Il golpe inglese

Il golpe inglese

La mano dei britannici dietro l'uccisione di Aldo Moro?

L’ipotesi è formulata dal giornalista Fasanella nel suo “Il golpe inglese”, dove traccia una storia delle ingerenze di Londra sull’Italia

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In occasione del centenario della nascita di Aldo Moro, restano ancora impressi nelle menti degli italiani il mistero dei 55 giorni del sequestro e dell’uccisione del presidente della Dc. E se la strada per dirimere la matassa portasse Oltremanica? Se nel dietro le quinte di questo mistero fossero nascosti i servizi segreti britannici? ZENIT prosegue la sua indagine sul “Caso Moro” intervistando oggi il giornalista Giovanni Fasanella, autore di importanti libri sugli aspetti meno conosciuti della storia contemporanea del nostro Paese, tra i quali “Il Golpe inglese” (ed. Chiarelettere, 2011).
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In questo suo volume che ripercorre decenni di manovre britanniche per limitare la sovranità nazionale italiana, Lei e l’altro autore M. J. Cereghino definite il caso Moro come “l’ultimo atto della guerra segreta” mossa da Londra contro il nostro Paese. Tappe precedenti di questa trama andrebbero individuate, tra le altre, nell’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti e nell’attentato ai danni del fondatore dell’ENI Enrico Mattei. Un possibile rilancio italiano turbava dunque i sonni della Corona?
Gli inglesi ci hanno aiutato a fare l’Italia, non dimentichiamolo. Ma lo fecero per interesse, ricordiamo anche questo. Uno Stato italiano abbastanza forte doveva infatti servire a contenere l’espansionismo dell’altro grande impero coloniale dell’Ottocento, quello francese, rivale della Gran Bretagna in aree sensibilissime come il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente, che i governi di Sua Maestà consideravano, per importanza, seconde alla Gran Bretagna stessa. Uno Stato abbastanza forte, dicevo. Ma non troppo. Non forte al punto da far ombra, un giorno, allo stesso Regno Unito. Per questo, fatta l’Italia, Londra si pose subito il problema di come controllarne la politica interna ed estera in funzione delle proprie strategie. E per lo stesso motivo, combatté con ogni mezzo tutti gli esponenti delle classi dirigenti italiane che entrarono in rotta di collisione con gli interessi britannici. Da Cavour a Moro.
Nelle innumerevoli ricostruzioni dell’affaire Moro è stata sempre posta in risalto la volontà atlantica di impedire l’allontanamento, vero o presunto, dell’Italia dal blocco occidentale. Possiamo dire che la strategia mediterranea di Roma meriti un’attenzione parimenti rilevante nella comprensione degli inconfessabili moventi che portarono all’uccisione del presidente della Dc?
L’appartenenza dell’Italia al blocco atlantico non è mai stata in discussione. Come non era in discussione, per dire, l’appartenenza della Cecoslovacchia al blocco sovietico. Questo venne deciso a Yalta verso la fine della seconda guerra mondiale. E sulla spartizione dell’Europa in aree di influenza tra le potenze vincitrici, nei decenni successivi, si resse l’equilibrio della guerra fredda. Moro non voleva che l’Italia uscisse dalla Nato. Voleva un’altra cosa: che i comunisti italiani rompessero ogni legame con il mondo sovietico e scegliessero definitivamente l’Occidente. E perseguiva, nel contesto dell’alleanza atlantica, una politica mediterranea e terzomondista che urtava gli interessi inglesi. Il declino dell’impero britannico coincise proprio con il ciclo della politica estera morotea, tra il 1969 e la prima metà degli anni Settanta. Insomma, Moro costituiva un problema sia per Mosca che per Londra.
Una soffiata dei servizi segreti israeliani al Sismi indicava in Palazzo Caetani, a pochi metri da dove verrà ritrovato il corpo di Moro il 9 maggio 1978, una delle prigioni del presidente della Dc. Ne “Il Golpe inglese” si può leggere: “Probabilmente […] quel palazzo e le dimore vicine costituivano una sorta di crocevia del ‘partito inglese’ italiano. Politici, diplomatici, intellettuali, giornalisti e personalità anglofile dell’intelligence intrecciavano le loro relazioni discrete in quei salotti, protetti da ambienti ovattati”. Può spiegare ai lettori di ZENIT di quali complicità godessero i britannici presso il nostro establishment ed in che modo esse abbiano influito nei 55 giorni del rapimento?
Non so dire con precisione quale fu il ruolo inglese durante i 55 giorni del sequestro. Lo si può solo intuire, allo stato degli atti. Di sicuro, l’attivismo britannico contro Moro fu impressionante nella fase precedente il sequestro. Ce lo dicono gli stessi documenti top secret britannici declassificati di recente. Nella prima metà del 1976 il governo inglese organizzò un vero e proprio tentativo di golpe in Italia. Il progetto fu però abbandonato per le resistenze americane e tedesche (ma non sovietiche!). Accantonato il colpo di stato classico, Londra optò per il “piano B”, cioè «l’appoggio a una diversa azione sovversiva». E’ scritto proprio così in uno dei tanti documenti britannici che pubblichiamo nei libri “Il golpe inglese” e “Colonia Italia”, editi entrambi da Chiarelettere. In che cosa consistesse la «diversa azione sovversiva», non lo sappiamo perché i documenti che ne parlano sono ancora oggi oscurati. Di sicuro, però, possiamo dire un’altra cosa: che i servizi segreti inglesi avevano penetrato l’intera area della lotta armata in Italia, Brigate Rosse comprese. E possiamo aggiungere una constatazione: l’ultimo atto della tragedia Moro si consumò in via Caetani, in una zona centrale di Roma ad altissima concentrazione di intelligence e di centri di influenza anglofili. Perché proprio lì?
Francesco Cossiga, uno dei principali protagonisti della vicenda, nel 2008 Le consegnò un documento della massima importanza, poi pubblicato da Lei su Panorama nel marzo di quell’anno. Dal documento in questione, inviato a Cossiga nel 1990 dai servizi segreti tedeschi, emergeva che durante il sequestro Moro la struttura clandestina Stay Behind (nota in Italia come “Gladio”) aveva di fatto esautorato le autorità italiane dalla gestione del caso e che era “in quel periodo coordinata da un direttorio di cui facevano parte Gran Bretagna, Francia, Usa e Germania. E dal quale era esclusa l’Italia”. Qual è stato dunque il ruolo di Gladio e degli apparati Nato nel caso Moro?
Sì, è così. La Nato, stando a quel documento, gestì la vicenda Moro durante i 55 giorni del sequestro, esautorando le autorità italiane. Questo spiega l’inerzia dei nostri apparati e del nostro governo: in realtà era impotenza. Bisognerebbe chiedere alla Nato di consegnare alla magistratura italiana e alla commissione parlamentare che indaga sul caso Moro, ammesso che l’uno e l’altra abbiano un reale interesse a conoscerli, i documenti sull’attività di Gladio durante quei 55 giorni. Sono convinto che, se venissero resi noti, confermerebbero un’ipotesi a mio avviso fondata: e cioè che durante il sequestro anche all’interno della Nato si scontrarono due “partiti”, quello della salvezza e quello della morte di Moro.
Quali furono le conseguenze dell’uccisione del presidente della Dc?
Quelle che abbiamo ancora oggi sotto gli occhi. La morte di Moro bloccò il processo di modernizzazione del sistema politico italiano e portò a un tasso di conflittualità interna che ha avuto una duplice conseguenza: il collasso istituzionale del nostro Paese e la perdita del suo ruolo sulla scena internazionale.
Per quanto riguarda l’attualità a noi più vicina, Lei e Cereghino scrivete: “L’Italia ha perso l’occasione di riscatto offerta dalla caduta del muro di Berlino. Il vecchio regime non è sopravvissuto alla guerra fredda. E dopo, nessuno è stato più capace di costruirne uno nuovo. Nel vuoto si sono inseriti poteri oligarchici, lobby finanziarie e comitati d’affari che hanno occupato lo spazio della politica e invaso quello dell’economia. Tutto è andato in pezzi. A cominciare dalla grande industria di Stato, smembrata e svenduta alle banche d’affari anglosassoni”. Era questo l’obiettivo di chi voleva Moro morto?
Come dicevo prima, la crisi politica innescata dalla morte di Moro è degenerata in una crisi di sistema a cui le classi dirigenti italiane della Prima repubblica non hanno saputo rispondere adeguatamente, e ne sono state travolte. Quelle venute dopo hanno consegnato del tutto l’Italia agli interessi stranieri.

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Marco Valerio Solia

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