto di vista legale né da quello morale. Probabilmente per monsignor Wielgus dietro a quella firma estorta non c’era nessun impegno morale per adempiere agli obblighi di collaborazione richiesto dai servizi dello spionaggio polacco. In questo contesto i media non hanno evidenziato un fatto molto importante di tutta la vicenda: monsignor Wielgus, prima di andare a studiare in Occidente, ha firmato un documento per l’intelligence della Polonia, e non per i servizi segreti che erano i guardiani del totalitarismo comunista all’interno del Paese!
L’atteggiamento dell’allora padre Wielgus riflette un atteggiamento di tanti sacerdoti nei Paesi comunisti che per il bene maggiore (possibilità di praticare il culto, costruzione delle chiese, pubblicazione dei testi religiosi, formazione dei fedeli e seminaristi, ecc.) pensavano di scegliere quello che sembrava il male minore, e cioè certi compromessi con il potere comunista. Era una tattica, un gioco che si è rivelato poi molto pericoloso. Padre Wielgus ha intrapreso questo “gioco” perché riteneva, come ha dichiarato, che le sue preziose ricerche scientifiche e la possibilità di studiare all’estero per il bene della Chiesa in Polonia valevano questo rischio.
C’è chi facilmente condanna questo tipo di atteggiamento dei semplici sacerdoti, ma a questi odierni “giudici” va ricordato che anche la Santa Sede per anni ha coscientemente proseguito la politica del “compromesso” con i governi comunisti per il bene delle Chiese locali o più realisticamente per farle sopravvivere. Allora, infatti, si riteneva che il comunismo sarebbe durato ancora delle generazioni. Si accettavano le nomine dei vescovi concordate con i regimi ritenendo che un vescovo gradito anche ai comunisti era meglio che una diocesi senza pastore. Questa era la famosa “Ostpolitik” del Vaticano. Chi non si ricorda i viaggi di monsignor Agostino Casaroli e le sue foto con i membri della nomenclatura comunista? Un “compromesso” tanto pericoloso da far dire al cardinale Stefan Wyszyński ad uno dei diplomatici vaticani che trattava con le autorità comuniste in Polonia: “Non ci tradite!” Anche i singoli vescovi e il segretariato dell’Episcopato polacco, volenti o nolenti, dovevano trattare certe faccende con il Ministero degli interni. Per anni si è incaricato di questi contatti il memorabile vescovo Bronisław Dąbrowski aiutato da mons. Orszulik. In questo contesto è più facile capire anche i piccoli compromessi individuali.
Documenti o carta straccia
Qualche giorno dopo la rinuncia dell’arcivescovo Wielgus i media polacchi hanno dato la notizia che Malgorzata Niezabitowska, (vecchia attivista di “Solidarnosc” e, dopo il 1989, portavoce del premier Mazowiecki), è stata assolta dalle accuse di essere stata una spia dei servizi comunisti. In questo modo è finito l’incubo della vittima di comunisti che per qualche anno ha vissuto con l’infamante marchio di traditrice. I giudici hanno potuto constatare, grazie alla testimonianza dell’ex
-ufficiale dei servizi, che i documenti trovati negli archivi comunisti erano stati falsificati. L’allora ufficiale dei servizi segreti, per far vedere ai superiori che riusciva ad “adescare” dei collaboratori, scriveva rapporti di incontri mai avvenuti con dichiarazioni di persone che non hanno mai collaborato.
La triste storia che ha cercato di infangare la signora Niezabitowska ha fatto capire all’opinione pubblica che le carte conservate negli archivi dei servizi segreti non sono i veri documenti. Sono piuttosto le carte dove i veri rapporti dei collaboratori sono mischiati con i rapporti “gonfiati” degli stessi ufficiali dei servizi e con carte falsificate ad arte. Per questo motivo il comunista Leszek Miller, l’ex Primo ministro polacco, ha detto che non possiamo verificare l’autenticità del materiale raccolto negli archivi. “Per gonfiare i loro curricula – ha aggiunto Miller – i funzionari dei servizi non avevano scrupoli. Un contatto occasionale con una persona o una banale conversazione registrata all’insaputa dell’interlocutore, erano sufficienti per farne un informatore. Senza parlare dei dossier prefabbricati, fatti su ordine dei superiori”.
E’ paradossale che questa realtà venga spiegata da un ex dirigente comunista e membro del Politburo del partito comunista, mentre se a dirlo sono i sacerdoti non vengono creduti.
A questo proposito l’arcivescovo Wielgus ha dichiarato che le carte che lo riguardano documentano le aspettative dei servizi segreti e dell’intelligence verso la sua persona, non certo i suoi atti.
Giornalisti o sciacalli?
Probabilmente il “caso Wielgus” non sarebbe scoppiato se non ci fossero stati alcuni giornalisti a farlo scoppiare. Ma questo non vuol dire che questi giornalisti hanno dato prova di professionalità e di onestà. Prima di tutto bisogna sottolineare che qualcuno ha messo nelle mani dei giornalisti le carte riguardanti Wielgus. Era qualcuno dei vecchi servizi di sicurezza, non è infatti un segreto che tanti ufficiali tengono a casa loro delle copie dei documenti d’archivi. Le autorità ecclesiastiche non sono riuscite ad avere prima i dossier che qualcuno voleva sfruttare per i propri interessi utilizzando i giornalisti. In seguito la maggior parte dei giornalisti ha assunto il ruolo non di informatori sui fatti, ma di giudici arroganti. Nessuno di loro ha messo in dubbio il contenuto dei dossier riguardanti l’arcivescovo, come se si trattasse di documenti al 100% veritieri e non le carte preparate e manipolate dai servizi segreti. Nessuno ha ricordato che i servizi segreti in questione sono stati la più spietata e criminale organizzazione dello Stato comunista.
E poi, la maggior parte dei giovani giornalisti che ha preso parte ai dibattiti non conosceva la realtà del totalitario mondo comunista e non ha mostrato di possedere la preparazione storica per poter valutare correttamente il contenuto degli archivi. Per di più, nei dibattiti televisivi, pur di screditare monsignor Wielgus, i membri dei servizi segreti sono stati difesi e nobilitati, confondendo il ruolo di carnefice con quello della vittima. Va detto che questo tipo di attacchi contro la Chiesa cattolica non è nuovo per i media anticlericali polacchi, ma stupisce il coinvolgimento in questa aggressione di certi giornalisti, che si sono presentati come cattolici.
Il Primate Glemp parlando di loro ha detto che da cattolici dovrebbero sapere anche che cosa è “il pentimento, la penitenza, il perdono, la riconciliazione”. Lucio Brunelli, vaticanista della RAI, ha scritto che quello che lascia più sbigottiti nelle reazioni al “caso Wielgus” è l’assoluta mancanza del primo sentimento che distingue il cristiano dai suoi simili: il sentimento della pietà, più precisamente il sentimento del perdono. In conclusione, la presunta ricerca della verità e il dichiarato tentativo di “purificare la Chiesa” sono stati i pretesti “politicamente corretti” per linciare, tramite i media, la persona che stava per occupare la più prestigiosa carica nella Chiesa polacca.