Gesù / Pixabay CC0 - Myriams-Fotos, Public Domain

È davvero Lui il Salvatore?

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento (Anno A) – 4 dicembre 2016

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Come ciascuno di noi, Giovanni vede sorgere nel cuore la domanda che riassume il dilemma dell’esistenza: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?”. In carcere per la Verità, Giovanni non è sicuro della stessa Verità. Incatenato per un annuncio, chiede conferme su Colui che ha annunciato.
Il carcere è una metafora della sua vita. A causa di Cristo è separato dal mondo, santo in mezzo all’impurità. Il mondo lo ha condannato come condanna ogni giorno la verità. È l’esperienza di ogni apostolo, di ogni cristiano, martire della Parola fatta carne.
È l’esperienza dei giovani cristiani, separati i virtù della primogenitura, non più del mondo ma ancora chiamati a vivere nel mondo. Sentono premere sulla pelle e sulle ossa le tentazioni e la castità, l’obbedienza e il sacrificio pesano come catene.
Spesso la Verità sembra proprio aver incatenato le gioie, le passioni, la poesia della vita, e l’esistenza afferrata da un annuncio di libertà sembra condannata a spegnersi in una cella. Le catene stringono le pulsioni sessuali che il mondo spinge a seguire, la porta sbarra la strada a discoteche e concerti affollati di ragazzi.
Così per tante mogli, assalite come già Eva dalle menzogne suadenti del demonio, che dipinge le pareti domestiche come fossero le grate di un carcere, e i pannolini dei bambini come fossero strumenti di torture.
E il matrimonio comincia ad apparire come un convento di clausura che non si è scelto, che sottrae indipendenza, realizzazione di sé, taglie e libertà, amicizie e svaghi. Chiamate a donarsi nella sottomissione che dischiude il Cielo nella carne della vita coniugale, si finisce con il sottomettersi al duro giogo della menzogna che sbiadisce l’identità di donna, moglie e madre per indossarne di false.
Così per tanti mariti, che ogni ritorno a casa sembra una condanna, un ergastolo da scontare dietro ai capricci di moglie e figli. Chiamati a morire per la moglie come Cristo per la sua Chiesa, si trovano a vivere nel matrimonio come dentro un carcere di massima sicurezza; e tutta la vita scorre tra mille progetti e tentativi di evasione, nell’illusione di trovare la felicità nella libertà che ti incatena alla dittatura delle concupiscenze.
Per questo la domanda sale prepotente: è Cristo la Verità? È davvero Lui il Salvatore? È Lui che attende il mio cuore impaziente di libertà e felicità? È Lui o devo aspettare qualcun altro, qualcosa d’altro? La volontà di Dio è il solo senso autentico che dà pienezza alla mia vita?
E il Signore ci risponde come ha risposto a Giovanni: invia la sua Chiesa, i testimoni che hanno visto la Parola incarnarsi nei segni da Lui compiuti. Essi indicano il Cielo, un potere che scavalca il muro delle possibilità umane: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano”. Non siamo noi? Non sono i segni compiuti nella nostra storia? I segni di un amore più forte del peccato, della carne, del mondo. La pace, la gioia, il senso, la pienezza in un’angusta cella di prigione.
Scopriamo allora di essere stati salvati mille volte e di aver gustato cosa significhi non vivere per se stessi, e la gioia infinita di donare la propria vita. Scopriamo le sue impronte digitali impresse nelle nostre storie.
Ma spesso anche questo non basta: sbattendo sulla Croce ritorna il dubbio. È lo “scandalo” che Gesù aveva profetizzato a tutti discepoli la notte in cui fu consegnato, la ragione profonda di ogni nostra sofferenza. Il matrimonio, il lavoro, la parrocchia, gli amici, il fidanzamento, la scuola, tutto è segnato dal peccato. Per questo non si può vivere senza la Croce, l’unico antidoto al male.
Abbiamo bisogno dei “messaggeri che preparino l’avvento del Signore”, della Chiesa che ci annunci il Vangelo, l’unica password capace di decodificare la realtà: “proprio perché evangelizza e perché possa evangelizzare, il sacerdote, come la chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato” (Giovanni Paolo II).
Abbiamo bisogno di rinascere in un cammino serio di conversione. “I nati di donna”, infatti, sono concepiti nel peccato. Come ogni profeta, come Giovanni il Battista, il “più grande” tra tutti i profeti, possono giungere sulle soglie del Regno dei Cieli, ma non vi possono entrare. Non per una questione giuridica, ma sostanziale. Chi non è rinato dall’alto non può vedere il Regno dei Cieli; chi non rinasce dallo Spirito nelle acque del Battesimo non vi può entrare.
Sono le parole di Gesù rivolte a Nicodemo: “quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è Spirito”. Non si può cristiani e testimoni autentici “avvolti nelle morbide vesti” di chi indossa la vita dell’altro, o “stando nei palazzi dei re” che si nutrono degli affetti. Si può esserlo solo crocifissi con Cristo, offrendo la propria vita.
Come in questo Avvento, ogni mattina siamo chiamati a destarci e ricominciare a camminare verso le acque del battesimo. Occorre rinascere come “il più piccolo” in famiglia e ovunque, perché “il più grande nel Regno dei Cieli” è un bimbo appena nato. Un padre che rinasce ogni mattina saprà amare ed educare i suoi figli. Un maritopiù piccolo di sua moglie saprà donarsi a lei, come una moglie più piccola del marito saprà sottomettersi umilmente a lui come a Cristo.
Non dobbiamo aspettare nessun falso profeta a cambiare la società, il condominio, il lavoro e il matrimonio. Arriva Gesù, “il più piccolo tra i piccoli”: viene alla nostra vita per fare della piccolezza quella che ci scandalizza e non possiamo accettare, il luogo della Gloria di Dio.
E così, come per qualunque suora di clausura, le grate che ci separano dal mondo diventeranno segno di libertà: è fuori che si è incarcerati, nella propria cella invece si gusta il Cielo, dove la Croce di oggi è il letto d’amore dove ci sposa Cristo.
 

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Antonello Iapicca

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