«Come il mangiare senza voglia diventa dannoso alla salute, così lo studio senza desiderio guasta la memoria e non ritien cosa che la pigli».
Con settembre che entra nel vivo riaprono le scuole e nel momento del ritorno tra i banchi e dietro le cattedre sarebbe forse utile, un po’ per tutti, tenere a mente l’aforisma di Leonardo da Vinci. Non è un segreto, del resto, che uno dei grandi disagi spirituali attuali sia la mancanza del desiderio di conoscenza: siamo appagati dei luoghi comuni a scapito della ricerca, ormai limitata a navigare su internet. In buona misura la genesi di questa apatia va ricercata nella scuola, che globalmente (fatte le debite eccezioni) somministra un insegnamento, privo di passione e mordente, con programmi insoddisfacenti e insegnanti a volte demotivati o persino didatticamente impreparati, in mezzo ai tanti che non lesinano energie e sacrifici personali per adempiere ad una vera e propria missione, molto più che un semplice quanto nobile lavoro. Ma quella negligenza che sfocia in disinteresse e ignavia è spesso ben più radicata e radicale. Nasce da una esistenza piena del superfluo e priva delle cose che contano e veramente necessarie; si alimenta del comportamento di una società protesa al successo immediato; si basa sull’esempio tutt’altro che esaltante offerto da una buona percentuale delle famiglie.
Insomma, si vive come se il destino delle giovani generazioni interessasse poco o niente, come se lo studio null’altro fosse che una formalità da sbrigare per superare esami. Evidentemente, come annotava amaro già Antonio Gramsci, «occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza».
Perché gli studenti vivano autenticamente, ovvero non si limitino a sopravvivere, è necessario deporre nei loro giovani cuori, il seme della curiosità e della ricerca, nella convinzione – scriveva Platone – che «una vita senza ricerca non mette conto d’esser vissuta». E, magari, noi adulti rammentare, di quando siamo entrati in quel mondo quando era il nostro tempo. Con quella memoria in mente, ci ricorderemmo di come eravamo, timidi e impauriti almeno quanto speranzosi, e sapremmo che ogni alunno, per crescere, ha bisogno prima di tutto – come ne avevamo bisogno noi – di affezione, della benevolenza di maestri che abbiano a cuore lui e ciò che può diventare. E forse proprio questa attenzione ai figli, a qualunque figlio, è ciò che sembra più raro e quasi impossibile, specie in un’Italia sempre più povera di figli e ricca, al contrario, di ragazzi sempre più in fuga, che vanno a cercare una possibilità di vita altrove perché qui non la trovano, se non nella precarietà di lavori a termine, con stipendi che non consentono nemmeno di pensare a metter su famiglia.
Quel che oggi per tanti studenti ed i loro insegnanti comincia, per moltissimi altri è solo il triste segno del capolinea di quel viaggio iniziato tanti anni prima con una cartella nuova. Per questo c’è tanto da fare, tanto per cui impegnarsi, perché il nuovo anno scolastico non inizi invano. C’è da riconquistare, soprattutto sui libri, la certezza di un futuro, la dignità – spesso negata – di persone con piena cittadinanza.
Monsignor Vincenzo Bertolone è arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza Episcopale Calabra.
Scuola, "Never stop learning" / Pixabay CC0 - geralt, Public Domain
Scuola di speranze e avvenire, di Vincenzo Bertolone
Perché gli studenti vivano autenticamente è necessario deporre nei loro giovani cuori, il seme della curiosità e della ricerca