In questa terza parte dell’intervista a mons. Costantino di Bruno, il teologo, cappellano di Sua Santità, già Penitenziere Maggiore della Cattedrale di Lamezia Terme dal 1985 al 2006, rivela il potere “liberatorio” della confessione. La prima intervista è stata pubblicata l’8 ottobre, la seconda il 15 ottobre.
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Nella percezione comune la confessione viene percepita come la sottomissione ad una autorità che condanna e suscita sensi di colpa. Mentre la dottrina parla di un atto di carità del Creatore, una riconciliazione con il Padre, una medicina per le sofferenze spirituali che libera dai peccati e porta a vita nuova. Qual è il suo pensiero al riguardo?
La confessione è vera opera di mediazione. Se la mediazione viene operata male, lascia dei segni indelebili, difficilmente guaribili. Tutto dipende dal mediatore. Se il mediatore ha il cuore di Cristo, di certo qualche anima si accosterà al sacramento della riconciliazione e della rinascita. Se ha il cuore di un fariseo o di uno scriba, allora la gente sente che non vi è Cristo e si allontana. La confessione è il sacramento della risurrezione dell’uomo. Senza di essa vi è un cadavere fisico e spirituale. A dei cadaveri spirituali l’Eucaristia non serve. Ci si accosta alla confessione, si risuscita in Cristo, nello Spirito Santo, nella Chiesa, ci si accosta all’Eucaristia che è il nutrimento della vita risorta, perché possa compiere il cammino fino alla sua perfetta spiritualizzazione. Altra verità che mai va dimenticata vuole che il confessore, o il ministro del perdono, sia, come Cristo, anche espiatore con la sua vita dei peccati che perdona. San Paolo non compie nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa? Se il ministro del perdono non diviene in Cristo anche espiatore dei peccati, la confessione mai potrà dare tutti i frutti della vera rinascita dell’uomo. Il confessore espia i peccati, anche chiedendo con preghiera accorata al Signore la grazia che ogni anima riconciliata con Lui mai più pecchi e mai più abbandoni la casa della sua Parola.
Osserviamo Cristo Gesù e mettiamolo a confronto con scribi, farisei, capi dei sacerdoti. Subito si nota un’abissale differenza nell’esercizio della mediazione. Gesù è pieno della verità e della misericordia del Padre assieme alle esigenze della sua giustizia.
Con la verità illumina, con la misericordia perdona, per la giustizia offre il suo corpo in olocausto, in espiazione per la remissione dei peccati del mondo. Farisei, scribi, capi dei sacerdoti non sono mediatori. Sono senza Dio, senza la verità, senza la carità, neanche sono a servizio delle esigenze della giustizia di Dio.
Nel Nuovo Testamento il mediatore della verità e della grazia necessariamente deve essere anche mediatore nell’espiazione. Se vuole produrre frutti di vera salvezza, deve dare a Dio non solo il suo spirito, il suo cuore, la sua anima, ma anche il suo corpo perché Cristo Signore faccia di esso un vero olocausto di amore.
La mediazione esige, vuole che la verità, la grazia, la Parola siano di Dio. Il peccato di oggi, così come quello di ieri – nessuno si scandalizzi – è la cancellazione della mediazione. È rimasta per molti la “strumentalità”, ma nell’assenza della mediazione, perché si agisce per proprio conto, dalla propria volontà.
Ricordo che un giorno una persona di Dio diceva ad un ministro del Signore: “A te è sufficiente che dica ad ogni cuore: ciò che fai è secondo Dio, ciò che fai non è secondo Dio”. Spesso i ministri rimangono strumenti, ma non sono mediatori. È questo guasto nella mediazione che sta distruggendo le coscienze. Lo strumento si è sostituito a Dio ed è ministro dei suoi pensieri.
Se la mediazione è fatta con il cuore di Cristo e con la sapienza dello Spirito Santo, mai verrà percepita come sottomissione ad un’autorità. È vero. A volte il penitente ha paura di rivelare al confessore i suoi peccati. Se il confessore vive la saggezza dello Spirito Santo, sarà lui a manifestarli al penitente, invitandolo a chiedere perdono al Signore con vero atto di pentimento, nel proponimento di non più commetterli.
La cosa più difficile non è però questa. È il pensiero di Caino. Lui disse a Dio che il suo peccato era troppo grande per essere perdonato. Anche in questo caso occorre tutta l’amorevolezza che sono nel cuore di Cristo per convincere che nel pentimento il perdono è dato.
Ma qui siamo nel mistero della grazia e non più nelle capacità dell’uomo. Il confessore è colui che crede nella grazia, la manifesta, la rivela, la dona.
Si racconta che un uomo si sentiva come braccato dalla giustizia di Dio a causa dei suoi molti peccati. Il confessore lo rassicurò con due sole parole: “Se ti perdono io, ti perdona anche Dio. Sono il suo ministro. Io ti perdono perché sei veramente pentito e Dio ti perdona. Va’ in pace!”. Il confessore è vero amministratore della grazia, se prima la manifesta e la rivela.
Cosa consiglierebbe a coloro che hanno abbandonato la pratica dei sacramenti e soprattutto si sono allontanati dalla confessione e dalla riconciliazione?
La stessa cosa che gridava San Paolo ai Corinti: “Lasciatevi riconciliare con Dio”. Ripeto: il problema della riconciliazione non è solo del penitente. Essa è opera di due attori principali: del penitente e del mediatore della grazia e della verità. Verità della confessione non è il penitente, è il confessore.
A Lui occorre sapienza, fortezza, consiglio, discernimento, compassione nello Spirito Santo, per sapere sempre come accogliere il penitente e come parlare secondo verità, perché l’altro prenda coscienza dei peccati e proponga di salvarsi dal male che come veleno di morte si attacca al suo cuore e inquina il suo corpo. Alla dolcezza deve aggiungere la fermezza, alla fermezza la grande misericordia, alla misericordia la verità, alla verità la compassione, alla compassione la gravità dell’offesa arrecata al Padre celeste. È chiaro che se queste virtù non sono nel mediatore, lo Spirito Santo non può servirsi di esse.
Si può anche esercitare il ministero della confessione come servi della Legge o della Morale. Per un confessore è obbligo andare come servo dello Spirito Santo, servo di Cristo e del Padre celeste. Il confessore non è strumento di se stesso, è mediatore di Dio.
Tutto Il Padre, tutto Cristo Gesù, tutto lo Spirito Santo, devono agire in lui e per lui. Questo è il significato della mediazione. Altrimenti si è strumenti, ma non mediatori. Si è mediatori solo quando si è dalla grazia, verità, misericordia, sapienza, espiazione, carità del Padre, del Figlio e dello Spirito Sato. Tutto è dal ministro che si trasforma in vero mediatore.
In molte confessioni si vive solo di relazioni personali, uomo-uomo. Manca spesso il vero significato del peccato. Ogni peccato è offesa alla divina Maestà e Signoria di Dio. È disobbedienza alla sua Legge. È scelta di abbandonare il Creatore per essere delle creature. La gravità del peccato si conosce dalla fede da chi vive nella fede.
Chi è fuori della fede, mai potrà avere una conoscenza di cosa è in sé il peccato, né tanto meno potrà mai sapere le tristi e nefaste conseguenze dei suoi atti. Se la Chiesa non evangelizza i suoi figli, evangelizzando se stessa, se essa non dice a se stessa le regole della retta fede per poi insegnarle ai suoi figli, mai si potrà avere la conoscenza e la scienza del peccato, scienza che è solo frutto e dono dello Spirito Santo.
Se ogni giorno il mondo è travolto dagli scandali dei figli della Chiesa, è segno che questa evangelizzazione a noi stessi è mancata. Perso il significato e anche il senso del peccato, a che serve la confessione? Un tempo si gridava che l’uomo aveva perso il senso del peccato. Oggi ha perso anche il senso del male. Ormai non vi è più riferimento alla trascendenza. L’immanenza ci sta consumando. Siamo solo dalla nostra volontà. Il peccato è trasgressione puntuale della Legge di Dio. L’adulterio è puntuale trasgressione della Legge del Signore. Si compie l’atto, si è adulteri. Si è colpevoli, non si è colpevoli, questo appartiene alla coscienza. L’atto in sé è intrinsecamente cattivo.
Va detto. Se priviamo l’atto della sua intrinseca cattiveria, è la fine della morale. Molti problemi della confessione risiedono in questo passaggio dall’oggettività del male alla soggettività. È male ciò che io penso sia male. Ciò che non penso sia male, non è male. Calunnio? Dico falsa testimonianza? Rubo? Uccido? Non osservo il sabato? Trasgredisco tutta la Legge? È male solo se io penso che sia male. Nel passaggio dall’oggettività alla soggettività, muore la morale, la confessione, la grazia, perché non esiste più il peccato, il male.
Confessione / Wikimedia Commons - Judgefloro, CC BY-SA 4.0
Confessione: riconciliazione con Dio
Mons. Costantino Di Bruno spiega come il sacramento operi come “una resurrezione, una liberazione dai lacci dell’idolatria e del peccato”