Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Missionari perché discepoli

Domenica XV del Tempo Ordinario – Anno B – 15 luglio 2018

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Rito Romano
Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
 
Rito Ambrosiano
Gs 10,6-15; Sal 19; Rm 8,31b-39; Gv 16,33-17,3
VIII Domenica dopo Pentecoste.
 
1) I Discepoli sono dei chiamati.
Nel vangelo di oggi, San Marco si preoccupa di fornirci i tratti essenziali della fisionomia del discepolo, che una persona scelta, separata, santa. In effetti la parola “santo” viene dal latino che vuol dire “separato”, separato dal mondo e dal male per entrare nelle sfera di Dio,  “messo a parte” per un compito speciale, quella diportare l’annuncio di salvezza al mondo intero.
Il discepolo è colui – stupito – che ascolta, crede e si stacca dalla folla per stare accanto a Cristo e portare l’annuncio della sua presenza dalla quale è stato stupito. Anche la folla ascolta ma poi torna a casa. Il discepolo, invece, rimane con Cristo e con lui conduce, fedelmente, una vita di comunione e di pellegrinaggio con Lui. Vive la scelta, la separazione non come allontanamento dagli altri, ma come prossimità, familiarità con Cristo. La vita di comunione con Lui diventa missione.
Quali sono, dunque, i tratti essenziali della figura dei suoi discepoli (quelli di allora e quello di oggi) di Cristo? Sono: 1. l’abbandono completo nella sequela, 2. l’amorosa confidenza, 3. la missionarietà che reca gioia.
Nel brano evangelico di questa domenica San Marco parla di Gesù che invia i suoi discepoli in missione,  perché il discepolo è colui che ha lasciato tutto per seguire Cristo e diventarne missionario con una fiducia tale da servirsi solo di mezzi poveri: un paio di sandali, un vestito e un bastone per il cammino.
Dunque, il discepolo è colui, che ascolta, crede, si distacca da ciò che gli è caro e si pone al seguito di Gesù, che gli è diventato ciò che di più caro ha: Gesù è la perla preziosa.
Il discepolo rimane con Cristo, fa vita comune e itinerante con Lui, che lo invia in missione. Ma c’è anche un altro aspetto: il discepolo è inviato in missione. In effetti, San Marco ci dice che Cristo ha inviato i suoi discepoli per compiere la missione portare a tutti i popoli l’annuncio gioioso non solo che la salvezza è vicina ma che il Salvatore è incontrabile tramite la presenza dei suoi discepoli di vita nuova.
E questo è vero anche oggi perché il cristianesimo vive come un fatto presente e si comunica come incontro reale.
Ma va tenuto presente che il discepolo cristiano è anzitutto un chiamato da Dio che si è fatto incontro. Propriamente parlando, non si diviene cristiani per autonoma scelta; lo si diventa per risposta ad una chiamata. C’è, infatti, un amore che precede la nostra risposta. E’ questo che ci è insegnato da Cristo quando dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv …) e da San Paolo: “In Cristo (il Padre) ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1, 46). Già l’Antico Testamento, da Abramo in poi, pone Dio all’origine di ogni chiamata; l’iniziativa di avviare la storia della salvezza del popolo d’Israele è tutta del Signore. “Abramo, chiamato da Dio, obbedì” (Eb 11, 8).
Anche nelle narrazioni delle vocazioni profetiche emerge con chiarezza il primato di Dio che chiama. Esemplare è la vicenda di Amos, che ascoltiamo nella prima lettura della Messa di questa Domenica. Questo profeta è come scaraventato dalla vocazione in un duro confronto con le ingiustizie del potere politico. Inoltre deve scontrarsi con le fredde considerazioni del “cappellano di corte”, il sacerdote Amasia, che lo esorta alla prudenza. Amos ribatte al sacerdote che alla radice delle sue parole non c’è una sua scelta personale legata a prospettive proprie. E’ Dio stesso che lo ha costretto con una ben precisa chiamata: “Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e un raccoglitore di sicomori; il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va’, profetizza in mezzo al mio popolo Israele” (Am 7, 14 -15).
 
            2) Discepoli cioè missionari.
Non solo il profeta è chiamato ad essere missionario. Anche il discepolo è inviato in missione, come il brano evangelico di oggi[1] (6,7-13) ci fa  meditare.   Infatti, l’evangelista Marco annota che Gesù “li mandò” e questo comporta almeno la consapevolezza di essere inviati da Dio e non da decisione propria, mandati per un progetto in cui i discepoli sono coinvolti, ma di cui non sono i proprietari.
Oggi come allora i cristiani, che in quanto tali sono discepoli di Cristo, vengono inviati quali Missionari della verità misericordiosa. Oggi come allora i discepoli invitano la gente alla conversione e danno sollievo alla sofferenza.
Il messaggio, che in nome di Cristo annunciano, è un invito alla conversione: “Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Pure e sante sono le nostre mani sui malati con le quali annunciamo: Dio è già qui, è vicino a te con amore, e guarisce la vita, girati verso di lui”.
E’ importante capire l’insistenza di Gesù evangelica sulla povertà come condizione indispensabile per la missione: né pane, né bisaccia, né soldi. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza. Anzitutto, libertà e leggerezza: un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per giudicare irrinunciabile la casa nella quale si è accomodato e dalla quale non vuole più uscire. Inoltre la povertà è anche fede: è segno di chi non confida in se stesso ma si affida a Dio.
Ma c’è anche un altro aspetto che non si può dimenticare: l’atmosfera “drammatica” della missione. Il rifiuto è previsto (Mc 7, 11): la parola di Dio è efficace, ma a modo suo. Il discepolo deve proclamare il messaggio e in esso giocarsi completamente, ma deve lasciare a Dio il risultato. Al discepolo è stato affidato un compito, ma non è garantito il successo.
Inoltre è importante non dimenticare che il discepolo non è solo che è chiamato ad essere un maestro, ma è pure un testimone che si impegna nella lotta contro il Male, perché è dalla parte della verità, della libertà e dell’amore,
Infine, non bisogna dimenticare che per essere missionari, bisogna prima di tutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l’invito a seguirlo, imitandolo: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è una persona che si pone all’ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc 10,39), riconosciuto come il Maestro che ci ha amati fino al dono della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di noi, di lasciarsi plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio: essa ci renderà amici del Signore Gesù e capaci di far entrare altre persone in questa amicizia con Lui. Questa amicizia fraterna con Cristo, centro della nostra vita, permette di andare nelle periferie umane per portare a tutti la verità di Cristo, Amore incarnato.
Un modo particolare di essere “discepoli-missionari” (Papa Francesco) è quello delle vergini consacrate che vivendo e lavorando nel mondo incontrano le persone che vivono e lavorano nelle periferie esistenziali. Vi è uno stile femminile nel vivere la missione, uno modo di essere discepole-missionarie come lo è stata la Vergine Maria, la Discepola-Missionaria per eccellenza. Più che a Mnasone di Cipro che ospitò San Paolo nel suo viaggio da Cesarea a Gerusalemme è alla Madonna che compete il titolo di “discepolo della prima ora” (At 21, 16), perché credette al Figlio di Dio l’Altissimo nel momento nel momento in cui si incarnava nel suo grembo per opera dello Spirito Santo.
E’ Maria la prima missionaria perché per prima portò Cristo sulle strade del mondo per andare dalla cugina Elisabetta. Fu una missionaria che portava non un discorso, ma il Vangelo in carne e ossa. Le Vergini consacrate imitano in modo speciale la Madonna mediante la vigilanza e la preghiera, cioè mediante la custodia del cuore offerto a Cristo con il dono della loro verginità, e la docilità allo Spirito Santo. Mediante una vita riservata, anche se nel mondo le vergini consacrate vivono un raccoglimento personale, grazie al quale si dedicano all’ascolto delle Parola di Dio. Sul loro esempio, il nostro cuore e la nostra mente tengano vivo l’amore materno, che anima tutti quelli che nella missione della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini (Cfr Lumen Gentium, 65). Ogni cristiano è chiamato a fare proprio l’atteggiamento di Maria per animare maternamente l’annuncio evangelico di Cristo e per esercitare il “potere” di servire il Signore nei fratelli e sorelle in umanità, vivendo nella propria situazione la fecondità verginale della Chiesa, come appunto testimoniano le Vergini consacrate.
 
Lettura Patristica
Beda il Venerabile,
In Evang. Marc., 2, 6, 6-9
 
Le caratteristiche della missione dei discepoli
 
E percorreva i villaggi circostanti insegnando. Chiamò poi i dodici e cominciò a mandarli a due a due a predicare e dava loro il potere sugli spiriti immondi” (Mc 6,6-7).
 
«Benevolo e clemente, il Signore e maestro non rifiuta ai servi e ai discepoli i suoi poteri, e, come egli aveva curato ogni malattia e ogni debolezza, così dà agli apostoli il potere di curare ogni malattia ed ogni infermità. Ma c’è molta differenza tra l’avere e il distribuire, il donare e il ricevere. Gesù, quando opera, lo fa col potere di un padrone; gli apostoli, se compiono qualcosa, dichiarano la loro nullità e la potenza del Signore con le parole: “Nel nome di Gesù, alzati e cammina» (Girolamo).
 
E ordinò loro di non prender nulla per il viaggio se non un bastone soltanto, non bisaccia, non pane, né denaro nella cintura, ma andassero calzati di sandali e non indossassero due tuniche” (Mc 6,8-9).
 
«Tanto grande dev’essere nel predicatore la fiducia in Dio che, sebbene non si preoccupi delle necessità della vita presente, tuttavia deve sapere con certezza che non gli mancherà niente. E questo per evitare che, se la sua mente è presa da preoccupazioni terrene, egli non rallenti nell’impegno di comunicare agli altri le parole eterne (Greg. Magno).
 
Quando infatti – secondo Matteo – disse loro: “Non vogliate possedere né oro né argento” – con quel che segue, – subito aggiunse: “Perché l’operaio ha diritto al suo sostentamento” (Mt 10,9-10). Mostra insomma chiaramente perché non ha voluto che essi possedessero né portassero seco quei beni; non perché questi non siano necessari al sostentamento di questa vita, ma perché egli li inviava in modo da far capire loro che tali beni erano loro dovuti dai credenti ai quali avrebbero annunziato il vangelo. È chiaro dunque che il Signore non ordinò queste cose come se gli evangelisti non dovessero vivere di altro che di ciò che offrivano loro i fedeli cui essi annunziavano il vangelo (altrimenti si sarebbe comportato in modo opposto a questo precetto l’Apostolo [cf. 1Th 2,9 ], che era solito ricavare il sostentamento dal lavoro delle sue mani per non essere di peso a nessuno), ma dette loro una libertà di scelta nell’uso della quale dovevano sapere che il sostentamento era loro dovuto. Quando il Signore comanda qualcosa, se questa non si compie, la colpa è della disobbedienza. Ma quando è concessa la facoltà di scelta, è lecito a ciascuno non usufruirne o sottostarvi liberamente. Ebbene il Signore, col dare l’ordine, che l’Apostolo ci riferisce (1Co 2,9) essere stato da lui dato, a quanti annunziano il Vangelo, cioè di vivere della predicazione del Vangelo, intendeva dire agli apostoli che non dovevano possedere né dovevano avere preoccupazioni; che non dovevano portare con sé né tanto né poco di ciò che era necessario a questa vita; per questo aggiunse: “neppure il bastone“, per sottolineare che da parte dei fedeli suoi tutto è dovuto ai suoi ministri che non chiedono nulla di superfluo. Aggiungendo poi “infatti l’operaio ha diritto al suo sostentamento”, ha chiarito e precisato il perché delle sue parole. Ha simboleggiato nel bastone questa facoltà di scelta, dicendo che non prendessero per il viaggio altro che un bastone, per fare unicamente intendere che in grazia di quella potestà ricevuta dal Signore, e raffigurata nel bastone, gli apostoli non mancheranno neppure delle cose che non portano seco. La stessa cosa deve intendersi delle due tuniche nessuno di loro ritenga di doverne portare un’altra oltre quella che indossa, timoroso di poterne avere bisogno, in quanto può averla grazie a quella potestà di cui abbiamo parlato».
 
[1] “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano” (Mc 6. 7 – 13).
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Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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