Foto: ZENIT - PM

Misericordia tra esegesi e teologia

Fare il bene tra Medioevo e prima Età moderna: l’esempio di Maria d’Agreda

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Il prossimo giovedì 27 ottobre si svolgerà presso la Pontificia Università Antonianum in Roma la giornata di studio Misericordia tra esegesi e teologia, appuntamento finale del progetto Fare il bene tra Medioevo e prima Età moderna iniziato con un primo incontro a Bologna (vedi qui). Tale iniziativa, pur ispirandosi al tema giubilare, è all’interno di una ricerca precedente che ha già in prospettiva ulteriori approfondimenti affinché possano sorgere “strutture di misericordia” frutto di fare “bene il bene”.
Ma questo è possibile soltanto se ci sono solide motivazioni come quelle che la venerabile Maria di Gesù di Agreda (1602-1665) ne La mistica città di Dio (Ed. Porziuncola, Assisi) propone grazie a una riflessione sulla vita della Vergine Maria attenendosi ai dati evangelici, della fede cattolica e della tradizione. In bocca alla Vergine Maria è posto un forte richiamo agli uomini che si trattano “senza carità e umiltà”. 
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In questa occasione voglio, però, palesarti una giusta lamentela e una grave indignazione dell’Altissimo contro i mortali. Comprenderai meglio ciò con la divina luce, vedendo l’umiltà e la mansuetudine che io esercitai verso il mio sposo Giuseppe. Questa lamentela del Signore e mia è per l’inumana perversità che hanno gli uomini di trattarsi gli uni gli altri senza carità e umiltà. Ed in questo concorrono allora tre peccati, che in sommo grado impediscono l’Altissimo e me di mostrare loro misericordia.
Il primo è che, capendo gli uomini di essere tutti figli di un solo Padre che sta nei cieli, opere delle sue mani, formati della stessa natura, alimentati gratuitamente, vivificati con la sua provvidenza e nutriti alla stessa mensa dei divini misteri e sacramenti, specialmente a quella del suo corpo e sangue, tuttavia si dimenticano di tutto ciò e non ne fanno caso fin quando si tratta di un meschino e terreno interesse. E come uomini senza ragione si turbano, cadono nello sdegno e nella rete delle discordie, dei rancori, dei tradimenti, delle mormorazioni e talvolta di empie ed inumane vendette, e di odio mortale gli uni verso gli altri.
Il secondo è: quando per l’umana fragilità e poca mortificazione, turbati dalla tentazione del demonio inciampano in una di queste colpe, non si curano subito di liberarsene e riconciliarsi fra loro, come fratelli che stanno alla vista del giusto giudice, ma lo ricusano come Padre misericordioso, provocandolo anzi come giudice severo e rigido dei loro peccati. Non vi sono peccati più grandi dell’odio e della vendetta che irritano la sua giustizia.
Il terzo peccato, che vivamente lo sdegna, è il seguente: quando qualcuno vuole riconciliarsi con il suo fratello, colui che si reputa offeso, non lo accoglie e pretende maggiore soddisfazione di quella che, come lui stesso sa, appaghi il Signore ed ancora di quella che pretende valersi in suo favore dinanzi a Dio. E così tutti bramano che contriti ed umiliati vengano ricevuti, accolti e perdonati dallo stesso Dio, che fu il più offeso; ed essi, che sono polvere e cenere, vogliono vendicarsi del loro fratello, e non si danno per soddisfatti con quello di cui si contenta il supremo Signore per perdonarli.
Di tutti i peccati, che commettono i figli della Chiesa, nessuno è più odioso di questo agli occhi dell’Altissimo; e tu conoscerai ciò in Dio stesso e nella forza con cui egli nella sua divina legge comandò ad ognuno di perdonare al fratello, benché questi peccasse contro di lui settanta volte sette.
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Per un approfondimento: S. Cecchin, Maria di Gesù d’Ágreda. Mistica dell’Immacolata Concezione, LDC-Velar, Gorle 2016.
Per il programma della giornata di studio cliccare qui

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ZENIT Staff

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