Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Mozambico, Madagascar e Maurizio (4-10 settembre 2019) – Santa Messa nello Stadio Zimpeto - Foto © Servizio Fotografico - Vatican Media

“Vogliamo che la pace regni nei nostri cuori e nel palpito del nostro popolo”

Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Mozambico, Madagascar e Maurizio (4-10 settembre 2019) – Santa Messa nello Stadio Zimpeto

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Lasciato l’Ospedale Zimpeto, il Santo Padre si trasferisce in auto allo Stadio Zimpeto di Maputo. Dopo alcuni giri in papamobile tra i fedeli, alle ore 10 il Santo Padre Francesco presiede la Santa Messa per il Progresso dei Popoli. Dopo la proclamazione del Vangelo, Papa Francesco pronuncia l’omelia. Al termine della Santa Messa, l’Arcivescovo di Maputo, S.E. Mons. Francisco Chimoio, O.F.M. Cap., rivolge al Santo Padre il suo saluto. Quindi, prima della benedizione finale, il Papa, dopo aver rivolto ai fedeli presenti alcune parole di ringraziamento, si trasferisce in auto all’Aeroporto di Maputo per la cerimonia di congedo dal Mozambico. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre pronuncia nel corso della Celebrazione Eucaristica e il saluto finale che rivolge ai presenti al termine della Santa Messa:

Omelia del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Luca un brano del cosiddetto “discorso della pianura”. Gesù, dopo aver scelto i suoi discepoli e aver proclamato le Beatitudini, aggiunge: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici» (Lc 6,27). Una parola rivolta oggi anche a noi, che Lo ascoltiamo in questo stadio.

E lo dice con chiarezza, semplicità e fermezza, tracciando un sentiero, una via stretta che richiede alcune virtù. Perché Gesù non è un idealista, che ignora la realtà; sta parlando del nemico concreto, del nemico reale, che aveva appena descritto nella Beatitudine precedente (6,22): colui che ci odia, ci mette al bando, ci insulta e disprezza il nostro nome come infame.

Molti di voi possono ancora raccontare in prima persona storie di violenza, odio e discordie; alcuni, nella loro stessa carne; altri, di qualche conoscente che non c’è più; e altri ancora per paura che le ferite del passato si ripetano e cerchino di cancellare il cammino di pace già percorso, come a Cabo Delgado.

Gesù non ci invita a un amore astratto, etereo o teorico, redatto su scrivanie per dei discorsi. La via che ci propone è quella che Lui stesso ha percorso per primo, la via che gli ha fatto amare quelli che lo tradivano, lo giudicavano ingiustamente, quelli che lo avrebbero ucciso.

È difficile parlare di riconciliazione quando sono ancora aperte le ferite procurate da tanti anni di discordia, oppure invitare a fare un passo di perdono che non significhi ignorare la sofferenza né chiedere che si cancelli la memoria o gli ideali (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 100). Nonostante ciò, Gesù invita ad amare e a fare il bene. E questo è molto di più che ignorare la persona che ci ha danneggiato o fare in modo che le nostre vite non si incrocino: è un mandato che mira a una benevolenza attiva, disinteressata e straordinaria verso coloro che ci hanno ferito. Gesù, però, non si ferma qui; ci chiede anche di benedirli e di pregare per loro, che cioè il nostro parlare di loro sia un dire-bene, generatore di vita e non di morte, che pronunciamo i loro nomi non per insulto o vendetta, ma per inaugurare un nuovo rapporto che conduca alla pace. Alta è la misura che il Maestro ci propone!

Con tale invito Gesù, lungi dall’essere un ostinato masochista, vuole chiudere per sempre la pratica tanto comune – ieri come oggi – di essere cristiani e vivere secondo la legge del taglione. Non si può pensare il futuro, costruire una nazione, una società basata sull’ “equità” della violenza. Non posso seguire Gesù se l’ordine che promuovo e vivo è questo: “occhio per occhio, dente per dente”.

Nessuna famiglia, nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio. Non possiamo metterci d’accordo e unirci per vendicarci, per fare a chi è stato violento la stessa cosa che lui ha fatto a noi, per pianificare occasioni di ritorsione sotto forme apparentemente legali. «Le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti» (ibid., 60). L’ “equità” della violenza è sempre una spirale senza uscita; e il suo costo, molto elevato. C’è un’altra strada possibile, perché è fondamentale non dimenticare che i nostri popoli hanno diritto alla pace. Voi avete diritto alla pace.

Per rendere il suo invito più concreto e applicabile nel quotidiano, Gesù propone una prima regola d’oro alla portata di tutti – «come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro» (Lc 6,31) – e ci aiuta a scoprire quello che è più importante in questa reciprocità di comportamento: amarci, aiutarci e prestare senza aspettare nulla in cambio.

“Amarci”, ci dice Gesù. E Paolo lo traduce come “rivestirci di sentimenti di misericordia e di bontà” (cfr Col 3,12). Il mondo ignorava – e continua a non conoscere – la virtù della misericordia, della compassione, uccidendo o abbandonando persone disabili e anziane, eliminando feriti e infermi, e divertendosi con le sofferenze inflitte agli animali. Allo stesso modo non praticava la bontà, la gentilezza, che ci spinge ad avere a cuore il bene del prossimo tanto quanto il proprio.

Superare i tempi di divisione e violenza implica non solo un atto di riconciliazione o la pace intesa come assenza di conflitto, implica l’impegno quotidiano di ognuno di noi ad avere uno sguardo attento e attivo che ci porta a trattare gli altri con quella misericordia e bontà con cui vogliamo essere trattati; misericordia e bontà soprattutto verso coloro che, per la loro condizione, vengono facilmente respinti ed esclusi. Si tratta di un atteggiamento non da deboli, ma da forti, un atteggiamento da uomini e donne che scoprono che non è necessario maltrattare, denigrare o schiacciare per sentirsi importanti; anzi, al contrario. E quest’atteggiamento è la forza profetica che lo stesso Gesù Cristo ci ha insegnato volendosi identificare con loro (cfr Mt 25,35-45) e mostrandoci che la via giusta è il servizio.

Il Mozambico possiede un territorio pieno di ricchezze naturali e culturali, ma paradossalmente con un’enorme quantità di popolazione al di sotto del livello di povertà. E a volte sembra che coloro che si avvicinano con il presunto desiderio di aiutare, abbiano altri interessi. Ed è triste quando ciò accade tra fratelli della stessa terra, che si lasciano corrompere; è molto pericoloso accettare che la corruzione sia il prezzo che dobbiamo pagare per gli aiuti esterni.

«Tra voi non sarà così» (Mt 20,26; cfr vv. 26-28). Con le sue parole, Gesù ci spinge ad essere protagonisti di un altro stile di vita, quello del suo Regno: qui e ora, semi di gioia e speranza, pace e riconciliazione. Ciò che lo Spirito viene a infondere non è un attivismo travolgente, ma, innanzitutto, un’attenzione rivolta all’altro, riconoscendolo e apprezzandolo come fratello fino a sentire la sua vita e il suo dolore come la nostra vita e il nostro dolore. Questo è il miglior termometro per scoprire le ideologie di ogni genere che cercano di manipolare i poveri e le situazioni di ingiustizia al servizio di interessi politici o personali (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 199). Solo così potremo essere, dovunque ci troveremo, semi e strumenti di pace e riconciliazione.

Vogliamo che la pace regni nei nostri cuori e nel palpito del nostro popolo. Vogliamo un futuro di pace. Vogliamo che «la pace di Cristo regni nei vostri cuori» (Col 3,15), come appunto diceva la Lettera di San Paolo. Egli usa un verbo che viene dal mondo dello sport e si riferisce all’arbitro che decide sulle cose discutibili: “possa la pace di Cristo essere l’arbitro nei vostri cuori”. Se la pace di Cristo è l’arbitro nei nostri cuori, allora quando i sentimenti sono in conflitto e ci troviamo indecisi tra due sensi opposti, “facciamo il gioco” di Cristo: la decisione di Cristo ci manterrà nella via dell’amore, nel sentiero della misericordia, nella scelta per i più poveri, nella difesa della natura. Nella via della pace. Se Gesù sarà l’arbitro tra le emozioni contrastanti del nostro cuore, tra le complesse decisioni del nostro Paese, allora il Mozambico ha assicurato un futuro di speranza; allora il vostro Paese potrà cantare a Dio, con gratitudine e di tutto cuore, salmi, inni e canti ispirati (cfr Col 3,16).

Ringraziamento del Santo Padre al termine della Messa

Al termine della mia visita, vorrei dire “grazie” a tutte le persone e le realtà che hanno collaborato per la sua realizzazione; a cominciare da questa Arcidiocesi di Maputo e dal suo Pastore, Monsignor Francisco Chimoio, che ringrazio per la fraterna ospitalità e anche per il gioioso saluto che mi ha appena rivolto a nome dei fratelli Vescovi e di tutto il popolo di Dio. Una parola di particolare gratitudine va al Signor Presidente Filipe Nyusi per la sua premurosa attenzione, sia a livello personale, sia attraverso le varie istituzioni governative e le forze di sicurezza della nazione. Ringrazio per il lavoro sacrificato e silenzioso dei membri del comitato organizzatore e di tanti volontari. Sono grato ai giornalisti e a tutta la brava gente che è uscita di casa per salutarmi.

Sorelle e fratelli, so che avete dovuto fare dei sacrifici per partecipare alle celebrazioni e agli incontri… e so che vi siete bagnati tutti, spero con acqua benedetta! Lo apprezzo e vi ringrazio di cuore. E sono grato anche a quanti non hanno potuto farlo per le conseguenze dei recenti cicloni: cari fratelli, ho sentito ugualmente il vostro sostegno! E dico a tutti: avete tanti motivi per sperare! L’ho visto e l’ho toccato con mano in questi giorni. Per favore, conservate la speranza; non lasciatevela rubare! E non c’è modo migliore per conservare la speranza che quello di rimanere uniti, affinché tutti i motivi che la sostengono si rafforzino sempre più in un futuro di riconciliazione e di pace in Mozambico. Dio vi benedica e la Vergine Madre vi protegga! E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

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Britta Dörre

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