disegno del Maestro Carmelo Raco

I martiri coreani: evangelizzazione senza missionari

Grazie ad un libro del gesuita Matteo Ricci, alcuni laici illuminati fondarono la prima comunità cristiana in Corea

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Il dialogo e lo scambio culturale tra i popoli ha sempre costituito una ricchezza comune, perché offrono la possibilità di conoscere e di accogliere esperienze che possono risultare decisive per la propria vita e per quella di una intera nazione. Un esempio di beneficio di confronto con persone di altri paesi è quello avvenuto agli inizi del 1600, quando una delegazione di coreani si recò a Pechino per uno scambio culturale con la gente cinese.
I coreani appresero per la prima volta i tratti essenziali della fedele cristiana. Essi vollero approfondire i contenuti della dottrina portandosi in patria il celebre libro del padre gesuita Matteo Ricci, La Vera dottrina di Dio. Lee Byeak ebbe il merito di essere il primo coreano a fondare la prima comunità cristiana. Successivamente egli domandò di farsi battezzare e chiese al suo amico Lee-sunghoon di portare altri libri dalla Cina per approfondire la fede cristiana.
La Chiesa iniziò a muoversi ed a formarsi lentamente, anche senza la presenza di sacerdoti. Solo successivamente arrivò il primo presbitero, Chu-mun-mo, e la comunità cristiana cominciò ad accogliere un numero sempre più grande di fedeli. Nel 1785 scoppiò una grande persecuzione verso la Chiesa locale, provocando tanti morti compresa quella dell’unico prete.
Questa ferocia verso i cristiani proseguì anche negli anni successivi. Nel 1802 il re della Corea emanò un editto che proclamava lo sterminio dei cristiani. La Chiesa coreana chiese aiuto al Vescovo di Pechino ed al Papa di mandare sacerdoti. Nel 1837 arrivarono in Corea un Vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi. Essi compirono la loro missione prima di essere martirizzati, dopo due anni dal loro arrivo nel paese asiatico.
Qualche tempo dopo Andrea Kim Taegon contribuì a far entrare in Corea un Vescovo ed un sacerdote. Dal quel momento iniziò una vera successione apostolica, anche se nel 1866 scoppiò un’altra forte persecuzione contro i cristiani, la quale ebbe termine nel 1882, quando il governo coreano concesse la libertà religiosa.
Proprio durante questa ultima persecuzione vi furono circa 10.000 martiri; 103 di questi furono beatificati in due gruppi distinti nel 1925 e nel 1968. Essi furono canonizzati da Papa Giovanni Paolo II tutti insieme il 6 maggio 1984 a Seul. Ad esclusione di 10 persone che erano stranieri, 3 Vescovi e 7 sacerdoti, tutti gli altri sono stati martiri coreani laici, alcuni catechisti ed altri semplici fedeli.
Quale insegnamento lascia la storia della Chiesa coreana e l’eroicità dei suoi martiri? Il primo elemento che ha caratterizzato la nascente comunità cristiana coreana è stato la persecuzione. I governi hanno da sempre visto il cristianesimo come un pericolo che metteva a rischio la loro egemonia politica, economica e giuridica. La vicenda evangelica del potente re Erode, il quale voleva uccidere il bambino Gesù, è un esempio eloquente di come la paura di perdere il loro potere suscita un comportamento violento del tutto esagerato ed immotivato rispetto alla reale situazione.
Il cristianesimo da sempre promuove il diritto della libertà individuale, la solidarietà verso i poveri, il rispetto della dignità di ogni persona, la cura dei malati in qualunque stagione della loro vita, una condizione di vita dignitosa per i prigionieri, l’accoglienza dei migranti. Queste forme di apertura e di condivisione del bene comune da sempre terrorizzano i governanti, i quali cercano di accentrare i poteri, per accrescere i loro capitali, estendere la loro influenza decisionale e imporre leggi che schiavizzano l’uomo.
La persecuzione verso la Chiesa è il mistero dell’iniquità che continuamente attraversa la Chiesa nel corso dei secoli. La Chiesa coreana, anche se perseguitata da feroci e violenti attacchi, è rimasta integra nella fede grazie al sangue versato dai suoi martiri. La loro testimonianza ha sortito l’effetto di rendere ancora più salda la fede di quei cristiani.
La maggior parte dei martiri erano fedeli laici. La Chiesa coreana è diventata celebre per il ruolo avuto dal laicato nella nascita e nella diffusione della Chiesa. I laici sono stati i protagonisti assoluti della vita della comunità cristiana. Il loro vivere insieme come veri fratelli e sorelle attirava sempre nuovi cristiani, i quali rimanevano colpiti dall’amore e dalla solidarietà che manifestavano l’uno con l’altro.
Le crisi vocazionali, la diminuzione del numero dei battezzati, la scarsa partecipazione alla liturgia domenicale, la riduzione di famiglie cristiane, spingono la Chiesa ad un coinvolgimento sempre maggiore da parte dei laici, i quali, essendo per natura impiantati nei luoghi di lavoro, nei luoghi di divertimento, nei quartieri delle città, possono trasformarsi in veri missionari compiendo gesti concreti e rinunciando ad usare troppe parole.
La missione dei laici può diventare estesa ed efficace, ma deve prima combattere il nemico del clericalismo, ossia quella sottile tentazione di delegare tutta l’opera di evangelizzazione ai preti, alle suore, ai Vescovi ed ai Cardinali. La Santa Madre Chiesa gerarchica ha diverse funzioni, ed ognuna rispetta la vocazione ricevuta. Il battesimo ha reso ogni cristiano missionario del Vangelo. Parlare di Cristo, invitare alla riconciliazione, diffondere il magistero della Chiesa, vivere la solidarietà e la fraternità, non sono cose da preti o da suore, ma sono il sale della vita quotidiana e la luce della testimonianza cristiana.
Il laico annienta il veleno del clericalismo quando cura la relazione con sua moglie o suo marito, quando si interessa della crescita dei figli, quando si occupa dei bisogni del vicino di casa, quando accoglie le esigenze pastorali della sua parrocchia, quando entra a fare del mondo del volontariato per l’evangelizzazione e per le opere di carità.
La Chiesa coreana ricorda al mondo intero la necessità di formare laici che non vivano distaccati dalla Chiesa, ma piantati nella comunità cristiana, la quale diventa luce del mondo solo quando riconosce l’altro come fratello. Le famiglie che lo compongono la chiesa domestica sono la colonna e le fondamenta di quel laicato chiamato a vivere quell’amore gratuito e generoso, il quale è l’unico capace di attrarre alla fede coloro che vivono in attesa di una risposta alla loro inquietudine interiore sul senso della vita e su cosa gli aspetta dopo la morte.

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Osvaldo Rinaldi

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