Foto: Carlo Azeglio Ciampi e San Giovanni Paolo II

"Ci abbracciavamo con uno sguardo". Quella amicizia tra Ciampi e Wojtyla

Un ricordo dello speciale legame che univa il presidente della Repubblica emerito, scomparso oggi, e il Papa polacco

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L’unicità dell’amicizia che legava Carlo Azeglio Ciampi e Karol Wojtyla non era data solo dal fatto di essere due personaggi pubblici di primo piano, protagonisti indiscussi del ‘900, che avevano superato sin dal primo incontro gli stretti formalismi istituzionali entrando ben presto in confidenza. Era data, piuttosto, dalla intimità dei gesti e delle parole che l’allora presidente della Repubblica italiana e il Pontefice della Chiesa universale si scambiavano nei loro frequenti incontri dentro e fuori il Vaticano. Era data da quei saluti pregni d’affetto: mai un inchino, mai un baciamano. “Io non gli ho mai baciato la mano, noi ci si abbracciava…”.

Abbraccio che avveniva a volte anche “con uno sguardo”, come raccontò lo stesso Ciampi descrivendo gli ultimi giorni in cui vide Wojtyla in vita. Era data, quella unicità, anche da tutte le coincidenze che il Pontefice polacco amava ricordare: lo stesso anno di nascita, il 1920; lo stesso nome di battesimo, Carlo, sotto la protezione di San Carlo Borromeo; la data del 13 maggio, festa della Madonna di Fatima, nonché giorno dell’attentato al Papa e dell’elezione al Colle.

La scintilla tra i due scoccò il 24 giugno 1993, quando Ciampi si recò per la prima volta in Vaticano in visita ufficiale come presidente del Consiglio dei ministri. Lui stesso ricordò in alcune occasioni quel momento: “Seduti uno di fronte all’altro, il colloquio si protrasse ben oltre il tempo previsto dal protocollo. Quel primo incontro, quel nostro primo parlarci, si svolse in un clima che percepii quasi subito speciale”. Ancora più nel dettaglio, nel libro intervista con il giornalista Arrigo Levi, “Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano”, Carlo Azeglio Ciampi confidò: “Ricordo ancora quell’incontro, di cui si parlò pochissimo. Nel giro di pochi minuti diventò, non dico una confessione, ma un incontro in cui ci aprimmo il cuore. Ricordo che mi commossi. Nessuno lo seppe perché ero solo. Questo fu il primo incontro”.

Ne seguirono tanti e tanti altri; non da subito, ma dopo un salto temporale di circa sei anni. Dunque nel 1999, anno dell’elezione di Ciampi come presidente della Repubblica italiana, il primo non parlamentare della storia. Il capo di Stato tornò nel Palazzo Apostolico in una nuova veste, accompagnato dalla moglie Franca, la quale contribuì con la sua spontanea franchezza (nomen omen) a rendere quel momento indimenticabile, grazie ad una battuta al momento del congedo rimasta agli annali: “Santità, mi raccomando non si strapazzi”.

Tutti i Tg e i giornali dell’epoca titolarono: “Il presidente della Repubblica in Vaticano: Santità non si strapazzi”. Una esclamazione che Ciampi disse di non aver neppure sentito “perché ci eravamo congedati e ci avviavamo all’uscita. Mia moglie tornò indietro e se ne uscì con quel ‘non si strapazzi’… Talché, rientrati al Quirinale, andammo a tavola, erano circa le due, accesi la televisione, c’era il telegiornale e… caddi dalle nuvole perché non avevo sentito questa battuta di mia moglie”.

Delle “uscite estemporanee” di Donna Franca alla presenza del Papa se ne ricordano parecchie. Una volta il presidente raccontava di essere stato invitato ad una cena con “Sua Santità, mons. Stanislao e un giovane prelato che accudiva il Papa, perché già non era in condizione di mangiare da solo…”. “Mia moglie, con le sue solite uscite estemporanee, disse: ‘Santità, io tutti i giorni prego per lei’. Io le diedi un’occhiataccia, poi per rimediare, dopo un po’ gli dissi: ‘Santità, io non mi permetto di pregare per lei, però la penso spesso’. Lui mi guardò fisso con quei suoi occhi; ci abbracciammo con lo sguardo”.

Queste colazioni e questi pranzi, ai quali Giovanni Paolo invitava il capo di Stato quasi ogni giorno, erano contrassegnati dall’immediatezza dei rapporti. “Si parlava al di fuori di ogni protocollo” confidava il senatore, che definiva scherzosamente Wojtyla “il mio fratello maggiore, per i pochi mesi che separavano le nostre date di nascita”.

Insieme a loro e alla consorte – “avevamo 80 anni l’uno e in tre, con Franca, facevamo 240 anni” –  era sempre presente mons. Stanislaw Dziwisz, il segretario particolare di Wojtyla che faceva da tramite nell’organizzare gli appuntamenti. Il Papa “diceva Messa nella sua piccola cappella, nel suo appartamento, alla presenza di poche suore. Andavamo con mia moglie. Seguivamo la Messa e dopo ci trattenevamo per il breakfast per tre quarti d’ora. Si parlava liberamente. Quando lui cessò di dire Messa per motivi di salute, il breakfast si trasformò in lunch. L’iniziativa la prendeva a volte lui, a volte io. Il tramite era monsignor Stanislao”.

I due amici si incontrarono anche a Castel Gandolfo o nell’aeroporto di Ciampino, in qualche saletta privata o addirittura sulla pista d’atterraggio. Insieme dibattevano di tutto: dell’Italia che amavano e che li amava, di politica e buon governo, della classe dirigente, di moralità nei comportamenti pubblici e privati, di media e nuove tecnologie, di giovani e di pace, dell’orrore della guerra che avevano vissuto in Paesi diversi. Entrambi avevano a cuore la lotta contro la denatalità e la paura di “un’Europa senza futuro”; entrambi condividevano una profonda fede cattolica, che il presidente aveva maturato durante i suoi studi d’infanzia nell’Istituto San Francesco Saverio, la scuola dei Gesuiti a Livorno.

Ad ogni fine anno arrivava poi la telefonata di auguri del Pontefice, “una delle prime che ricevevo”, e il messaggio alla Nazione che idealmente si prolungava nell’Angelus del giorno seguente, come un sostegno indiretto che il Successore di Pietro voleva dare alle parole del suo amico presidente.

Nella mente e nel cuore di molti rimane incancellabile anche il ricordo dell’incontro ecumenico di Assisi, che il prossimo 20 settembre rivivrà dopo 30 anni con Papa Francesco. Tutti i leader delle diverse religioni, durante la cerimonia finale davanti alla Basilica inferiore di San Francesco, deponevano simbolicamente una lampada accesa su un tripode. Ciampi era in prima fila tra gli ospiti ad osservare quella processione suggestiva, quando il cerimoniere gli si avvicinò con una lampada accesa. “Ebbi un momento di esitazione, cosa faccio, capii, e reagii subito quando mi disse: ‘Sua Santità chiede se anche lei vuole portare la sua lampada’. Presi la lampada accesa e la collocai sul tripode”. “Nello spirito di Assisi come in quello dell’incontro con i giovani a Tor Vergata c’è il sigillo di Giovanni Paolo, della sua straordinaria intelligenza, che la mediazione del cuore arricchisce e feconda”, commentò in seguito il presidente.

L’ultimo incontro tra i due “nonni d’Italia” – che condivisero, anche se in momenti separati, i patimenti del Parkinson, uno, e dell’alzheimer, l’altro – risale a un paio di mesi prima della morte di Karol Wojtyla, all’inizio del 2005. In agenda c’era un appuntamento al Quirinale il 29 aprile 2005, giorno di Santa Caterina patrona d’Italia, ma il Pontefice polacco scomparve il 2 di quel mese. Ciampi fu uno dei primi a correre in Vaticano per rendergli omaggio e ringraziarlo con commozione per la forza “coinvolgente delle sue esortazioni alla giustizia e alla fratellanza, per l’ardore con cui, attraverso lo sguardo, il gesto, il tono della voce, prima ancora che con la parola, riusciva a penetrare le coscienze, a suscitare entusiasmo, a mobilitare l’umana solidarietà”.

Nel suo studio, la stanza dove trascorse gran parte delle sue giornate fino alla morte avvenuta oggi a 95 anni, su un ripiano della libreria che custodiva le letture predilette di una vita, trovava posto una grande fotografia che ritraeva l’abbraccio con Giovanni Paolo. Quel gesto “rivelato solo dallo sfiorarsi delle fronti” e fissato dalla macchina fotografica era “molto più che un ricordo” per l’ex presidente della Repubblica italiana. Era un’immagine che racchiudeva “il senso profondo di un’intesa spirituale, di una corrente di umana simpatia avvertita fin dal primo incontro”. La testimonianza di quello che Carlo Azeglio Ciampi ha considerato sempre “un dono dei più preziosi tra quelli che la vita mi ha fatto”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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