Offriamo di seguito la traduzione ufficiale dell’omelia tenuta da papa Francesco nella Messa celebrata oggi, sabato 9 settembre 2017, nell’aeroporto “Enrique Olaya Herrera” di Medellín, in Colombia.
***
“La vita cristiana come discepolato”
Cari fratelli e sorelle!
Nella Messa di giovedì a Bogotá abbiamo ascoltato la chiamata di Gesù ai suoi primi discepoli; questa parte del Vangelo di Luca che comincia con quel racconto, culmina nella chiamata dei Dodici. Che cosa ricordano gli Evangelisti tra i due avvenimenti? Che questo cammino di sequela ha richiesto nei primi seguaci di Gesù molto sforzo di purificazione. Alcuni precetti, divieti e comandi li facevano sentire sicuri; compiere determinati riti e pratiche li dispensava da una inquietudine, l’inquietudine di chiedersi: Che cosa piace al nostro Dio? Gesù, il Signore, indica loro che obbedire è camminare dietro a Lui, e che quel camminare li poneva davanti a lebbrosi, paralitici, peccatori. Questa realtà domandava molto più che una ricetta, o una norma stabilita. Impararono che andare dietro a Gesù comporta altre priorità, altre considerazioni per servire Dio. Per il Signore, anche per la prima comunità, è di somma importanza che quanti ci diciamo discepoli non ci attacchiamo a un certo stile, a certe pratiche che ci avvicinano più al modo di essere di alcuni farisei di allora che a quello di Gesù. La libertà di Gesù si contrappone alla mancanza di libertà dei dottori della legge di quell’epoca, che erano paralizzati da un’interpretazione e da una pratica rigoristica della legge. Gesù non si ferma ad un’attuazione apparentemente “corretta”; Egli porta la legge alla sua pienezza e perciò vuole porci in quella direzione, in quello stile di sequela che suppone andare all’essenziale, rinnovarsi e coinvolgersi. Sono tre atteggiamenti che dobbiamo plasmare nella nostra vita di discepoli.
Il primo, andare all’essenziale. Non vuol dire “rompere con tutto”, rompere con ciò che non si adatta a noi, perché nemmeno Gesù è venuto “ad abolire la Legge, ma a portarla al suo compimento” (cfr Mt 5,17). Andare all’essenziale è piuttosto andare in profondità, a ciò che conta e ha valore per la vita. Gesù insegna che la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme e leggi, né tantomeno un compiere certi atti esteriori che non portano a un cambiamento reale di vita. Nemmeno il nostro discepolato può essere motivato semplicemente da una consuetudine, perché abbiamo un certificato di battesimo, ma deve partire da un’esperienza viva di Dio e del suo amore. Il discepolato non è qualcosa di statico, ma un continuo cammino verso Cristo; non è semplicemente attaccarsi alla spiegazione di una dottrina, ma l’esperienza della presenza amichevole, viva e operante del Signore, un apprendistato permanente per mezzo dell’ascolto della sua Parola. E tale Parola, lo abbiamo ascoltato, ci si impone nei bisogni concreti dei nostri fratelli: sarà la fame dei più vicini nel testo oggi proclamato (cfr Lc 6,1-5), o la malattia in ciò che narra Luca in seguito.
La seconda parola, rinnovarsi. Come Gesù “scuoteva” i dottori della legge perché uscissero dalla loro rigidità, ora anche la Chiesa è “scossa” dallo Spirito perché lasci le sue comodità e i suoi attaccamenti. Il rinnovamento non deve farci paura. La Chiesa è sempre in rinnovamento – Ecclesia semper renovanda –. Non si rinnova a suo capriccio, ma lo fa fondata e ferma nella fede, irremovibile nella speranza del Vangelo che ha ascoltato (cfr Col 1,23). Il rinnovamento richiede sacrificio e coraggio, non per sentirsi migliori o impeccabili, ma per rispondere meglio alla chiamata del Signore. Il Signore del sabato, la ragion d’essere di tutti i nostri comandamenti e precetti, ci invita a ponderare le norme quando è in gioco il seguire Lui; quando le sue piaghe aperte, il suo grido di fame e sete di giustizia ci interpellano e ci impongono risposte nuove. E in Colombia ci sono tante situazioni che chiedono ai discepoli lo stile di vita di Gesù, particolarmente l’amore tradotto in atti di nonviolenza, di riconciliazione e di pace.
La terza parola, coinvolgersi. Anche se per qualcuno questo può sembrare sporcarsi o macchiarsi. Come Davide e i suoi che entrarono nel tempio perché avevano fame e i discepoli di Gesù entrarono nel campo di grano e mangiarono le spighe, così oggi a noi è chiesto di crescere in audacia, in un coraggio evangelico che scaturisce dal sapere che sono molti quelli che hanno fame, hanno fame di Dio – quanta gente ha fame di Dio! -, fame di dignità, perché sono stati spogliati. E mi chiedo se la fame di Dio in tanta gente forse non venga perché con i nostri atteggiamenti noi li abbiamo spogliati. E, come cristiani, aiutarli a saziarsi di Dio; non ostacolare o proibire loro l’incontro. Fratelli, la Chiesa non è una dogana; richiede porte aperte, perché il cuore del suo Dio è non solo aperto, ma trafitto dall’amore che si è fatto dolore. Non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello “proibito il passaggio”, né considerare che questo spazio è mia proprietà, impossessandomi di qualcosa che non è assolutamente mio. La Chiesa non è nostra, fratelli, è di Dio; Lui è il padrone del tempio e della messe; per tutti c’è posto, tutti sono invitati a trovare qui e tra noi il loro nutrimento. Tutti. E Lui, che ha preparato le nozze per il suo Figlio, comanda di chiamare tutti: sani e malati, buoni e cattivi, tutti. Noi siamo semplici “servitori” (cfr Col 1,23) e non possiamo essere quelli che ostacolano tale incontro. Al contrario, Gesù ci chiede, come fece coi suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16); questo è il nostro servizio. Mangiare il pane di Dio, mangiare l’amore di Dio, mangiare il pane che ci aiuta a sopravvivere. Lo ha capito bene Pietro Claver, che oggi celebriamo nella liturgia e che domani venererò a Cartagena. «Schiavo dei neri per sempre» fu il motto della sua vita, perché comprese, come discepolo di Gesù, che non poteva rimanere indifferente davanti alla sofferenza dei più abbandonati e oltraggiati del suo tempo e che doveva fare qualcosa per alleviarla.
Fratelli e sorelle, la Chiesa in Colombia è chiamata a impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari, come abbiamo indicato noi Vescovi riuniti ad Aparecida. Discepoli che sappiano vedere, giudicare e agire, come proponeva il documento latinoamericano nato proprio qui, in queste terre (cfr Medellín, 1968). Discepoli missionari che sanno vedere, senza miopie ereditarie; che esaminano la realtà secondo gli occhi e il cuore di Gesù, e da lì giudicano. E che rischiano, che agiscono, che si impegnano.
Sono venuto fin qui proprio per confermarvi nella fede e nella speranza del Vangelo: rimanete saldi e liberi in Cristo, saldi e liberi in Cristo, perché ogni fermezza in Cristo ci dà libertà, così da rifletterlo in tutto quello che fate. Abbracciate con tutte le vostre forze la sequela di Gesù, conoscetelo, lasciatevi chiamare e istruire da Lui, cercatelo nella preghiera e lasciatevi cercare da Lui nella preghiera, annunciatelo con la più grande gioia possibile.
Chiediamo, per intercessione della nostra Madre, la Madonna “de la Candelaria”, che ci accompagni nel nostro cammino di discepoli, affinché ponendo la nostra vita in Cristo, siamo sempre missionari che portiamo la luce e la gioia del Vangelo a tutte le genti.
© Copyright – Libreria Editrice Vaticana