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Uno scatto in avanti per l’Europa

Da Strasburgo, per il seminario dei giovani del Movimento Cristiano lavoratori, il presidente Carlo Costalli rilancia l’appello per un’Europa sociale 

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Uno scatto in avanti deciso. È quello che Carlo Costalli chiedeva nel luglio del 2015, di fronte allo spettro della crisi greca, ed è ciò che torna a chiedere adesso – un nuovo slancio – mentre l’Europa perde pezzi e l’Italia rischia di essere uno di questi frammenti del puzzle che si sgretola. Il presidente del Movimento Cristiano Lavoratori parteciperà al seminario europeo che il 3 e 4 ottobre riunirà a Strasburgo i giovani del movimento, un appuntamento tradizionale, che ogni anno rinnova il legame con la comunità italiana in Francia e in Belgio. Il tema di quest’anno è esplicito: “L’Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere”. Come un anno fa la linea è quella di «rilanciare il progetto di un’Europa politica sul sentiero tracciato dai Padri fondatori – De Gasperi, Adenauer, Schumann – nel rispetto di una storia e una tradizione veramente europeista: unica speranza per il futuro dei cittadini europei e, in particolare, dei nostri giovani». Rispetto ai giorni del salvataggio greco, tuttavia, il clima di sfiducia ha contagiato il “cuore” delle istituzioni comunitarie e questo Costalli non lo nasconde.
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Presidente, cosa la preoccupa di più?
L’incapacità. Di affrontare e di risolvere questioni urgenti. Lo spettacolo è sconfortante, fatto di tanti piccoli egoismi, Francois Hollande e Angela Merkel che cercano disperatamente di primeggiare perché a loro volta sono in crisi di consensi e questa debolezza della classe politica europea può essere fatale, perché riversa su profughi e Bce le tensioni interne e offre spazi impensabili ai populismi.
Come valuta le critiche di Matteo Renzi ai maggiori partner dell’Unione?
Non mi piacciono, come non mi piace il populismo. Il tempo dello scaricabarile è finito: non si può essere timidi nella costruzione dell’UE e poi lamentarsi della lontananza dell’Europa; non si può inseguire o essere blandi nei confronti dell’antieuropeismo e poi utilizzare Bruxelles come alibi politico. Siamo un grande Paese, fondatore dell’Unione e contribuente netto del bilancio comunitario e per noi l’adesione all’euro era, e resta, una scelta lungimirante, che ci ha salvato dal default. In Italia, abbiamo un debito pubblico veramente esagerato che non può essere affatto sottovaluto. Un debito pubblico che è aumentato considerevolmente anche con il governo Renzi, perché la politica e il sistema economico e sociale sembrano scientificamente strutturati per spendere soldi pubblici.
E’ un fatto, però, che la Germania detta legge. 
La crisi che ha colpito l’Eurozona ha offerto alla Germania la possibilità di diventare la prima potenza europea e di imporre la propria ideologia economica e politica, basata sull’austerità e su una disciplina finanziaria con caratteristiche di rigidità e di continuità. Ma fino a dieci anni fa erano proprio i tedeschi a non fare le riforme necessarie e a trascinare in basso l’Europa. Oggi, dopo averle fatte, sembra che pretendano di imporle a tutti. Quel che manca alla Merkel è l’orizzonte ideale: per imporre i sacrifici occorre un progetto, bisogna rinnovare lo spirito di integrazione tra gli Stati membri, fondato sulla mutua solidarietà e non soltanto sull’ortodossia contabile della Bundesbank.
Per dirla con papa Francesco, quest’austerità uccide?
A dire il vero, il Papa parla di una visione distorta del mercato e della libertà d’intrapresa, delle degenerazioni della globalizzazione, mentre in questo caso non siamo di fronte a un “nemico” ma ad un’Europa che va aiutata a cogliere le sfide imposte dal nuovo ordine economico mondiale.
Se Alcide De Gasperi fosse qui, che tipo di Europa vorrebbe?
Credo che lavorerebbe per un’Europa sociale, attenta a coloro che hanno sofferto di più per la globalizzazione, come vuole anche il Papa, che lo ha sostenuto più volte, anche quando ha incontrato il Mcl, ricordandoci che dobbiamo lavorare per una economia che “serva l’uomo e non si serva dell’uomo” e per una società in cui il lavoro aiuti a “unire le persone, non allontanarle, rendendole chiuse e distanti”. L’Europa che vogliamo non si fa guidare dal pensiero unico del profitto finanziario: è stato miope non inserire nella Costituzione europea il richiamo alle radici storico-culturali cristiane, come ha evidenziato recentemente il Cardinale Bagnasco, secondo cui “oggi c’è bisogno di un più di Europa”. Da quella colonizzazione culturale, denunciata dal Papa, le istituzioni europee oggi sono contagiate: come ha detto Bagnasco, serve al contrario un’Europa che riconosca la centralità dell’uomo e delle sue radici profonde. Per questo anche la fede può dare un contributo fondamentale alla costruzione della casa comune europea e chi la osteggia forse “ha intuito che la vera religiosità costituisce un argine al potere”. A ben vedere, poi, del pensiero unico è figlia anche la politica dell’austerità… Per superare le secche, al contrario, l’Ue deve ricostruire un’alleanza e una solidarietà per lo sviluppo dell’economia reale e per l’occupazione.
Europa sociale contro globalizzazione?
Non è tempo di guerre, dobbiamo riscoprire l’economia sociale di mercato, aggiornata e rivista sulla base dei tempi che cambiano: la sua forza non è nell’anteporsi alla globalizzazione ma nell’essere una formula riconciliante, perché l’economia sociale di mercato non suppone solamente un sistema coordinato e una logica di mercato. L’aggettivo “sociale” ci avvisa che il sistema persegue obiettivi di natura sociopolitica, può essere paragonato ad un triangolo che modera le tensioni esistenti fra i suoi vertici: necessità di sviluppo economico, bisogno di libertà e di iniziativa personale, esigenza (individuale e collettiva) della sicurezza sociale in ogni suo aspetto.
 

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Paolo Accomo

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