In tanti hanno parlato dei numeri del Giubileo della Misericordia; pochi quelli che hanno cercato di stilare un bilancio spirituale. A questo proposito ZENIT ha intervistato il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore presso il Tribunale della Penitenzieria Apostolica.
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Un Giubileo straordinario e senza precedenti, celebrato in tutte le diocesi del mondo, con grande attenzione e concentrazione verso l’aspetto spirituale della Misericordia. Qual è il suo commento in proposito?
La prima grande eredità dell’Anno della Misericordia è quella spirituale, insondabile, nascosta nel Cuore di Dio e riversata nel cuore degli uomini. Non c’è analisi, né ci sono parametri, che possano “misurare” l’altezza, la larghezza e la profondità dei doni soprannaturali di grazia, che lo Spirito Santo ha elargito alla Chiesa in questo anno. Le centinaia di migliaia – oserei dire milioni – di confessioni sacramentali, di atti di conversione, di opere di misericordia, che il Giubileo straordinario ha favorito, costituiscono il vero tesoro spirituale di ogni Giubileo e, in particolare, di questo Giubileo. I cuori che si sono aperti all’azione della Grazia e ciò che lo Spirito Santo ha suscitato in essi rimane in gran parte insondabile, rimane racchiuso in quella sfera soprannaturale, che si riverbera nella duplice dimensione della vita della Chiesa: totalmente umana e totalmente divina. Certamente quest’abbondanza di frutti soprannaturali feconderà la terra e la farà germogliare, come e dove non è dato a noi di saperlo, mentre sappiamo con certezza che «né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).
Più in generale può darci un’idea di quali sono stati i semi spirituali del Giubileo della Misericordia e quali i frutti che potrebbe generare?
Tutti gli avvenimenti accaduti in questo Anno della Misericordia potrebbero utilmente essere sintetizzati dalla categoria teologica della “prossimità”. Potremmo dire che una eredità del Giubileo è l’esperienza della prossimità della misericordia come via maestra per sperimentare la prossimità di Dio. In un contesto culturale come quello contemporaneo, nel quale l’uomo pare aver perso il senso del soprannaturale e della Trascendenza e, parallelamente, aver smarrito la capacità di usare la ragione in modo rigoroso e coerente, l’annuncio e l’esperienza della Misericordia appaiono come una via alternativa percorribile, perché il “Dio dimenticato” torni ad essere presente e perché la “ragione oscurata” si ridesti.
Alcuni cappellani delle carceri hanno comunicato che dopo l’incontro dei detenuti con il Papa si sono moltiplicate le conversioni. Ci sono fenomeni simili che vanno nella stessa direzione di cui lei è a conoscenza?
Di misericordia, dell’abbraccio accogliente di Dio e dei fratelli, tutti hanno bisogno. Non c’è uomo – anche colui che si concepisce come il più distante da Dio – che non abbia bisogno di misericordia. Essa rappresenta, perciò, nella temperie culturale contemporanea, una categoria universale, capace di toccare le corde profonde del cuore, aprendo così alla relazione con Dio e con i fratelli e all’accoglienza della salvezza. Un altro aspetto che sintetizzi l’eredità del Giubileo Straordinario della Misericordia mi pare possa essere la riscoperta della centralità dell’umano come luogo dell’incontro con l’altro. Il Giubileo – e con esso le opere di misericordia corporale e spirituale, nella loro originale formulazione e in tutte le traduzioni attuali che se ne possono fare – ha tentato di aiutare l’uomo contemporaneo a volgere lo sguardo su se stesso, sulla verità profonda del proprio “io”, sui propri bisogni essenziali e, per conseguenza, sull’altro, inteso come fratello.
In un contesto spesso alienato, dove le persone sono ostaggio delle emozioni suscitate dai mezzi di comunicazione, nel quale la vita rischia di essere prigioniera del “non senso” e del funzionalismo efficientista e narcisistico, rimettere al centro l’uomo, con le sue reali esigenze, costituisce un grande servizio sia all’uomo, sia al suo cammino verso Dio. Anche l’attenzione ai poveri, così chiaramente indicata dalle parole e dai gesti di Papa Francesco, che ha indetto, nella sua Lettera Apostolica “Misericordia et misera” la Giornata Mondiale dei Poveri nella XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, è un’eredità del Giubileo da leggere nell’orizzonte di questa centralità dell’umano, per la quale nulla di ciò che è autenticamente umano è estraneo a Dio e nulla di ciò che è autenticamente divino è estraneo all’uomo. Anche in questo secondo aspetto, in questa seconda eredità del Giubileo, appare evidente la centralità del Mistero dell’Incarnazione, alla luce del quale e per il quale è possibile fare autentica esperienza della prossimità di Dio e vivere la giusta centralità dell’umano, che Dio ha voluto assumere e, così, salvare.
In che modo questo Giubileo avrà un seguito? Cioè quali saranno le prospettive pastorali?
Tra le possibili prospettive pastorali derivanti dall’eredità spirituale del Giubileo della Misericordia, mi sembra di poterne sottolineare tre, che sono comunque sintetiche e suscettibili di ampliamento e di integrazione. La prima potrebbe essere la chiamata ad una conversione missionaria della nostra pastorale. Non si tratta tanto di “inventare cose nuove”, quanto di concepire ogni gesto, dal più semplice saluto ad un fedele incontrato, fino alla celebrazione dell’Eucarestia, culmine e fonte dell’intera vita cristiana, come occasione perché l’altro incontri Colui che noi abbiamo incontrato: Gesù Cristo. Una pastorale autenticamente missionaria non si preoccupa solo dell’annuncio, per quanto curare la predicazione sia un elemento costitutivo ed indispensabile di tale momento. Una pastorale autenticamente missionaria non può fermarsi al modello kerygmatico, incurante di tutto il sostegno del quale la libertà dell’uomo ha bisogno, per accogliere l’annuncio. Una pastorale missionaria è una pastorale, nella quale gli attori dell’agire pastorale non sono semplicemente gli “addetti ai lavori”, ma ciascun membro della Comunità, semplicemente in forza del Battesimo ricevuto, è capace di annuncio, è capace di apostolato, è capace di ripetere quel “Vieni e vedi” dal quale tutta la vicenda cristiana ha avuto inizio. Le nostre strutture, talvolta elefantiache e farraginose, rischiano di soffocare questa libertà dello Spirito e questa ardente missionarietà dei battezzati. È il ripetersi fino alla fine dei tempi della corsa dell’Apostolo Andrea, che dopo l’incontro con Gesù tornò dal fratello Simone, dicendo:«Abbiamo incontrato il Messia!» (Gv 1,41).
Quali sono, secondo lei, le urgenze pastorali per la Chiesa?
In merito alle urgenze della pastorale della Chiesa, alla luce dell’Anno Giubilare appena vissuto, indicherei: formazione, formazione e ancora formazione. Un cristiano formato, plasmato dalla Grazia, il cui cuore è scolpito dalla preghiera e dal diuturno dialogo con Dio, dall’ascolto delle Sacre Scritture, dalla conoscenza della storia della Chiesa e della sua Tradizione teologica, del suo Magistero autentico ed ininterrotto e dalla esperienza dei suoi Santi, è un cristiano capace di rendere ragione della speranza che è in lui, di rendere ragione della propria esperienza di salvezza e di misericordia. In tal senso, la misericordia senza ragione rischia di ridursi ad un’esperienza sentimentale, non comunicabile, perché non realmente giudicata ed assimilata. Al contrario, l’esperienza della misericordia unita alla tematizzazione di ciò che essa davvero è e significa diviene fattore propulsivo per un’autentica evangelizzazione. La seconda prospettiva pastorale è, dunque, quella della formazione, perché la Misericordia non rimanga una parola vuota nè sia una esperienza sentimentale, ma sia conosciuta, esperita per ciò che essa davvero è: il curvarsi di Dio sulla nostra debolezza, fino a mandarci il Suo Figlio morto per i nostri peccati e risorto per donare a noi la vita eterna. La terza ed ultima prospettiva dell’Anno della Misericordia mi pare l’esigenza di una rinnovata urgenza personale ed ecclesiale: quella della fedeltà.
Il Giubileo ha fatto rinascere la fedeltà. Moltissime persone sono tornate a frequentare le Chiese ed i sacramenti. Cosa può dirci in proposito?
La fedeltà non è soltanto la coerenza, ma è molto di più. La coerenza potrebbe essere assimilata alla sincerità: è sincero colui che dice ciò che davvero pensa, è coerente colui che agisce secondo ciò che pensa. La fedeltà, invece, è molto di più; essa dipende dalla verità e dalla verità dell’uomo. Paradossalmente, si potrebbe essere sinceri ma non veri, coerenti ma non fedeli!
La fedeltà è un dono da implorare costantemente: quanto sarebbe utile, anche nelle nostre comunità, organizzare percorsi di preghiera, nei quali implorare il dono della fedeltà! Tale capacità inclusiva della fedeltà sarà in grado di sostenere tutte quelle opere di carità, delle quali i nostri fratelli e noi stessi abbiamo bisogno, poiché nessuno è semplicemente oggetto della carità e nessuno è semplicemente soggetto della carità.
Dottrina e carità. Magistero e pastorale. Ragione e cuore. C’è una grande discussione su questi che per molti sono soggetti contrastanti. Che ne pensa?
Nella circolarità ermeneutica, che l’Anno della Misericordia ci ha aiutato a riscoprire, sappiamo che, nell’istante stesso in cui compiamo un gesto di carità, materiale o spirituale, siamo noi stessi edificati da quella medesima carità, poiché la carità, che è il nome di Dio stesso, perché Dio è Carità, è una relazione capace di performare (cfr. Misericordia et misera), è una relazione capace di imprimere nell’essere di chi la vive la stessa forma di Cristo. La Chiesa ha sempre vissuto, in tutti i tempi, questa dimensione e in non poche esperienze educative, soprattutto giovanili, l’esperienza caritativa accompagna quella spirituale e quella formativa, come un tutt’uno nel quale le tre dimensioni dell’agire della Chiesa, cioè la cultura, la carità e la missione sono saldamente unite come in un unico gesto. La fede autentica domanda di esprimersi anche nella carità, domanda di vibrare in gesti concreti che della fede siano eloquente riverbero e quasi necessario sviluppo. In tale senso, la terza prospettiva pastorale potrebbe essere quella di una rinnovata relazione tra fede ed opere. Di tale fedeltà è splendido esempio la Beata Vergine Maria, che, per un singolare privilegio divino, ha offerto se stessa perché il Logos assumesse un’integra umanità. Ella è per questo Madre di Misericordia, perché Madre di Cristo, supremo gesto di Dio verso l’uomo. Ella è per questo Madre delle misericordie, cioè Madre di ogni gesto di misericordia, che, consapevolmente o no, si compie per Cristo, con Cristo e in Cristo, perché «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a Me» (Mt 25,40).
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Card. Piacenza: "Giubileo ha rinnovato relazione tra fede ed opere"
Il Penitenziere Maggiore trae un bilancio dell’Anno Santo e dei frutti che esso ha dato e che continuerà a dare alla Chiesa