Ad accoglierli l’equipe degli educatori ed il disegno su una parete di una grande mongolfiera. “E’ il simbolo di quest’anno: i genitori sono il prato: ogni mamma è stata invitata a mettere un fiore e fare un augurio al ragazzo. I grandi alberi erano le scuole e i servizi sociali con le loro foglie colorate.
Gli educatori di Io Valgo, le nuvole e il vento, importanti per spingere e sostenere il viaggio della mongolfiera. Nel cestino i ragazzi hanno posto il loro nome ed una parola per questo anno che li attende. Quella più gettonata è stato impegno: fa ben sperare”.
Otto mesi sui banchi per prepararsi alla licenza, altri tre per accompagnarli dopo. “Non è un doposcuola, nè una scuola semplificata” spiega. “È fondata sull’incontro, quello vero con l’altro, con cui si stringe un patto educativo. E’ territoriale, flessibile nei setting, nei tempi, spazi ed apprendimenti. E’ comunitaria nelle esperienze, gestione, verifica e programmazione; è esperienziale, cura”.
I protagonisti sono loro, i ragazzi “drop out” quelli con “danno motivazionale” sottolinea: “hanno un consolidato senso di incapacità, il rifiuto di coinvolgersi in attività che possano esporli al rischio di insuccessi, ostilità preconcetta verso il coinvolgimento in attività che anche solo lontanamente sembrano scolastiche, la tendenza a banalizzare, ridicolizzare quanto proposto”.
A “giocare il gioco” educativo è una vera squadra: insegnanti, educatori, psicologi, esperti. “Si tratta di accompagnare di volta in volta un gruppo di adolescenti, a divenire protagonisti del proprio crescere, mettendo al centro la persona, la relazione educativa, il gruppo e fornendo loro i mezzi per una crescita umana, culturale, professionale e sociale, rafforzando il carattere e la relazione con sè, l’autostima, educando alla cittadinanza e alla legalità, alla cultura del lavoro, rafforzando l’area della relazione con l’altro”.
Ma come si riportano in classe ragazzi tra i 14 e i 18 anni, demotivati e feriti. Come si rialza il loro sguardo al futuro? Si parte dalla relazione uno ad uno, costruendo un habitat su misura dei loro bisogni; “riconoscimento e accettazione da parte dell’adulto sono punto di partenza per un viaggio comune. L’apprendimento deve passare da una relazione positiva con gli adulti, perchè esiste un interesse reciproco alla relazione”.
Con i genitori si sospende ogni giudizio, permettendo la vicinanza ad adulti fragili le cui famiglie sono in situazione di multi problematicità. “abbiamo notato in questi anni che la metà dei papà sono in carcere e i due terzi delle mamme non ha mai concluso la scuola dell’obbligo pur essendo donne con meno di quarant’anni”.
Esiste una correlazione proporzionale tra il legame con i ragazzi e la vicinanza con le famiglie. Con le scuole di provenienza si è passati oramai da accordi organizzativi ad una riflessione comune tra insegnanti ed operatori del progetto. Dal punto di vista del metodo la programmazione, basata sui moduli, è adattata all’andamento del gruppo e rimodellata secondi le necessità. Sei le uscite territoriali e cinque settimane di accoglienza di gruppi di pari. Poi i laboratori quotidiani: fotografia, orto, cucina, manualità ed orientamento.
Si inizia la giornata con un setting informale, poi lavoro comune a tutto il gruppo in attività ludiche o di laboratorio o riflessione, situazioni-stimolo preparatorie alle discipline delle successive tre ore. Quindi si alternano le materie di area scientifica e di lingua a cui segue un laboratorio. La giornata si conclude con un momento di riflessione e di autovalutazione.
Tra gli strumenti ancora la cura per ciascun studente del proprio book, portfolio-raccoglitore, in cui organizzare e verificare i propri progressi, attività di autovalutazione, peer-education che favorisce la comunicazione tra adolescenti, la firma del patto educativo, alleanza tra scuola, famiglia, ragazzo e operatori del progetto.
Per i docenti riunione di osservazione pedagogica, psicologica con il supporto di esperti, quindi di programmazione.
In 11 anni di attività circa 130 ragazzi accompagnati alla licenza media, un quinto ha proseguito alle superiori. 66 mila euro il costo complessivo annuale, tra spese del personale, materiali, uscite, per un costo pro capite a studente di 3.300 euro. A pagarli la Congregazione dei Fratelli delle scuole Cristiane e una parte la Fondazione Mission Bambini.
La formula funziona e risponde ad un bisogno crescente. Presto i Lasalliani apriranno anche a Grugliasco, Torino.
Tra i religiosi anche i Barnabiti sono scesi in campo in questo delicato compito. La Fondazione Sicomoro gestisce 3 aule di scuola della seconda opportunità, due a Milano e una a Lodi. “A Milano la prima esperienza nasce nel 2001 nel quartiere Gratosoglio presso la Parrocchia Maria Madre della Chiesa” spiega P. Engenio Brambilla, presidente della Fondazione Sicomoro per l’istruzione onlus“. “Nel 2010 abbiamo aperto l’aula nel quartiere Barona presso la Parrocchia dei SS. Nazaro e Celso, nel 2014 a Lodi”.
Ogni aula è composta da 10/12 alunni provenienti dalle scuole delle città in protocollo di intesa con la Fondazione. 14/16 anni l’età media, per un anno di studio che li accompagna alla licenza media. E se i contenuti sono gli stessi è l’approccio che fa la differenza: “sentirsi a casa anche in aula, laboratori, esperienze di vita”. Complessivamente 250 gli alunni seguiti nel corso degli anni.
“Il successo scolastico e formativo è stato significativo, siamo a circa il 90% delle promozioni. Il dopo è un po’ più difficile da monitorare. Sicuramente tutti gli alunni del progetto vengono riscolarizzati attraverso l’iscrizione a una scuola superiore, principalmente un Centro di formazione professionale”. Il progetto ha firmato un accordo quadro con la Direzione Scolastica Regionale e attraverso le direzioni territoriali disloca sul progetto insegnanti di materia.
La scuola funziona in una interazione tra insegnanti ed educatori professionali. Accanto a loro il coordinatore-preside e la psicologa. Il monitoraggio è affidato ad un pedagogista. Costo ad alunno, ad aula completa, 3.500 euro l’anno, comprensivo di attività didattica, materiali, gite, laboratori, assicurazione, formazione insegnanti, supporto educatori. Il progetto ha avuto finora parte di finanziamenti dal Comune di Milano, Assessorato educazione e scuola, e parte da privati, come la Fondazione Banca Unicredit.
Il 17% la media italiana relativa alla dispersione scolastica. Circa 7 mila euro l’anno il costo sociale di ogni ragazzo che esce dal percorso di studi.
“L’incontro con il progetto di Scampia è avvenuto due anni fa” spiega Brambilla. “L’idea è di provare a incrociare strategie e progetti di intervento educativo, modalità di appartenenza territoriale, monitoraggio del fenomeno della dispersione scolastica, confronto sulla sostenibilità dei progetti e strategie di copertura e finanziamento”. Una scuola “alternativa” e oggi, per pochi. Forse per tutti, la scuola di domani.
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