Marcello Pera (Facebook)

Riforma costituzionale. Pera: “Poco incisiva ma un No condannerebbe all’immobilismo”

Secondo l’ex presidente del Senato, votando Sì al referendum, si consegnano all’Italia governi più stabili, con un peso più forte a livello internazionale

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Non è la migliore delle riforme possibili ma è un fondamentale punto di partenza per istituzioni più efficienti ed esecutivi più stabili. Marcello Pera, filosofo di cultura liberale, parlamentare dal 1994 al 2008 e presidente del Senato nella legislatura 2001-2006, è tra i sostenitori del Sì al referendum di revisione costituzionale.
Pera è anche coautore del fortunato pamphlet Senza radici (Mondadori, 2004), originale dialogo di un intellettuale laico con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, pochi mesi dopo, diventato papa Benedetto XVI, in cui si denunciavano i rischi della secolarizzazione dell’Europa. Come spiegato da Pera in un’intervista a ZENIT, una Costituzione riformata consegnerebbe all’Italia governi più stabili, in grado di dare al nostro paese più voce in capitolo nel consesso europeo e italiano.
Presidente Pera, Lei è uno dei liberali italiani di maggior spicco: in che termini questa riforma abbraccia i principi del liberalismo?
La nostra costituzione è principalmente espressione delle culture democristiana e comunista. Questa riforma non la fa certo diventare una carta “liberale”. L’importante è che ci siano dei punti positivi e migliorativi: rende le istituzioni più efficienti, velocizza l’iter di formazione delle leggi, riduce i costi della politica ma soprattutto dà alla sola Camera dei Deputati il compito di esprimere la fiducia al governo. Avremo così un sistema che funziona meglio.
Ritiene questa sia una riforma costituzionale al massimo delle sue potenzialità o si poteva fare di più?
La riforma della costituzione dovrebbe essere molto più incisiva. Io l’avrei fatta diversa. Ma con il “benaltrismo” non si va da nessuna parte. Meglio fare questo primo passo verso il cambiamento ottenendo un miglioramento dell’esistente che aspettare la “grande riforma” che non si farà mai, soprattutto se il 4 dicembre prevarrà il No. Si parla da trenta anni di cambiare la costituzione. Un altro No sarebbe fatale e ci condannerebbe all’immobilismo.
Rispetto alla riforma costituzionale votata dall’allora maggioranza di centrodestra e bocciata al referendum del 2006, quali sono, a suo avviso, i punti di continuità e di discontinuità?
Molti punti sono comuni a cominciare dal taglio dei parlamentari. Differente è l’impostazione del rapporto tra Stato e Regioni. Francamente quella partorita dal centrodestra era troppo sbilanciata sulla devolution. Oggi siamo di fronte a un testo più prudente.
Un’obiezione che viene posta da molti sostenitori del No: questa riforma è centralista, riduce i poteri degli enti locali e dei corpi intermedi e rafforza lo Stato. Lei cosa replica?
In questa obiezione vedo più che altro la paura di molti che perderanno le poltrone che occupano. Nel merito, rispondo che questa riforma ha il merito di eliminare il contenzioso tra Stato e Regioni, un vulnus che ha paralizzato il Paese in questi ultimi anni.
Altra obiezione diffusa: non è vero che il bicameralismo perfetto e l’alto numero dei parlamentari rallentano il processo legislativo: l’ordinamento italiano è composto da più leggi che in Francia, Germania e Inghilterra e ci sono molti casi (vedi legge Fornero o Unioni Civili) di leggi approvate in tempi molto rapidi.
Il doppio passaggio alla Camera e al Senato non solo rallenta la produzione legislativa ma la rende anche peggiore. Il consociativismo è un prodotto tipico italiano che nessuno ci invidia e comporta una produzione legislativa ipertrofica, di pessima qualità e soggetta a mille intermediazioni anche con le lobby. Con una sola Camera a dare la fiducia avremo maggiore stabilità. È un fatto indiscutibile. Allo stesso tempo avremmo un Senato che rappresenta i territori dando loro voce direttamente in Parlamento. Mi sembra un sistema più efficiente ed equilibrato dell’attuale.
Questa riforma è stata incoraggiata dall’Unione Europea. Nel recente passato – mi riferisco al suo libro a quattro mani con l’allora cardinale Ratzinger, Senza radici – lei è stato molto critico con l’Europa secolarizzata di questo inizio secolo. Verso quale Europa va incontro l’Italia in questa fase storica?
La riforma va guardata nel merito senza ascoltare i testimonial del Sì e del No. Non si vota sulla tenuta del Governo. Non si vota per fare bella figura all’estero. I cittadini devono scegliere secondo coscienza sul testo. Devono rispondere a una domanda molto semplice: la riforma migliora o peggiora il sistema istituzionale italiano? A mio avviso siamo di fronte a un miglioramento. Il problema dell’Europa è storico, culturale, molto complesso. Il nostro continente si sta arrendendo sul piano dei valori e dei principi che hanno fatto grande la nostra civiltà. Il 4 dicembre votiamo su altro, sul referendum costituzionale. Di certo, un’Italia più forte, con governi stabili, capace di darsi istituzioni più efficienti, avrebbe un peso più forte a livello internazionale.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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