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Colombia. Manifestazioni a Bogotá per festeggiare l’accordo tra governo e Farc

L’accordo chiude la più lunga guerriglia militare al mondo che ha ucciso oltre 200mila persone. Il presidente Santos: “È l’inizio della fine della sofferenza del nostro popolo”

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Centinaia di persone sono scese in piazza ieri a Bogotá, per celebrare l’annuncio dell’accordo di pace finale tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), raggiunto grazie alla mediazione del presidente cubano Raúl Castro. Un accordo che pone fine a quello che è stato la più lunga guerriglia militare al mondo che ha ucciso oltre 200mila persone.
“È l’inizio della fine della sofferenza del nostro popolo” ha detto ieri, in un discorso alla Nazione, il presidente Juan Manuel Santos.  L’intesa — ha aggiunto — sarà sottoposta all’approvazione dei cittadini attraverso un referendum che si svolgerà il prossimo 2 ottobre.
Lo storico accordo – sottolinea L’Osservatore Romano – è stato salutato dalla comunità internazionale come un passo decisivo verso la pace e la stabilità della Colombia. Basti pensare al fatto che dei 47 milioni di colombiani, più di un quarto è stato in qualche modo colpito dalla guerra con le Farc, che ha coinvolto appunto ribelli, gruppi paramilitari e truppe governative.
Secondo i termini dell’accordo, il cui testo definitivo viene presentato oggi in Parlamento, i guerriglieri che accetteranno di dichiararsi colpevoli non andranno in prigione e potranno scontare una pena più leggera con “lavori a favore della comunità”. L’accordo prevede anche un forte impegno del governo a favore delle zone rurali, e maggiori diritti per i partiti politici più piccoli, come richiesto dalle Farc, che in cambio garantiscono il disarmo della guerriglia e la cooperazione con le autorità per l’eliminazione della produzione ed esportazione di sostanze stupefacenti.
Dai sondaggi emergono alcune critiche all’accordo da parte della popolazione. I colombiani sono infatti profondamente divisi su cosa concedere ai ribelli, sulle conseguenze giudiziarie che questi dovrebbero affrontare, sul fatto che i 7mila combattenti delle Farc consegnino o meno le loro armi e sull’opportunità che i ribelli smobilitati possano o meno ricevere incarichi elettivi.
Chi abita nelle città — riporta la stampa specializzata citata sempre dal quotidiano vaticano — lontano dalle remote zone rurali e dalle giungle, dove si è svolta gran parte del conflitto, prova sentimenti ambivalenti rispetto alle trattative di pace e sembra più preoccupato da temi come l’impiego, l’istruzione, la copertura sanitaria e l’inflazione in crescita nel paese. A ciò si aggiunge la scarsa qualità dell’informazione sul processo di pace e sui termini precisi dell’accordo con le Farc. 
Il dissenso nei confronti dei negoziati di pace è guidato dal principale partito d’opposizione, il Centro democratico, dell’ex presidente Álvaro Uribe.  Da capo dello Stato, Uribe attuò un approccio molto duro alla lotta ai gruppi armati, sferrando una serie di colpi che letteralmente decimarono le Farc. Se al suo arrivo al potere la guerriglia poteva contare su 24mila uomini, al passaggio di consegne con Santos questa disponeva di sole 7mila unità.
Tuttavia, il presidente Santos si dice “fiducioso” del fatto che a ottobre prevarrà il “sì”.

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ZENIT Staff

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