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"Paz" in Colombia: firmato accordo Governo-Farc. Parolin: "Un futuro di giustizia e verità"

Il cardinale ha presieduto una “Preghiera di riconciliazione”. Presenti alla cerimonia a Cartagena de Indias 2500 ospiti e i familiari delle vittime della guerriglia. Il leader Timochenko: “Perdono per il dolore causato”

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“Sì, si può. Sì, si può”. Hanno gridato giustizia e vendetta per oltre 50 anni i familiari delle vittime della guerriglia delle Farc in Colombia; ieri invece invocavano la pace, durante la firma dell’Accordo tra Governo e Forze Armate Rivoluzionarie, nella città di Cartagena de Indias, che ha posto fine a decenni di morti e violenze.

Il conflitto più lungo dell’America Latina, indubbiamente, che ha bagnato il terreno del sangue di 260mila persone, almeno quelle accertate, considerando che sono 45mila gli uomini, le donne e i bambini scomparsi nel nulla e 7 milioni gli sfollati.

Tutto questo male, però, appartiene ormai al passato. La Colombia, dono quattro anni di negoziati all’Avana, ha voluto voltare pagina con una firma e una stretta di mano. Quella tra il presidente Juan Manuel Santos e Rodrigo Lodrono, detto Timochenko, comandante delle Farc, che dal palco allestito nel Cortile delle bandiere del Centro conferenze di Cartagena, ha espresso a nome dei guerriglieri una toccante, proprio perché inattesa, richiesta di perdono.

“Chiedo perdono ai colombiani per tutto il dolore che abbiamo causato. Nessuno dubiti: camminiamo verso la politica senza armi. Prepariamoci tutti a disarmare le menti e i cuori”, ha detto. E si è interrotto quando, durante il suo intervento, un aereo dell’esercito colombiano ha sorvolato il cielo. “Ha avuto paura che venisse gettata una bomba. È lo stato mentale di un uomo che vive ancora in guerra”, commenta a ZENIT un sacerdote colombiano presente alla cerimonia. “Ognuna delle due parti per arrivare a questa soluzione di pace ha dovuto rinunciare a qualcosa, e questo è l’aspetto più emozionante”.

Emozionante era pure vedere i familiari delle vittime, seduti in prima fila, piangere e agitare fazzoletti bianchi. Anche loro hanno chiesto perdono, perché anche loro desiderano ormai solo la pace. “Se dovessero mai consegnare un Premio Nobel per la pace in Colombia, dovrebbe andare a loro”, dice infatti il sacerdote. Tutti i partecipanti all’evento erano vestiti di bianco, anche un gruppo di donne della comunità afro di Bojayà, villaggio a nordest del Paese, quasi interamente raso al suolo nel 2002 a causa di una bomba che ha provocato una strage di 79 civili. Da allora le donne hanno sempre indossato abiti neri, in segno di lutto, ieri invece erano vestite totalmente di bianco e sul palco cantavano, tra le lacrime, inneggiando alla “Paz”.

Intorno a Santos e Timochenko, c’erano circa 2500 persone venute da tutto il mondo per assistere a questo momento storico. Tra loro: il segretario Onu, Ban-Ki-Moon, l’Alto Rappresentante Ue, Federica Mogherini, poi 15 governanti, 3 ex governanti, 27 Ministri degli Affari esteri e numerosi Rappresentanti di organismi regionali e internazionali. Presenti anche diversi rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio, reduci del grande incontro interreligioso ‘Sete di pace’ ad Assisi, che hanno offerto grande supporto in questi mesi ai processi negoziali.

Santos, accompagnato da due bambini, ha aperto una “Porta del futuro” per fare salire sul podio i firmatari dell’intesa e i capi di Stato presenti. Nel suo discorso ha poi affermato: “Abbiamo una guerra in meno… Preferisco un accordo imperfetto che salva la vita ad una guerra perfetta”. Da parte sua Ban Ki-moon ha dichiarato ufficialmente aperto il monitoraggio dell’Onu sull’attuazione dell’accordo.

Un momento appassionante di questo dìa-D della Colombia è stata la “Preghiera per la riconciliazione di tutti i colombiani” presieduta dal Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, nella Chiesa che custodisce i resti di San Pietro Claver, difensore dei diritti degli afroamericani “sottomessi ad ogni sorta di atrocità, catturati e deportati dalle loro terre per essere schiavi”.

Il porporato ha voluto anzitutto esprimere il saluto e la vicinanza di Papa Francesco “al caro popolo colombiano e alle sue autorità”, ricordando come il Pontefice abbia seguito “con grande attenzione gli sforzi di questi ultimi anni nella ricerca della concordia e della riconciliazione”. A più riprese, il Papa – ha aggiunto Parolin – “ha incoraggiato questi sforzi senza ovviamente entrare nella questione delle soluzioni concrete che sono state negoziate e sulle quali, in modo libero e informati in coscienza, decideranno i cittadini”.

Saranno loro, infatti, ad esprimersi direttamente il prossimo 2 ottobre, in una consultazione referendaria in cui si decreterà un “si” o un “no”, ovvero l’accettazione o il rifiuto delle conclusioni dei negoziati. Per questo il cardinale ha parlato di un “contributo” da parte di tutti i colombiani verso il processo di una vera pace, e di un “rispetto” verso questo non facile lavoro.

“Tutti noi qui oggi siamo consapevoli di essere alla fine di una trattativa, ma anche all’inizio di un processo ancora aperto di cambiamento”, ha detto poi nella sua omelia, “è possibile costruire un futuro diverso nel quale convivere senza massacrarsi e nel quale avere delle convinzioni diverse nella cornice del rispetto delle regole democratiche, della dignità umana e della tradizione cattolica di questa grande nazione”.

“La Colombia – ha proseguito il cardinale – ha sperimentato nella propria carne, che – tra gli altri flagelli – l’ambizione del denaro e del potere e, a causa di essa, lo sfruttamento dell’uomo per mano dell’uomo, le deportazioni forzate, la violenza e il disconoscimento della dignità delle vittime insidiano in permanenza l’umanità”. Nella presente congiuntura, il Segretario di Stato vaticano ha invitato a pregare Dio “per il futuro di questo diletto popolo”, affinché “cammini sui sentieri della verità, della giustizia e della pace”

“La Colombia – ha concluso  – deve sapere alleviare il dolore dei suoi abitanti per costruire un futuro migliore e ricostruire anche la dignità di coloro che soffrono”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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