Mapuche

Mapuche - flickr

Cile. Bruciano le chiese, a rischio il dialogo con gli indios Mapuche

Prosegue il braccio di ferro tra Stato e nativi, mentre sullo sfondo si stagliano attacchi alle chiese che complicano la situazione

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Nella storia degli ultimi secoli il colonialismo europeo ha stravolto il volto di interi continenti, seppellendo culture ed opprimendo uomini nelle diverse parti del globo. Uno degli esempi più rinomati è il trattamento brutale riservato agli indios americani, cancellati da diverse zone delle proprie terre ancestrali, con i pochi sopravvissuti oppressi e discriminati.
Tra questi una menzione particolare meritano i Mapuche, il cui nome significa “Popolo della terra”, originari del Cile centro-meridionale. Essi hanno contrastato le mire espansionistiche dell’impero Inca prima e combattuto valorosamente i conquistadores spagnoli per ben tre secoli, sempre hanno difeso i territori ancestrali e la propria cultura.
Ma il punto di svolta negativo della loro storia avvenne alla fine del XIX secolo, quando cedettero alle pressioni dello Stato cileno, divenuto a inizio Ottocento indipendente dalla corona spagnola, che incorporò la regione dell’Araucanìa, cuore geografico della popolazione Mapuche. Da quel momento si assistette ad un vero e proprio genocidio che portò i Mapuche a contare meno di 30mila individui contro il circa mezzo milione precedente la loro annessione allo Stato cileno.
Terminato il dramma del loro sterminio, il numero dei Mapuche è cominciato a crescere, fino a superare quota 600mila nel nuovo millennio (con altri 300mila di loro che vivono nella confinante Argentina). Nonostante questo dato, le condizioni degli indios in Cile restano durissime: le loro terre, tra le più ricche del Paese, sono state incamerate dai grandi latifondisti e dalle multinazionali, disposti a soffiare sul fuoco dello scontro pur di difendere i propri interessi.
È in questo clima che dall’inizio dell’anno ben 17 chiese cristiane, sia cattoliche che protestanti, hanno subìto attacchi incendiari, facendo pensare ad una responsabilità dei Mapuche, che denunciano il furto delle terre di cui sono stati vittime. Tuttavia non pochi sono i dubbi sugli attacchi di questi mesi, soprattutto alla luce delle ferme parole di condanna che molti capi nativi hanno espresso nei confronti dei raid.
Il sospetto, ventilato anche dagli ambienti cattolici della regione, è che si tratti di una manovra per fermare il tentativo di dialogo tra gli indigeni ed il governo cileno, così da impedire una riscrittura dello status quo. Il pensiero di fondo è che tali attacchi danneggino in primis gli stessi indios, molti dei quali sono peraltro di religione cattolica. Alcuni osservatori hanno quindi esternato le proprie perplessità in merito, soprattutto considerando la forte presenza della Chiesa in quella regione.
Tuttavia negli ultimi mesi sono emersi molti segnali di insofferenza verso le autorità ecclesiali, considerate discendenza dei coloni. Esemplificative a tal proposito – come informava l’agenzia Fides nell’aprile scorso – le dichiarazioni di un leader nativo, a seguito dell’occupazione simbolica del Seminario Maggiore San Fidel da parte di alcuni Mapuche: “La Chiesa ha dimostrato di essere un membro in più dello Stato, e non ci sarà pace fino a quando la Chiesa non sarà espulsa dal territorio Mapuche”.
Illuminante in tale direzione anche la dichiarazione pubblica dei Mapuche durante una manifestazione tenuta a Valdivia nello stesso mese, avente come bersaglio le nuove leggi antiterrorismo e la repressione governativa. Tra le numerose rivendicazioni ed accuse presenti nel documento si può infatti leggere: “Denunciamo la Chiesa Cattolica che oggi come nel periodo spagnolo attraverso l’evangelizzazione, durante tutta la colonizzazione e durante la dittatura militare, si mette a disposizione della repressione contro il Popolo Mapuche”.
Diventa quindi difficile immaginare a breve una soluzione pacifica e condivisa dei contrasti che affliggono l’Araucanìa.

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Marco Valerio Solia

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