È di fatto un’enciclica sulla figura e il lavoro del Nunzio apostolico, l’imponente discorso che Papa Francesco consegna ai Rappresentanti Pontifici ricevuti stamane in Sala Clementina in occasione del loro Giubileo. Ai diplomatici il Papa spiega come parlare, agire e comportarsi con vicini e lontani dei diversi Paesi in cui svolgono il servizio per la Santa Sede; lo fa attraverso una serie di indicazioni pratiche che partono da un dato di fatto: il legame con il Successore di Pietro, “linfa per la vita della Chiesa e per l’annuncio del suo messaggio”.
In virtù di questo, Bergoglio auspica che “la sede della Nunziatura Apostolica sia veramente la ‘Casa del Papa’, non solo per la sua tradizionale festa annuale, ma come luogo permanente, dove tutta la compagine ecclesiale possa trovare sostegno e consiglio, e le autorità pubbliche un punto di riferimento, non solo per la funzione diplomatica, ma per il carattere proprio e unico della diplomazia pontificia. Vigilate – dice – affinché le vostre Nunziature non diventino mai rifugio degli ‘amici e amici degli amici’”.
“Fuggite dai pettegoli e dagli arrivisti” raccomanda il Papa, e ispiratevi al Buon Pastore per il rapporto con la comunità civile e con il gregge “specie quando gli unici criteri che li determinano sono disprezzo, precarietà e scarto”. “Non abbiate paura di spingervi fino a frontiere complesse e difficili, perché siete Pastori ai quali importa davvero il bene delle persone. Nell’ingente compito di garantire la libertà della Chiesa di fronte ad ogni forma di potere che voglia far tacere la Verità, non illudetevi che questa libertà sia solo frutto d’intese, accordi e negoziati diplomatici, per quanto perfetti e riusciti”, sottolinea il Santo Padre.
Al contempo, ammonisce, “non sposate linee politiche o battaglie ideologiche, perché la permanenza della Chiesa non poggia sul consenso dei salotti o delle piazze, ma sulla fedeltà al suo Signore”. Il “vero potere” della Chiesa è nella Misericordia; perciò “non abbiamo il diritto di privare il mondo, anche nei forum dell’azione diplomatica bilaterale e multilaterale e nei grandi ambiti del dibattito internazionale, di questa ricchezza che nessun’altro può donare”.
È proprio questa consapevolezza che spinge “a dialogare con tutti, e in molti casi a farci voce profetica degli emarginati per la loro fede o la loro condizione etnica, economica, sociale o culturale” evidenzia Papa Francesco. Tuttavia, “senza l’umiltà nessun servizio è possibile o fecondo”. Umiltà che “passa attraverso l’amore per il Paese e per la Chiesa in cui si è chiamati a servire” e per “l’atteggiamento sereno di stare dove il Papa l’ha voluto, non con il cuore distratto dall’attesa della prossima destinazione” ma “per intero, con mente e cuore indivisi”.
È proprio questo ciò che i cattolici e la società vogliono e devono percepire: che “nel loro Paese, il Nunzio si trova bene, come a casa sua; si sente libero e felice di instaurare rapporti costruttivi, condividere la vita quotidiana del posto (cucina, lingua, usanze), esprimere le proprie opinioni e impressioni con grande rispetto e senso di prossimità, accompagnare con lo sguardo che aiuta a crescere”.
E anche in quei luoghi dove la presenza cristiana è mal vista, “non basta puntare il dito o aggredire chi non la pensa come noi”. “Ciò è una misera tattica delle odierne guerre politiche e culturali, ma non può essere il metodo della Chiesa”, spiega Bergoglio. “Il nostro sguardo dev’essere esteso e profondo. La formazione delle coscienze è il nostro primordiale dovere di carità e ciò richiede delicatezza e perseveranza nella sua attuazione”.
“Certamente – aggiunge – è ancora attuale la minaccia del lupo che dall’esterno rapisce e aggredisce il gregge, lo confonde, crea scompiglio, lo disperde e lo distrugge…”. Basti pensare ai cristiani in Oriente “verso i quali il violento assedio sembra mirare, con il silenzio complice di tanti, alla loro eradicazione”. Ai Nunzi, perciò, “non si chiede l’ingenuità degli agnelli, ma la magnanimità delle colombe e l’astuzia e la prudenza del servo saggio e fedele. È bene tenere gli occhi aperti per riconoscere da dove vengono le ostilità e per discernere le vie possibili per contrastare le sue cause e affrontare le sue insidie”, mette in guardia il Santo Padre.
Incoraggia pertanto “a non indugiare in un clima di assedio, a non cedere alla tentazione di piangersi addosso, di fare le vittime di chi ci critica, ci pungola e talora anche ci denigra”. Anzi, “spendete le vostre migliori energie” – dice – e siate “pronti e felici di spendere (talora anche perdere) tempo con vescovi, preti, religiosi, parrocchie, istituzioni culturali e sociali”, perché è in queste occasioni che “si creano le condizioni per imparare, ascoltare, far passare messaggi, conoscere problemi e situazioni personali o di governi ecclesiali che vanno affrontate e risolte”.
Attenzione, non si tratta di una “supina strategia per raccogliere informazioni e manipolare realtà o persone” precisa il Papa, bensì di “un atteggiamento” che si addice a chi “non è solo un diplomatico di carriera” ma anche “un Pastore dotato della capacità interiore di testimoniare Gesù Cristo”. Per questo non ci si deve neanche far sopraffare dalla “logica della burocrazia” che spesso può impadronirsi di questo lavoro “rendendolo chiuso, indifferente e impermeabile”.
In tal senso, il Vescovo di Roma incita ad accompagnare il popolo di Dio con il cuore di Pastori. Per farlo, però, “bisogna muoversi”: “Non basta la fredda carta delle missive e dei rapporti. Non basta imparare per sentito dire… Non attendete che le persone vengano da voi per esporvi un problema o desiderose di risolvere una questione. Recatevi nelle diocesi, negli istituti religiosi, nelle parrocchie, nei seminari, per capire cosa il Popolo di Dio vive, pensa e domanda”.
Allo stesso modo va poggiata una mano anche sulla spalla dei Vescovi, aiutandoli “ad affrontare le sfide e a trovare le soluzioni che non ci sono nei manuali, ma sono frutto del discernimento paziente e sofferto”. In proposito, Francesco esprime la “viva preoccupazione” per la selezione dei futuri vescovi, per i quali indica alcuni criteri utili: essere “testimoni del Risorto e non portatori di curriculum; vescovi oranti, familiarizzati con le cose ‘dell’alto’ e non schiacciati dal peso ‘del basso’; capaci di entrare ‘in pazienza’ alla presenza di Dio; pastori e non principi e funzionari”.
Per capire dove si sono rintanati “questi piccoli David” bisogna “smuoversi” e “scrutare i campi”, ribadisce Bergoglio, ma non “con qualche prefissato profilo di cacciatori di teste”, tantomeno con criteri “dettati dai vani intenti con i quali pensiamo di poter programmare nelle nostre scrivanie la Chiesa che sogniamo”. “Non ci si può accontentare di pescare negli acquari, nella riserva o nell’allevamento degli ‘amici degli amici’. In gioco c’è la fiducia nel Signore della storia e della Chiesa”, dice il Papa.
In ultimo, avverte i Rappresentanti Pontifici dal rischio di cadere in una “pigrizia intellettuale” data dal “ripetersi del lavoro”, dai “numerosi impegni” e dalla “mancanza di nuovi stimoli”. Anche, chiede di liberare la missione diplomatica “da interessi geopolitici, economici o militari immediati” e “discernere nei primi interlocutori governativi, politici e sociali e nelle istituzioni pubbliche l’anelito a servire il bene comune”, anche se talora “offuscato o mortificato da interessi personali e corporativi o da derive ideologiche, populistiche o nazionalistiche”.
“Non abbiate paura di interloquire con fiducia con le persone e le istituzioni pubbliche”, sollecita Francesco, “la Chiesa, pur senza sottovalutare l’oggi, è chiamata a lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati”. “Noi – conclude – non siamo commessi della paura e della notte, ma custodi dell’alba e della luce del Risorto. Il mondo ha tanta paura e la diffonde. Spesso fa di essa la chiave di lettura della storia e non di rado la adotta come strategia per costruire un mondo poggiato su muri e fossati”.
La strada è invece tutt’altra. “Andate: aprite porte; costruite ponti; tessete legami; intrattenete amicizie; promuovete unità”, incoraggia infatti il Papa, perché la paura “abita sempre nell’oscurità del passato, ma ha una debolezza: è provvisoria”. Il futuro, invece, appartiene alla luce. Appartiene a Cristo.