Nella sua consueta rubrica, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde oggi ad una doppia domanda da parte di un lettore italiano.
Gentile padre McNamara, vorrei sapere se, nella recita della Liturgia delle Ore, sia possibile affiancare il latino alla lingua nazionale. Si può dire l’introduzione (“Signore apri le mie labbra…” oppure “O Dio vieni a salvarmi…”) in latino? I cantici evangelici (Benedictus, Magnificat e Nunc dimittis), dal momento che sono riportati in latino in appendice al volume si possono dire in latino oppure l’uso di questa lingua è riservato a quelle parti in cui la scelta tra lingua nazionale e latino è esplicitamente indicata (cioè gli inni e il Te Deum)? All’inizio e alla fine della Liturgia delle Ore e al di fuori delle celebrazioni eucaristiche ci si inchina sempre davanti all’altare o solo quando le candele sono accese? La ringrazio. — P.P., Napoli, Italia
Per quanto riguarda l’uso del latino possiamo trovare dei riferimenti nell’Introduzione Generale alla Liturgia delle Ore. Al n° 276 troviamo il principio di base:
“Nulla vieta, però, che in una medesima celebrazione si cantino alcune parti in una lingua e altre in un’altra.”
Di conseguenza, questa norma permetterebbe non solo l’uso del latino ma anche di lingue di lingue differenti da quella nazionale. Questo soprattutto per quanto riguarda il canto, che è la maniera più consigliata per celebrare il Divino Ufficio.
Troviamo qui altre preziose indicazioni:
“121. Sono possibili svariati modi di eseguire i salmi secondo che lo richiedono il genere letterario, la lunghezza, la lingua, l’esecuzione individuale o collettiva, la partecipazione del popolo. La facoltà di scegliere fra molte soluzioni possibili quella più confacente, giova non poco a far meglio percepire la fragranza spirituale e artistica dei salmi. Questi, infatti, non sono stati ordinati quasi fossero delle semplici quantità di preghiera da far seguire le une alle altre, ma secondo il criterio del contenuto e del carattere specifico di ciascuno di essi.”
“178. Per quanto riguarda la celebrazione in una lingua moderna, si da facoltà alle Conferenze Episcopali di adattare gli inni latini al carattere della propria lingua, e anche di introdurre inni di nuova composizione purché si addicano veramente al carattere dell’Ora, o del Tempo o della celebrazione. Inoltre si deve evitare diligentemente di ammettere delle canzonette popolari, che non hanno nessun valore artistico e che in verità non si addicono alla dignità della liturgia.”
Alla luce di ciò, si può utilizzare all’interno di una celebrazione in lingua locale quasi qualsiasi elemento in latino, specialmente se destinato al canto. Per esempio, tutti quanti gli inni e la maggior parte delle antifone sono dotate di adeguate melodie in latino che si possono usare. Il latino può essere utilizzato anche per i cantici del Vangelo e il Te Deum.
Altre lingue possono essere usate se particolarmente adatte o pastoralmente utili. Per esempio, le edizioni locali della Liturgia delle Ore spesso presentano inni specialmente appropriati per l’invocazione di santi provenienti da quel Paese. Così, per esempio, una comunità che celebri la festività di San Francesco o Santa Teresa d’Avila in inglese potrebbe riprendere per la celebrazione gli inni più idonei nell’originaria versione contenuta nei breviari italiani o spagnoli, i quali utilizzano inni basati sugli scritti di quei santi. Allo stesso modo, una celebrazione spagnola o italiana potrebbe optare per l’uso della “St. Patrick Breastplate” (La corazza di San Patrizio) riscontrabile in alcune versioni inglesi della Liturgia delle Ore.
In breve, quasi ogni inno approvato da una conferenza episcopale per il suo uso nell’Ufficio Divino può essere utilizzato altrove. Una delle “benedizioni” di Internet è che testo e melodie sono prontamente disponibili per un coro capace.
In linea di principio, questa pratica potrebbe venire estesa anche ad altre parti dell’Ufficio se essa si rivelasse d’aiuto nel cantare, anche se è improbabile che questa sia una scelta pastoralmente efficace. Testi come le letture dei Salmi e i cantici sono di solito in vernacolo, anche se, come detto sopra, i cantici evangelici possono essere intonati in latino, soprattutto se ampiamente conosciuti. Ci possono essere occasionali eccezioni, come per le comunità bilingue, in cui le persone sono in grado di passare facilmente da una lingua all’altra.
Dobbiamo anche ricordare le norme liturgiche generali per le quali i testi scritturali usati in vernacolo devono essere quelli approvati per l’uso liturgico dalla Conferenza episcopale nazionale.
Per quanto riguarda l’inchinarsi verso l’altare, questo andrebbe fatto abitualmente quando si entra e quando si esce da una cappella in cui il Santissimo Sacramento non sia conservato nel presbiterio. In quest’ultimo caso una genuflessione sarebbe sufficiente.
Nel celebrare l’Ufficio, le candele sono normalmente accese se a presiedere è un ministro seduto nel presbiterio stesso, indossando i paramenti sacri. In questi casi si inchinerebbe o genufletterebbe nell’entrare nel presbiterio, e venererebbe l’altare con un bacio, come per la Messa.
Se invece un ministro senza paramenti presiede dal centro della cappella o una persona laica conduce l’Ufficio, allora l’accensione delle candele può essere omessa. Alcune comunità hanno però l’abitudine di sempre accendere le candele per la celebrazione dell’Ufficio Divino, e non c’è nulla che vieti questa pratica.
[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]
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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.
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Affiancare il latino alla lingua locale nella Liturgia delle Ore
Rubrica di Liturgia