Gesù sceso all’inferno

Non esiste un abisso dove un uomo possa cadere senza trovare già il Cristo che è sceso, obbediente, prima di lui per raccoglierlo

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La solidarietà di Gesù non si è limitata al morire, ma a vivere la realtà del morto. Con la sua morte ha fatto seriamente parte dei refa’im, i senza forza; egli ha preso su di sé l’esperienza della poena-damni dei figli di Adamo peccatori, sostituendosi ad essi. Balthasar spinge la riflessione fino alle estreme conseguenze: dato che la compassione di Cristo per i peccatori fu infinitamente più grande della sua passione fisica (Bonaventura), la sua sofferenza “era come quella dei dannati… egli arrivò alla pena dell’inferno” (Niccolò Cusano).
La riflessione di Balthasar si fa sottile e traduce con il suo coraggio i salti della mistica della von Speyr, ma la possiamo riassumere con un passo di San Gregorio Magno che dice: “Cristo è disceso fino alle ultime profondità del mare, quando scese all’inferno più profondo, per liberare da esso le anime dei suoi eletti. Prima della redenzione la profondità del mare non era una via, ma un carcere… però Dio ha fatto di questo abisso una via…”.
Solo giungendo alla profondità di questo abisso; solo in questa solidarietà nella morte, Gesù, il “secondo Adamo” diventa “spirito datore di vita” (1Cor 15,45). La sua figura sfigurata è già rivelazione anticipata della gloria e della signoria del Padre.
Nella kenosi fino alla morte in croce, Cristo riprende trionfante il cammino verso il Padre portando dagli abissi ogni uomo, perché ormai non esiste un abisso dove un uomo possa cadere senza trovare già il Cristo che è sceso – obbediente – prima di lui per raccoglierlo. Grazie Gesù.
Ciao da p. Andrea
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Andrea Panont

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