Pakistan: censurate undici tv cristiane

I cattolici locali chiedono chiarezza intorno a un provvedimento, giudicato un “attentato” alla libertà religiosa

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In Pakistan l’intolleranza anticristiana non risparmia nemmeno i mezzi di comunicazione. Risale allo scorso 22 settembre – ma la notizia è stata diffusa soltanto oggi da Fides – l’ordinanza dell’Autorità di Garanzia per le Comunicazioni di Islamabad che ha dichiarato illegali ben undici emittenti televisive di ispirazione cristiana.
Si tratta di dieci canali via cavo o via web, gestiti da protestanti (Isaac Tv, Gawahi Tv, God Bless Tv, Barkat Tv, Praise Tv, Zindagi Tv, Shine Tv, Jesus Tv, Healing Tv, Khushkhabari Tv), cui si aggiunge Catholic Tv, organo mediatico della diocesi di Lahore.
“Tutti i Direttori generali regionali – si legge nell’ordinanza della – sono invitati ad adottare le misure necessarie per fermare immediatamente la trasmissione dei canali Tv illegali nelle rispettive regioni”.
La comunità cattolica pakistana, tuttavia, non si lascia intimidire. “Di fatto si rende illegale la proclamazione della Buona Novella – ha dichiarato a Fides, padre Mushtaq Anjum, religioso camilliano attivo nei media locali -. Da alcuni anni, con notevoli sforzi, le comunità cristiane hanno organizzato reti televisive, via cavo o su web, per parlare ai cristiani e per parlare della fede cristiana”.
“I cristiani non hanno alcuno spazio nei canali televisivi pubblici. Vogliamo capire perché sono dette illegali. Questa è un’altra legge discriminatoria che colpisce i non-musulmani”, aggiunge padre Anjum, chiedendo poi l’intervento del Ministro federale cristiano Kamran Michael, “perché questo è un vero attentato alla libertà di praticare la propria religione”.
Quanto effettuato dal governo pakistano “è anche un attacco alla visione del fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinah, che immaginava una società libera e non un paese islamico – dichiara ancora il sacerdote -. Invece, in tal modo, si continua a trattare i membri delle minoranze religiose come cittadini di seconda classe”, conclude padre Anjum, lanciando un appello al governo, perché fermi “questi atti di intimidazione e di revocare tale divieto”.

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ZENIT Staff

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