Due santi, uniti in cielo e in terra

Una testimonianza del prof. Carlo Jovine, il medico che ha analizzato, da un punto di vista scientifico, i miracoli di Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta

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Il 19 ottobre 2003, in coincidenza con la Giornata Missionaria Mondiale, Papa Giovanni Paolo II celebrò in San Pietro la beatificazione di Madre Teresa: il primo atto del processo canonico che avrebbe portato, 13 anni dopo, all’elevazione agli altari della piccola grande suora di Calcutta.
In quell’occasione, S. Giovanni Paolo II pronunciò queste parole: “Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla”.
“Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici – disse ancora il Santo Padre –. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979).
Soleva dire: ‘Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio’. Con la testimonianza della sua vita Madre Teresa ricorda a tutti che la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità, alimentata nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio”.
Queste parole confermano la particolare simbiosi spirituale che congiunse, in vita, questi due grandi apostoli della fratellanza, che sono oggi uniti, nel riconoscimento della Chiesa e nel ricordo dei fedeli, da una comune aura di santità.
Ma le opere in vita dei santi, dopo un percorso terreno spesso accidentato e faticoso (sebbene sostenuto dalla consapevolezza di una missione da compiere), trovano continuità nella dimensione dello spirito, dalla quale continuano a rivolgere il loro sguardo affettuoso ai fratelli che vivono nel mondo fisico, intervenendo, in qualche caso, ad orientare il corso della loro esistenza.
È appunto questo il senso del miracolo: ossia un fatto difficile e insolito voluto da Dio per confermare una verità religiosa e per trasmettere un messaggio all’uomo, come spiegava Sant’Agostino. Mentre San Tommaso definiva il miracolo un intervento straordinario di Dio realizzato nel mondo fuori dell’ordine materiale, cioè in un modo superiore alle forze della natura e non contro l’ordine naturale.
Il cardinale José Saraiva Martins – in un libro-intervista scritto da Saverio Gaeta (“Il miracolo di Karol”, Rizzoli Editore) – precisa inoltre che “i miracoli compiuti talvolta in vita dai servi di Dio non costituiscono una prova di santità: unicamente quelli avvenuti dopo la morte, per loro intercessione, confermano definitivamente tale santità con autorità divina. Il miracolo, quindi, va recepito come conferma della fede, come una specie di ‘timbro’ apposto da Dio tramite il quale egli garantisce la santità del candidato agli altari”.
Una guarigione, affinché possa dirsi miracolosa, deve avvenire in modo risolutivo, istantaneo, duraturo e totale. E queste straordinarie circostanze devono essere, per così dire, certificate da una Commissione medica di esperti che ne sanciscono la “inspiegabilità scientifica”. Solo in questo caso la Chiesa riconosce all’evento il carattere di “miracolo” e lo ritiene utile ai fini della beatificazione o canonizzazione, insieme ad un accuratissimo studio svolto dal Postulatore per accertare le “virtù eroiche” esercitate in vita dal candidato alla santità.
“L’esperienza del miracolo è qualcosa che ti cambia dentro. Perché ti dà la chiara consapevolezza che esiste qualcosa che ci trascende ma di cui, al tempo stesso, siamo parte integrante. Posso dire d’aver vissuto un’esperienza che può definirsi un ‘unicum’ nella vita di un medico. Perché una cosa è sapere le cose in teoria per averne sentito parlare da altri, e una cosa è viverle personalmente…”.
A parlare così è il prof. Carlo Jovine, neurologo dell’Ordine di Malta e perito ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi, il medico che ha analizzato, da un punto di vista scientifico, sia il miracolo di Giovanni Paolo II che il miracolo di Madre Teresa.
“I due miracoli riguardano entrambi l’ambito neurologico – ha spiegato Jovine a ZENIT –. Ossia l’interessamento delle strutture cerebrali deputate alla vita, sia nei cinque sensi e nella gestione del movimento, sia nella elaborazione del pensiero, nella creatività e nella formazione dell’unicum che è l’individuo”.
“È suggestivo pensare che entrambi i miracoli, quello di Giovanni Paolo II e quello di Madre Teresa, vadano a incidere sull’intima essenza dell’uomo: il nostro cervello, sede del pensiero e, per i credenti, anello di congiunzione tra la mente e l’anima”.
“Personalmente – racconta il medico – ho esaminato il caso della guarigione dal Parkinson di suor Marie Simon Pierre Normand, che fu la premessa della beatificazione di Wojtyla, e il caso della guarigione dell’ingegnere brasiliano Marcilio Haddad Andrino da otto ascessi cerebrali e da un gravissimo idrocefalo iperteso, che ha dato luogo alla canonizzazione di Madre Teresa”.
“Entrambi gli eventi destano emozione, sia per la loro eccezionalità da un punto di vista clinico (basato su approfondite prove di natura documentale e scientifica), sia per le modalità con cui si sono manifestati”.
“Suor Normand doveva lottare per tenersi in piedi, al punto che, il 2 giugno 2005, aveva chiesto alla Superiora di esonerarla dall’attività lavorativa. Ma proprio allora accadde qualcosa d’imprevedibile: la sera del 2 giugno la sua scrittura era tornata normale e la mattina seguente si svegliò completamente guarita, con una motilità anch’essa del tutto normale e una piena autonomia. Disponiamo, tra l’altro, di un’importantissima prova grafica comparata: il nome di Giovanni Paolo II, scritto con la tipica calligrafia di un ammalato grave di Parkinson poche ore prima della guarigione, e lo stesso nome scritto dalla suora con la scrittura lineare di una persona totalmente sana subito dopo l’evento miracoloso”.
“Altrettanto clamoroso è il caso dell’ingegner Andrino. Il 13 dicembre 2008 venne condotto in sala operatoria in condizioni di coma per essere sottoposto a un disperato intervento chirurgico col rischio di morte imminente. Ma il paziente aprì gli occhi e, tra lo stupore dei medici, domandò perché si trovava lì. Il chirurgo, prof. Cabral, ripresosi dallo stupore e constatata la piena lucidità del paziente, decise di non effettuare il previsto intervento chirurgico e di eseguire una nuova risonanza magnetica dell’encefalo. L’esame rivelò una radicale modifica del quadro patologico preesistente, con la scomparsa dell’idrocefalo acuto e la scomparsa quasi totale degli ascessi cerebrali. Pochi giorni dopo l’ingegner Andrino veniva dimesso dall’ospedale perfettamente guarito e senza esiti”.
“Sono eventi susseguiti a invocazioni di preghiera rivolte ai due santi. Eventi che inducono stupore e che, al tempo stesso, sollecitano una riflessione sul significato della vita – conclude Jovine –. Per quanto mi riguarda, l’esperienza dei miracoli mi ha lasciato una sensazione di profondo arricchimento. Confermando che Fede e Scienza non sono in antitesi. La Fede ha bisogno della Scienza affinché, dando un ruolo attivo all’intelligenza dell’uomo, non rischi di scadere nell’integralismo. La Scienza ha bisogno della Fede per rimanere umile e al servizio dell’uomo; per accettare quella parte di mistero che dà sapore alla vita e la libertà di potersi incontrare con Dio”.

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Massimo Nardi

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