Spot Fertility Day - Ministero della Salute

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Fertility Day: non servono polemiche, ma più figli, pena l’estinzione degli italiani

Lo studioso Roberto Volpi trova “becere” le critiche all’iniziativa del Ministero: “Il disastro demografico si evita facendo più di un figlio. E per farlo occorre sposarsi prima”

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Un anno fa sugli schermi delle tv danesi andò in onda un curioso spot dal titolo “Fallo per la mamma”. Con immagini che lasciavano poco spazio alla fantasia, si invogliavano i giovani a fare figli. Così le emittenti del Paese nordico lanciarono una campagna di sensibilizzazione sul tema della natalità, che in Danimarca si attestava nel 2014 a 1,69 figli per donna.
Qui in Italia, dove il tasso di fertilità scende all’1,37, uno dei più bassi al mondo, il Dicastero della Salute ha dimostrato di avere a cuore il problema. Già nel 2014 il ministro Beatrice Lorenzin annunciò di voler avviare un Piano nazionale per la fertilità, con l’intento di favorire la nascita di più figli.
È in questo contesto che si colloca il Fertility Day, in programma il 22 settembre, quando un’ampia gamma di professionisti – da ginecologi ad andrologi, da endocrinologi a pediatri, finanche psicologi, sociologi ed economisti – si metterà a disposizione per illustrare i rischi legati alla gravidanza oltre una certa età.
Nel Belpaese, tuttavia, l’operosità istituzionale su questo tema ha scatenato un vespaio di polemiche. Ad innescarle, un commento negativo pubblicato su internet da Roberto Saviano, che ha definito il Fertility Day “un insulto a tutti: a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro”.
Allo scrittore campano hanno fatto eco numerose persone sui social network. Di diverso avviso è invece il parere di chi segue il tema della natalità e delle implicazioni dell’inverno demografico.
Ad esempio Roberto Volpi, statistico e studioso di demografia. Intervistato da ZENIT, non esita a definire “becere” e “molto provinciali” queste critiche.
Volpi premette che “il Fertility Day di per sé servirà a poco”, è il segno però di un’attenzione finalmente sorta all’interno del mondo politico intorno a questo “grave problema”.
E secondo lo statistico, il perno del problema è proprio l’età in cui le donne decidono di voler mettere al mondo il primo figlio. Di qui la sua proposta: abbassare l’età media del matrimonio di cinque anni, dagli attuali 32 ai 27-28.
Del resto – rileva Volpi – “la fecondità è massima intorno ai 18-20 anni, si tiene alta fino ai 27-28 e poi, intorno ai 30, comincia a decadere fino a perdere l’80% della sua forza all’arrivo dei 40 anni”.
Pertanto, se la donna italiana continua a entrare nell’ordine di idee di diventare madre a 32-33 anni, “altrettanto mediamente avrà un figlio, un solo figlio”. Infatti, “anche se ne volesse un secondo, incontrerebbe evidenti difficoltà”.
La “terapia” indicata da Volpi nell’abbassare l’età matrimoniale delle donne, passa anzitutto per l’università. Egli reputa “folle” che gli studi universitari tendano a “prolungarsi sempre più nel tempo”, facendo sì che una ragazza finisca l’iter accademico in un’età in cui la fertilità conosce una flessione.
Si tratta per l’appunto di ragazze che, se avranno un figlio, ne avranno verosimilmente uno solo. E la prevalenza del figlio unico – commenta laconico Volpi – “ci trascina filati alla tomba”. In un contesto in cui nell’ultimo anno sono nati appena 488mila bambini, si rende infatti necessario che le donne che mettono su famiglia, “abbiano almeno due figli”.
Per consentire quindi alle donne di procreare prima, Volpi invita ad “abbreviare il corso degli studi, concentrando i programmi, accorciando i percorsi, avvicinando già dall’università il mondo del lavoro”.
È consapevole, Volpi, che la sua proposta verrà interpretata come una sgradevole provocazione dai fautori radicali dell’autodeterminazione delle donne. Ma che l’elemento anagrafico sia determinante nella crisi delle nascite è – soggiunge – “una scoperta dell’acqua calda”, che “solo in Italia diventa un motivo di polemica”.
Per Volpi “chi ha a cuore le sorti del Paese non può non preoccuparsi della crisi demografica”, che rischia di portarci “all’estinzione”. Chi invece si cimenta a proferire giudizi negativi su iniziative pro-natalità, o è un ignaro oppure – commenta Volpi senza giri di parole – “è un egoista a cui non gliene importa nulla”.
Per inciso. È forse impossibile dimostrare che non si tratti solo di un caso, ma in Danimarca, a un anno dalla messa in onda dello spot a favore della fecondità, c’è stato un boom di nascite: 1.200 in più rispetto a 12 mesi prima.

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Federico Cenci

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