Assisi si è svegliata col suono delle campane della Basilica di San Francesco. Il Papa che ne ha preso il nome e la missione è giunto in elicottero allo stadio Migaghelli di Santa Maria degli Angeli intorno alle 11.20, con 20 minuti di ritardo rispetto all’orario previsto; già dalle prime ore del mattino, tuttavia, i circa 500 rappresentanti di nove religioni e 26 confessioni religiose che partecipano all’incontro “Sete di pace”, organizzato dai francescani e Sant’Egidio, sono riuniti davanti al Sacro Convento.
È nel cuore del francescanesimo italiano che si svolge la prima tappa dell’evento: il saluto personale del Pontefice ai diversi leader religiosi, agli esponenti di Sant’Egidio e a 25 profughi che pranzeranno più tardi con lui. Prima dell’arrivo del Papa in automobile, accompagnato dal vescovo Domenico Sorrentino, fuori dalla porta milleduecentesca del Convento su cui sventolano le bandiere bianche e gialle del Vaticano, c’è il mondo intero a sfilare sotto le telecamere dei centinaia di giornalisti accreditati.
I crocifissi intarsiati in oro dei patriarchi orientali si incrociano con le cinture in corda dei francescani; le kippah ebraiche e gli shashia musulmani si confondono con gli zucchetti rosso porpora dei cardinali e le teste calve degli shintoisti. Su tutti svettano i kamilavkion dei monaci ortodossi e i curiosi copricapi degli zoroastriani e degli indù. Non mancano poi i semplici laici, parte dei 12mila pellegrini che partecipano all’evento.
Tutti, nel pomeriggio, si raccoglieranno in preghiera, ognuno secondo il proprio rito e la propria tradizione, in diversi luoghi della città serafica. Luoghi impregnati della vita e dell’opera di quel giovane rivoluzionario che fu San Francesco, che si spogliò di ogni ricchezza per portare nel mondo la pace di Dio.
In questo mosaico di culture, colori, razze e tradizioni, è presente anche il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che già nell’ottobre del 2011 aveva partecipato all’incontro di pace di Assisi con Benedetto XVI. “Si ero presente” dice ai giornalisti, “e in cinque anni sono cambiati i contesti. Un conto, tuttavia, è il discorso con il mondo cristiano nelle sue varie accezioni, un conto quello con altre religioni, e là le cose si fanno più complicate. Si cammina non tanto insieme, ma con ritmi differenti a seconda delle situazioni”.
Secondo rav Di Segni, è importante che oggi si tenga l’appuntamento di Assisi, “nuova tappa di una lunga storia”, perché “significa che non si demorde”. “È altrettanto importante, però – aggiunge – che si ottenga qualcosa di buono e di utile e che non si sprofondi della retorica e dei discorsi del ‘volemose bene’, come si dice a Roma”. Anche la preghiera, afferma il rabbino, “ha senso se accompagnata dai fatti altrimenti anche quella rischia di diventare retorica o addirittura bestemmia”.
Più ottimistica la visione di Isak Haleve, dal 2003 rabbino capo della Turchia, una carica di antica tradizione, grande sostenitore del dialogo interreligioso. “La pace è la cosa che tutto il mondo ricerca”, dice a ZENIT. “Tuttavia una vera pace ci sarà solo quando tutte le persone saranno disposte a fare delle concessioni. Quando, cioè, saranno pronti a fare un passo indietro, da una parte e dall’altra”.
“Questa è la pace vera: sedersi insieme, come in un matrimonio dove il marito fa un passo indietro per essere in pace con la moglie, e viceversa”, afferma Haleve, che non vuole però commentare la situazione del suo Paese dopo il golpe di luglio, perché “qui non parliamo di politica ma di dialogo tra le religioni”. In questo momento chi deve fare questo primo passo? “Tutti – afferma – nessuno è escluso dalla ricerca della pace!”
Grande spazio nell’incontro di Assisi è dedicato al tema del fenomeno migratorio, “semplicemente perché essi sono una parte determinante della pace”, come spiega a ZENIT il cardinale Francesco Montenegro, l’arcivescovo di Agrigento che ha fatto dell’emergenza immigrazione e dei drammi dei profughi la pietra angolare del suo ministero
“I migranti sono il termometro di una pace che non c’è”, afferma il porporato, anche presidente di Caritas italiana e preside della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute. “Se vogliamo ricostruire un vero equilibrio in Italia, in Europa e nel mondo, bisogna mettere il tassello dell’immigrazione al posto giusto. Se questa gente dopo anni continua a scappare per le situazioni politiche, per le situazioni ecologiche, vuol dire che la pace è saltata”.
Dunque questa strada, sottolinea Montenegro, va percorsa “obbligatoriamente”, perché “non si tratta di gruppetto di persone, nel mondo ci sono 244milioni di persone che si spostano da una parte all’altra. È un sesto continente! E un mappamondo senza l’Europa non è buono, un mondo con questo sesto continente non è un buon mondo, è guasto. Bisogna allora ricollocarlo al posto giusto”.
[Dal nostro inviato ad Assisi]