Trani / Wikimedia Commons - Martin Stiburek, CC BY-SA 4.0 (cropped)

La Bellezza che salverà il mondo, di Bruno Forte

Dove la carità si irradia, lì s’affaccia la bellezza che salva

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Per cortese concessione dell’autore, riprendiamo di seguito la riflessione settimanale di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicata su “Il Sole 24 Ore” di oggi, domenica 17 settembre 2017 (pp. 1 e 20). 
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I Dialoghi di Trani – giunti quest’anno alla XVI edizione – costituiscono un appuntamento significativo di riflessione e di dialogo per tanti. Quest’anno la ricchezza delle proposte e dei dibattiti messi in programma si potrà avvertire particolarmente grazie al tema prescelto: la bellezza. La splendida cornice della Cattedrale medioevale, del Castello e di molti altri edifici storici di raffinata eleganza, fanno peraltro di quest’ambiente sospeso fra terra e mare, fra Oriente e Occidente, un luogo ideale di incontro delle tante vie che la ricerca umana ha percorso, mossa dalla sete del bello. In questo contesto mi è stato chiesto di introdurrre la riflessione sulla possibile risposta alla domanda posta al principe Myskin dal giovane nichilista Ippolit, che sta morendo di tisi a vent’anni: “Quale bellezza salverà il mondo?”. Il contesto del racconto dà all’interrogativo una profondità radicale, sì che esso viene a toccare gli abissi del mistero che ci avvolge e, in modo particolare, la domanda intorno al volto di quel Dio di Gesù, di cui l’Innocente, Myskin appunto, è testimone e voce ne L’Idiota di Dostoevskji. Per contribuire alla risposta, mi fermo su due spunti evangelici: il primo consiste nel fatto che il Pastore, che raccoglie le pecore nell’unità del Suo gregge, è presentato nel Vangelo come “il bel Pastore” (cf. Giovanni 10,11: “ ‘o poimén ‘o kalós”). La resurrezione rivelerà il volto di questa bellezza nell’Uomo dei dolori che si consegna alla morte per amore nostro: come scrive Agostino, Colui che è “il più bello tra i figli degli uomini’ (Salmo 45,3) è inseparabilmente Colui che “non aveva più né bellezza, né decoro” (Isaia 53,2). Benché avesse la forma divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, per dare a noi bellezza e decoro: “Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità, affinché tu possa correre amando e amare correndo… Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello” (Commento all’Epistola di Giovanni IX, 9). È l’amore con cui ci ha amati che trasfigura “l’uomo dei dolori davanti a cui ci si copre la faccia” (Is 53,3) nel “più bello dei figli degli uomini”: nel crocefisso amore si rivela la bellezza che salva e i discepoli riconoscono l’Amato, che è venuto a raccogliere gli uomini nell’unità di un solo gregge e di un solo Pastore. La carità del Dio Crocefisso indica ai credenti il cammino su cui avanzare, il misterioso richiamo alla bellezza dell’amore divino, cui sempre di nuovo corrispondere per dare pieno senso alla vita.
C’è anche un altro dato evangelico che aiuta a riconoscere nella bellezza una via privilegiata al mistero santo: a notarlo è Pavel Florenskij, il “Leonardo da Vinci russo”, genio della scienza e del pensiero teologico e filosofico, sacerdote di Cristo, morto martire della barbarie staliniana dopo aver lavorato in maniera decisiva all’elettrificazione della Russia. Commentando Matteo 5,16 – “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” – Florenskij osserva che “i vostri ‘atti buoni’ (‘kalà érga’)non vuole affatto dire ‘atti buoni’ in senso filantropico e moralistico, quanto piuttosto ‘atti belli’, rivelazioni luminose e armoniose della personalità spirituale… per cui si espande all’esterno ‘l’interna luce’ dell’uomo, e allora, vinti dall’irresistibilità di questa luce, ‘gli uomini’ lodano il Padre celeste, la cui immagine sfolgora così sulla terra” (Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano 19997, 50). La testimonianza, via privilegiata dell’annuncio del Vangelo, è sfolgorio della divina bellezza negli atti del discepolo interiormente trasfigurato dallo Spirito: dove la carità si irradia, lì s’affaccia la bellezza che salva, lì è resa lode al Padre celeste e cresce la comunione dei discepoli dell’Amato, uniti dal Suo amore crocifisso. È nella liturgia che quest’amore si rende specialmente presente: lo stesso Florenskij indica la celebrazione dei divini misteri come luogo del misterioso incontro del tempo e dell’eternità, grazie a cui si costruisce l’unità voluta dal Signore. Ricordando una delle liturgie celebrate nella Chiesa sulla collina Makovec, rivolta verso il grande Monastero (la “Lavra”) di Sergiev Possad, cuore del cristianesimo russo, così egli descrive la bellezza dell’azione liturgica, simbolo dei simboli del mondo, in cui il cielo dimora sulla terra e l’eternità mette le sue tende nel tempo: “Il Signore misericordioso mi concesse di stare presso il suo trono. Scendeva la sera. I raggi dorati danzavano esultanti, il sole appariva come un inno solenne all’Eden. L’occidente impallidiva rassegnato, e verso di esso era rivolto l’altare, posto sulla sommità della collina. Una catena di nuvole si stendeva sulla Lavra come un filo di perle. Dalla finestra sopra l’altare erano visibili le nitide lontananze e la Lavra dominava come una Gerusalemme celeste. Al Vespero il canto ‘Luce di pace’ sigillava il tramonto. Il sole morente si abbassava sontuoso. Si intrecciavano e si scioglievano le melodie antiche come il mondo; si intrecciavano e si scioglievano i nastri d’incenso azzurro. La lettura del canone pulsava ritmicamente. Qualcosa nella penombra tornava alla mente, qualcosa che ricordava il Paradiso, e la tristezza per la sua perdita veniva trasformata misteriosamente dalla gioia del ritorno. E al canto ‘Gloria a Te che ci hai mostrato la luce’ accadeva significativamente che la tenebra esterna, pure essa luce, calava, ed allora la Stella della Sera brillava attraverso la finestra dell’altare e nel cuore di nuovo sorgeva la gioia che non svanisce, la gioia del crepuscolo della grotta. Il mistero della sera si univa con il mistero del mattino ed entrambi erano una cosa sola” (Sulla collina Makovec, in Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato 1999, 260s.). Aprirsi a “questa” Bellezza – la Bellezza che salva, sperimentata lì dove l’eternità mette le sue tende nel tempo e il compimento si unisce all’inizio – e portarla al centro dell’attenzione e dell’impegno di coloro cui sta a cuore la causa della piena umanità dell’uomo secondo il disegno di Dio, è per i credenti sorgente di nuovo slancio nel loro servizio a ogni creatura ed insieme è una sfida e una promessa per tutti…

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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