C’è un’aria intorno a noi di smobilitazione della fede. Anche se la religione conquista spazi e simpatie, non sempre tutto questo corrisponde ad una consapevolezza del valore del vangelo nella vita di ognuno. Ci sono da una parte categorie sociali e politiche che si collocano al di sopra della religione stessa o la usano nelle relazioni istituzionali ed economiche per garantire gli equilibri generali; dall’altra s’intravede una partecipazione di popolo che spesse volte si rivela attenta più alla ritualità che ad una maturazione di fede, capace di risvegliare l’unità con Cristo e con la Scrittura.
I cristiani senza questa omogeneità sono solo dei rappresentanti di se stessi, non certo della Parola di Dio che precede ogni cosa. Avremo magari persone serene e tranquille, ma vuote se prive di quella spiritualità sapienziale che è sale del mondo e fa la differenza con i calcoli quotidiani di una vita lontana dal cielo. Chi oggi è in grado di mettere in secondo piano le certezze che la società odierna consiglia, incastrando tra l’altro la libertà del singolo? Chi è pronto a seguire la verità che è dal Verbo e serve all’uomo per affrontare qualsiasi suo ruolo sociale, politico, familiare, lavorativo, ecc.?
Il mondo si trova veramente sull’orlo di un collasso sociale, non solo per le guerre in atto o i drammi collettivi e la violenza terroristica che ne conseguono, ma per una riduzione globale di quei valori cristiani che responsabilizzano e tutelano la società dal di dentro. Quando Gesù, appena dodicenne, lascia i genitori in viaggio per Nazareth, non la fa perché bambino disobbediente, ma perché la voce del Padre lo aveva inviato al Tempio di Gerusalemme a discutere con i dottori della Legge. Chiara in Luca la sua risposta ai genitori: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Anche negli anni della sua missione, quando i parenti di Gesù gli chiederanno di andare con loro a Gerusalemme per la festa delle Capanne, come ci racconta Giovanni nel capitolo settimo, questi non riusciranno ad avere la sua disponibilità. Lui resterà ancora per tre giorni a Nazareth. Non si tratta comunque di un rifiuto per non partecipare all’evento della tradizione con il resto della famiglia. Il Figlio dell’Uomo segue semplicemente il tempo del Padre e non, come in questo caso, quello dei suoi parenti.
Mons. Costantino Di Bruno ripete spesso che dove c’è una parola del Signore noi dobbiamo “inchiodarci”, rimanendo completamente in essa senza essere risucchiati dalle cose del mondo, programmate spesso a stare da tutt’altra direzione. “Gesù”, osserva ancora il sacerdote, “chiede ai suoi discepoli e quindi a chiunque abbia deciso di seguirlo: O vi inchiodate sulla mia Parola o non potete essere miei discepoli, perché io cammino e voi non ci sarete. Il vero discepolo è colui che cammina dietro e non davanti il suo Maestro”.
Se anche oggi Cristo continua ad andare per una strada, indicando un preciso modello vitale, senza che i credenti lo seguano, significa che le nostre comunità rischiano di perdere il vero discernimento del loro progetto sociale. Se questo accade non si è con Lui; si procede per i fatti propri, con i guasti quotidiani facili da verificare. Dove va cercato allora il motivo del disastro che si sta consolidando alle spalle delle nostre comunità? Come si fa a non capire che esse stesse sono sempre più accecate dalle precarie certezze del sistema sociale ed economico a cui si aderisce?
Bisogna avere il coraggio di osservare che il cristiano, il vangelo e Cristo non camminano più per la stessa strada. Cosa molto grave che può essere paragonata, senza esagerare, ad una bomba più potente di quella atomica. Un esempio che forse si fa fatica a prendere in seria considerazione, perché non uccide subito; non sprigiona sostanze radioattive immediate; non devasta le strutture abitative in cui si vive. Ma se Cristo non viene tutt’ora seguito; se si continua a studiare il Vangelo come un qualsiasi volume letterario e il cristiano continua a costruire il suo mondo spirituale con i suoi tempi e le sue necessità, si rischia di fare cadere la verità dell’uomo nel tritacarne delle illusioni umane.
La varietà e la duttilità di quest’ultime, sempre presenti nell’emporio ben organizzato di un relativismo fisso in prima fila, sono la morte accertata di una società in forte declino morale ed esistenziale. Non si può proseguire a vivere senza questa unità: Cristo, vangelo, cristiano. È necessario perciò amare la Parola del Signore più di se stessi, per porla prima di qualsiasi altra cosa conosciuta. Una pratica naturale che l’attualità ha reso priva d’interesse e a volte quasi fantasiosa. Il cristiano deve pertanto inchiodarsi alla Parola, per rendere “omaggio” a questa unità in grado di sconvolgere gli uomini in positivo, rimettendoli al centro di un cammino di speranza e di prosperità comune.
La realtà attuale ha però deciso che Cristo rimanesse solo un necessario nesso letterale; il vangelo un libro da conoscere e magari da segnalare; i comandamenti fossero delle regole di vita ormai sorpassate dai nuovi diritti acquisti. Si partecipa tuttavia alle ritualità religiose; così come si chiede l’Eucaristia. Un imbroglio che non prevede nulla di buono per il benessere dell’Umanità. Il mondo si fa forte oggi della debolezza del cristianesimo, rendendo più difficile quell’unità che manca e che bisognerebbe presto ricomporre nel cuore dei singoli individui. Solo così la parola di Dio potrà precedere ogni cosa, per ridare all’uomo quella strada maestra che conduce ad un traguardo sicuro.
Gesù / Pixabay CC0 - Myriams-Fotos, Public Domain
Anche oggi la parola di Dio deve poter precedere ogni cosa
I cristiani, Cristo e il Vangelo devono riprendere a camminare nella stessa direzione