Britch Mirela (Commons Wikimedia)

Quell’Addolorata così dignitosa e forte

Maria ai piedi della Croce è l’emblema della compassione nei confronti di chi soffre e della non rassegnazione ai mali del mondo

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Ritta, discosta appena dal legno, / stava la madre assorta in silenzio, / pareva un’ombra vestita di nero, / neppure un gesto nel vento immobile. / Lo sguardo aveva sperduto lontano: / cosa vedevi dall’alta collina? / Forse una sola foresta di croci? / O anche tu non vedevi più nulla? / O madre, nulla pur noi ti chiediamo: / quanto è possibile appena di credere, / e star con te sotto il legno in silenzio: / sola risposta al mistero del mondo”.
“Ritta, Stava, Sguardo lontano…”. A partire da queste parole di David Maria Turoldo, che non sono solo poesia ma vero e proprio “luogo teologico”, prende avvio questa riflessione sulla Madonna Addolorata, che la Chiesa celebra il 15 settembre, e che non ci insegna certo il culto dell’infelicità umana, quasi come se, a somiglianza di Maria e suo figlio “sconfitti” nel dolore, morte e sofferenza, debbano accettarsi passivamente in silenzio, come se fosse questo il messaggio del cristianesimo: “La madre Addolorata ci insegna che alle lacrime subentrano la speranza e la fiducia nella resurrezione…il nostro Dio cristiano è il Dio dei vivi, non del dolore e dei morti! Anche affranti dal dolore, non dobbiamo perdere mai la fiducia nell’azione potente e guaritrice dello Spirito Santo” (mons. Vincenzo Bertolone, Scrivo a voi ammalati e allettati).
La fonte certa della nostra fede è la Sacra Scrittura: e l’evangelista Giovanni non scrive che Maria presso la Croce gridasse o piangesse o si disperasse. Scrive, semplicemente, solennemente: “stava”. Questo verbo è contrapposto a “cadere” (cfr. ad es. Rm 14,4; 1Cor 10,12), evocando così la capacità di resistenza, di stabilità, dignitosa e piena di attenzione, il saper “rimanere” nelle situazioni. Inoltre, Maria non sta “ai piedi” della Croce, non è icona di sottomissione, passività e dolore, ma, è scritto nel Vangelo, sta “presso” la Croce, in un significato di dignitosa forza e prossimità a colui che soffre.
Da qui scaturisce l’ermeneutica femminile e non violenta di un nuovo modo di vivere e di una diversa società, fondata sui valori dell’accoglienza e del “prendersi cura dell’altro” che tutti, uomini e donne insieme, devono vivere, per la costruzione della nuova “civiltà dell’amore”. Vicinanza, ascolto, “farsi prossimo”: lo “stare” di Maria è coscienza critica di fronte ai mali del mondo e questo è il compito che interpella gli uomini e le donne di oggi.

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Anna Rotundo

Anna Rotundo (Catanzaro) è laureata in scienza religiose: insegna religione nelle scuole secondarie, è componente del comitato di redazione del giornale diocesano Comunità Nuova" e di diverse altre riviste. Si occupa, tra l'altro, di cultura, diritti umani e diritti delle donne."

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