Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Missione e compassione

Domenica XVI del Tempo Ordinario – Anno B – 22 luglio 2018

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Rito Romano
Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
 
Rito Ambrosiano
2Sam 6,12b-22; Sal 131; 1Cor 1,25-31; Mc 8,34-38
IX Domenica dopo Pentecoste.
 
1) Missione nasce dalla comunione e in essa si ristora.
In Vangelo di questa XVI domenica del Tempo Ordinario (anno B) ci mostra i discepoli di Cristo che ritornano dalla missione, durante la quale hanno portato l’annuncio delle buona e lieta novella: il “Vangelo della Gioia” (Papa Francesco). In effetti, mentre il Vangelo di domenica scorsa ci ha mostrato Gesù che invia i dodici apostoli, due a due, nei villaggi della Galilea per annunciare l’avvento del regno di Dio, per guarire i malati e aiutare i deboli e i poveri, il brano evangelico di oggi ci presenta il ritorno dei discepoli dalla loro missione. Questi ritornano lieti da Cristo. Sono felici, ma anche un poco stanchi, come accade ad ogni vero “missionario” che dimentica se stesso e si affatica portare al mondo il Vangelo, buona e lieta notizia che la misericordia ha preso dimora tra gli uomini.
Nel loro viaggio apostolico hanno sperimentato la potenza della Parola, ma anche la fatica e il rifiuto. E, oggi, Gesù li invita al riposo, in un luogo solitario, in sua compagnia: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’” (Mc 6, 31), perché è nel deserto che Dio parla al loro e nostro cuore. C’è il momento della missione e dell’impegno e c’è il momento del riposo, c’è il momento dell’accoglienza e c’è il momento della solitudine. Con Cristo il “luogo solitario” diventa un’oasi n cui fermarsi per assaporare la gioia della comunione con Lui e dissetare la nostra sete di Dio.
Sia che si svolga in terre lontane che con il prossimo con il quale viviamo e lavoriamo, la missione ha bisogno non solamente di parole e di testimonianza, ma anche di preghiera e contemplazione. Ci vuole il silenzio del deserto per cogliere ciò che solo è essenziale; senza le parole degli uomini è più facile riascoltare la Parola di Dio. Non si tratta di parlare o di tacere, di fare o di non fare; si tratta di decidere con chi parlare, per chi agire. Santa M. Teresa di Calcutta diceva alle sue suore: “Per essere in grado di realizzare la pace parleremo molto a Dio e con Dio, e meno con gli uomini e agli uomini”
Per mettere in pratica questo insegnamento della Santa “dei più poveri dei poveri”, penso sia utile sottolineare non solamente l’importanza di trovare nella giornata momenti di meditazione e di recarci in luoghi dove si possa fare un ritiro spirituale, ma la “necessità” di andare in Chiesa per gustare quel “riposo” che è la Messa domenicale. Forse la Messa della domenica non è normalmente vissuta come momento di riposo, ma andando in Chiesa almeno la domenica accogliamo l’invito di Cristo di metterci “in disparte” cioè in un luogo diverso dalle ordinarie occupazioni e raccolto, quindi, lontano dalle distrazioni, anche quelle, legittime, delle vacanze, per poter incontrare Dio e con lui dialogare, ascoltare una parola vera sulla vita, nutrirci di un cibo di comunione e  un’amicizia salda, ricevere la grazia capace di tenerci.
Non si tratta di evadere dalla vita. L’incontro con il Signore nella domenica è come una luce che illumina il tempo di ieri, per comprenderlo, santifica quello presente, mettendolo nelle mani di Dio, rischiara quello di domani, per farne vedere il percorso. In questo modo possiamo essere, tutti, dei missionari che  camminano nel mondo per cercare gli altri, ma si fermano con Cristo per trovare noi stessi, consolati da Lui.
 
2) La preghiera non è una fuga dalla missione, ne è l’anima
La gente, quella di allora e quella di oggi, è senza dubbio l’oggetto primario della missione del Signore e dei discepoli. E’ su di loro che si dirige la compassione di Gesù; per questo il Vangelo può notare: “era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare”. Tuttavia ciò non impedisce a Cristo ed ai suoi discepoli di vivere dei momenti “in disparte”, il che non significa una fuga dal mondo e dagli uomini. Sono momenti nei quali Cristo insegna ai suoi discepoli come vivere in comunione. “In disparte”, i discepoli ascoltano solamente il Signore, fanno scendere nel loro cuore le parole della Scrittura che sono come un respiro più grande dentro il quale far riposare il cuore, rischiarare la mente, pensare come pensa il loro Maestro, amare come ama Lui e per stare con Lui in pace.
Quindi, se vogliamo davvero essere missionari e fare del bene all’umanità, è molto importante, direi indispensabile, prendere del tempo per stare solamente con Cristo. Oltre alla Messa, quindi, troviamo del tempo, ogni giorno, per stare in silenzio, in preghiera, in ascolto del Signore.
Un esempio molto significativo ci viene dalla Vergini Consacrate che con la loro vita incentrata sulla preghiera mostrano che le cose importanti da fare, e da fare subito e sempre, non sono le cose del mondo, ma l’accoglienza di Cristo e del suo Regno.  L’urgenza delle “cose di Dio”, la ricerca di Dio, l’ascolto della sua Parola è la  condizione prioritaria per fare spazio alle persone, senza farsi travolgere dalla fretta delle cose da fare e dall’ansia del possesso.
E’ la carità di Cristo, al quale si sono donate pienamente e gioiosamente, che avvolge, coinvolge e spinge le Vergini consacrate verso i fratelli e sorelle in umanità portando la felice notizia che Dio c’è, che è incontrabile e che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.
Questa donne testimoniano anche che la preghiera assidua non le allontana dal mondo, nel quale lavorano ogni giorno. La preghiera costante le mantiene orientate a Cristo. In effetti senza di Lui anche con le migliori intenzioni e, persino, con le azioni fatte allo scopo di far del bene agli altri, si può smarrire se stessi. Ci si può “svuotare” al punto tale di non verificare più il senso e l’orientamento per cui si lavora. Se non si prega “riposando con e in Cristo”, si è come foglie nel turbinio di ciò che ci circonda.
La consacrazione “obbliga” le Vergini a dare la priorità a Dio. Lui le ricolma di grazia perché si sono messe in disparte per Lui. A loro che, silenziosamente e discretamente, Gli danno il loro tempo e loro vita, il Signore dispensa la sua ricchezza.  Per questo motivo “non dobbiamo misurare il tempo nella preghiera. Lì più ne perdiamo più ne guadagniamo” (Chiara Lubich, grande maestra spirituale e fondatrice del Movimento dei Focolari)
Nel tempo dato generosamente a Cristo, queste donne consacrate guardano Gesù e ci danno l’esempio di come guardarlo ed avere il suo sguardo, che non si ferma alla superficie ma coglie ciò che sta nel cuore delle persone.
Per Gesù le persone che incontra non sono numeri, non sono nemmeno delle masse indistinte di cui servirsi. Per lui ogni persona è un volto e un cammino di cui prendersi cura. Il suo vedere sa scorgere nelle situazioni non un problema da risolvere ma un ‘tu’, un popolo fatto di volti, che soffre, che pone una domanda, che vive di una attesa, che avverte il peso della contraddizione del male ma anche la sete di verità e di  amore.
Il modo di guardare di Gesù è un vedere che sosta, si ferma, lasciandosi colpire da chi ha di fronte. Il suo primo movimento è ascolto, ospitalità. Se impariamo il modo di guardare di Cristo, ciò che arriva dagli occhi non giunge solamente alla mente e al cuore, e fa commuovere, come racconta il Vangelo di oggi.
In questo Vangelo, San Marco racconta che Gesù si commuove di fronte alle persone. Si lascia ferire innanzitutto. Non si pone come chi ha qualcosa da dare. Gesù incontra le persone come chi è povero, e fa spazio per  accogliere la sofferenza, la domanda di salute e di vita, la paura, insomma tutto ciò che si muove nel più profondo del cuore umano. Senza giudicare, senza escludere, ma facendosi compagnia. Commuoversi, è verbo “femminile” perché in ebraico indica il muoversi delle viscere materne. Con Gesù lasciamoci cambiare dentro  e condividiamo la sua compassione.
 
Lettura patristica
Beda il Venerabile (ca 673 – 735)
In Evang. Marc., 2, 6, 30-34
 
Ritornati gli apostoli da Gesù, gli riferirono tutte le cose che avevano fatto e insegnato (Mc 6,30).
Gli apostoli non riferiscono al Signore soltanto ciò che essi avevano fatto e insegnato, ma, come narra Matteo, i suoi discepoli, o i discepoli di Giovanni, gli riferiscono il martirio che Giovanni ha subito mentre essi erano impegnati nell’apostolato (Mt 14,12). Continua pertanto:
E disse loro: «Venite voi soli in un luogo deserto a riposarvi un poco»” (Mc 6,31), con quel che segue.
Fa così non soltanto perché essi avevano bisogno di riposo, ma anche per un motivo mistico, in quanto, abbandonata la Giudea che aveva con la sua incredulità strappato via da sé il capo della profezia, era sul punto di largire nel deserto, ai credenti di una Chiesa che non aveva sposo, il cibo della parola, simile a un banchetto fatto di pani e di pesci. Qui infatti i santi predicatori, che erano stati a lungo schiacciati dalle pesanti tribolazioni nella Giudea incredula e contestataria, trovano pace grazie alla fede che viene concessa ai gentili. E mostra che vi era necessità di concedere un po’ di riposo ai discepoli con le parole che seguono:
Erano infatti molti quelli che venivano e quelli che andavano; ed essi non avevano neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31).
È chiara da queste parole la grande felicità di quel tempo che nasceva dalla fatica incessante dei maestri e dallo zelo amoroso dei discenti. Oh, tornasse anche ai nostri giorni tanta felicità, in modo che i ministri della parola fossero talmente assediati dalla folla dei fedeli e degli ascoltatori da non avere più nemmeno il tempo di prendersi cura del proprio corpo! Infatti, gli uomini cui è negato il tempo di prendersi cura del corpo, hanno molto meno la possibilità di dedicarsi ai desideri terreni dell’anima o della carne; anzi, coloro da cui si esige in ogni momento, a tempo opportuno e importuno, la parola della fede e il ministero della salvezza, hanno di conseguenza l’animo sempre ardentemente proteso a pensare e a compiere cose celesti, in modo che le loro azioni non contraddicano gli insegnamenti che escono dalla loro bocca.
E saliti sulla barca, partirono per un luogo deserto e appartato” (Mc 6,32).
I discepoli salirono sulla barca non soli, ma dopo aver con sé il Signore, e si recarono in un luogo appartato, come chiaramente racconta l’evangelista Matteo (Mt 14,13).
E li videro mentre partivano e molti lo seppero e a piedi da tutte le città accorsero in quel luogo e li precedettero” (Mc 6,33)
Dicendo che li precedettero a piedi, si deduce che i discepoli col Signore non andarono con la barca all’altra riva del mare o del Giordano ma, varcato con la barca un braccio di mare o del lago, raggiunsero una località vicina a quella stessa regione che gli abitanti del luogo potevano raggiungere anche a piedi.
E uscito dalla barca, Gesù vide una grande folla, e si mosse a compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e prese a dare loro molti insegnamenti” (Mc 6,34).
Matteo spiega più chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: “Ebbe misericordia della folla e risanò i loro ammalati” (Mt 14,14). Questo è infatti nutrire veramente compassione dei poveri e di coloro che non hanno pastore, cioè mostrare loro la via della verità con l’insegnamento, liberarli con la guarigione dalle malattie corporali, ma anche spingerli a lodare la sublime liberalità del Signore ristorando gli affamati. Le parole seguenti di questo passo sottolineano appunto che egli fece tutto questo. Mette alla prova la fede delle folle e, dopo averla provata, la ricompensa con un degno premio. Cercando infatti la solitudine, vuol vedere se le folle vogliono o no seguirlo. Esse lo seguono e, compiendo il viaggio fino al deserto, «non su cavalcature o su carri, ma con la fatica dei loro piedi» (Girolamo), dimostrano quale pensiero essi abbiano per la loro salvezza. E Gesù, come colui che può, ed è salvatore e medico, fa intendere quanta consolazione riceva dall’amore di coloro che credono in lui, accogliendo gli stanchi, ammaestrando gli ignoranti, risanando gli infermi e ristorando gli affamati. Ma secondo il significato allegorico, molte schiere di fedeli, dopo aver abbandonato le città dell’antica vita, ed essersi liberati dall’appoggio di varie dottrine, seguono Cristo che si dirige nel deserto dei gentili. E colui che era un tempo «Dio conosciuto solo in Giudea» (Ps 75,2), dopo che i denti dei giudei sono diventati «armi e frecce, e la loro lingua una spada tagliente», viene esaltato «come Dio al di sopra dei cieli e la sua gloria si diffonde su tutta la terra»«(Ps 56,5-6).
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Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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