Nella penombra della Basilica inferiore di San Francesco, ad Assisi, tra il profumo di incenso e di candele accese per ogni Paese del mondo oggi sofferente, si leva il grido di Papa Bergoglio: “Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa”.
Nella sua meditazione pronunciata durante la preghiera ecumenica nella Chiesa che custodisce le spoglie del Poverello, poco prima della cerimonia finale dell’evento “Sete di Pace”, il Papa si fa voce delle popolazioni annientate da guerre, violenze, abusi, migrazioni forzate, ma anche dalla ‘semplice’ indifferenza.
Per denunciare questo flusso di male insieme ai leader di ogni religione, che lo accompagnano in questa visita ad Assisi, Francesco fa proprie le parole di Gesù che – dice – “ci interpellano, domandano accoglienza nel cuore e risposta con la vita”. “Nel suo ‘Ho sete’ – sottolinea il Pontefice – possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”.
Sono questi “membra ferite e riarse della sua carne” e oggi “hanno sete”. Ma come a Gesù sulla Croce, anche a questa gente “viene spesso dato l’aceto amaro del rifiuto”, commenta il Papa. E, provocatorio, domanda: “Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione”.
Il Signore, invece, nel suo giudizio “chiamerà ‘benedetti’ quanti hanno dato da bere a chi aveva sete, quanti hanno offerto amore concreto a chi era nel bisogno”, afferma Bergoglio, rammentando l’esempio di San Francesco d’Assisi che “per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi”, e di Madre Teresa di Calcutta che estingueva “la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri”. “Il Signore è dissetato dal nostro amore compassionevole, è consolato quando, in nome suo, ci chiniamo sulle miserie altrui”, dice il Papa.
I cristiani, allora, “di fronte a Cristo crocifisso, ‘potenza e sapienza di Dio’”, sono “chiamati a contemplare il mistero dell’amore non amato e a riversare misericordia sul mondo. Sulla croce, albero di vita, il male è stato trasformato in bene; anche noi, discepoli del crocifisso, siamo chiamati a essere ‘alberi di vita’, che assorbono l’inquinamento dell’indifferenza e restituiscono al mondo l’ossigeno dell’amore”. Da ogni fedele di ogni religione esca allora “compassione per tutti gli assetati di oggi”, come quell’acqua che sgorgò dal sangue di Cristo crocifisso, “simbolo dello Spirito che dà la vita”.
Un pensiero, infine, anche a Maria: come Lei presso la croce – prega il Santo Padre – “il Signore ci conceda di essere uniti a Lui e vicini a chi soffre. Accostandoci a quanti oggi vivono da crocifissi e attingendo la forza di amare dal Crocifisso Risorto, cresceranno ancora di più l’armonia e la comunione tra noi”.
[Dal nostro inviato ad Assisi]