Vincent Candela e Herbert Prohaska

Vincent Candela e Herbert Prohaska - Foto di Pietro Nissi

Vincent Candela, un campione che accende speranza nei meno fortunati

L’ex terzino di Roma e Nazionale francese ha fondato una Onlus con cui aiuta chi ha bisogno “a crescere attraverso lo sport”. E vanta un legame con la parte più calda del tifo

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Il mestiere del calciatore elargisce soddisfazioni che per tanta gente comune restano confinate tutta la vita nell’alveo dei sogni.
Ma ottenere certi traguardi non equivale a vincere alla lotteria. Il percorso che separa un giovane appassionato di rincorrere un pallone alla consacrazione nel mondo del calcio, è costellato di tappe che si raggiungono solo se si possiedono determinate caratteristiche.
Concorrono all’obiettivo il talento e la struttura fisica, certo, ma anche la grinta e lo spirito di sacrificio, nonché la presenza di bravi allenatori e di una famiglia responsabile alle spalle.
C’è poi un altro elemento, sovente poco considerato: l’apporto dei tifosi. Il calore di queste masse di appassionati è come un propulsore che spinge le gambe a correre di più, quel tanto che basta a vincere una partita importante, a conseguire un risultato che può segnare una svolta nella carriera di un calciatore.
Ma non è frequente che tra i più celebri di questi vi sia granché di riconoscenza verso il tifo. Fa eccezione Vincent Candela. Non un calciatore qualsiasi, ma uno dei più forti terzini sinistri della storia recente del calcio.
Ha alzato al cielo una Coppa del Mondo vinta con la sua Nazionale, quella francese, nel 1998. Tre anni più in là, nel 2001, è riuscito insieme ai suoi compagni nell’impresa di far vincere uno Scudetto alla Roma dopo tanto tempo. Successi che restano scolpiti nella sua memoria, come le immagini della Curva Sud gremita, inneggiante la squadra giallorossa.
Non perde occasione, Candela, per ribadire la sua riconoscenza ai “magnifici” tifosi della Roma, “senza i quali nessuno di noi sarebbe mai stato quel che oggi è”. E il legame con quel catino rumoroso e colorato non si è spezzato. Insieme a loro, alla parte più calda dei romanisti, questo francese dal carattere espansivo e dal sorriso contagioso porta avanti, ora che si è ritirato dall’attività professionistica, alcune iniziative di solidarietà.
Il suo sguardo vispo si rivolge volentieri verso il passato di calciatore, ma altrettanto di buon grado Candela guarda a chi è meno fortunato, soprattutto ai bambini, e cerca di mettere a disposizione le sue qualità e la sua fama per aiutarli.
Intervistato da ZENIT, Candela ripercorre la sua carriera, spiega l’importanza che assumono nella formazione umana lo sport e nello sport le relazioni umane. E racconta l’impegno nel sociale, con la nascita della sua Fondazione, la Trentadue Onlus, legata in modo inscindibile alla Roma squadra di calcio e a Roma città.
Quella che chiama con orgoglio, quasi fosse romano doc, la Città Eterna la domina con la vista dalla sua villa situata ai piedi dei Castelli Romani. La prima volta che ci mise piede, a Roma, fu un turbamento.
Era il gennaio ’97, quando passò dalla squadra di Guingamp, una silenziosa località della Bretagna, alla Roma. “Venivo da una cittadina molto piccola, con tanti tifosi che ci seguivano ma durante la settimana tutto scorreva sereno e tranquillo”, racconta. Tranquillità che è invece negata a chi veste la maglia della Roma. “Quando sono sbarcato a Fiumicino, ho trovato la Polizia pronta a scortarmi per entrare in auto”, tanti erano i tifosi ad attenderlo. “Lì ho capito che tutto sarebbe stato diverso, ampliato all’ennesima potenza – dice -. Una sensazione nuova ma molto bella”.
Talmente bella da essergli penetrata presto nel cuore. In modo indelebile. Candela ama le sue radici e torna spesso in Francia, mantiene l’accento tipicamente transalpino, ma ammette che “Roma è una città speciale, con mille problemi ma con pregi ineguagliabili”. Qui ha conosciuto sua moglie e sono nati tre suoi figli.
Finita nel 2005 l’esperienza con la maglia giallorossa, ha proseguito la carriera altrove per un paio d’anni. Poi, appesi gli scarpini al chiodo, si è dato al sociale. Nel 2013 ha creato la Trentadue Onlus. “Ora organizzo eventi per raccogliere fondi ed aiutare i bambini che hanno le famiglie in difficoltà economica, a crescere attraverso lo sport – spiega -. Sono convinto che chi ha la fortuna di praticare sport da bambino, si ritrova molte più opportunità nella vita. Lo sport ti aiuta a socializzare, ad accettare le differenze, ti rende migliore. Ecco, io voglio provare a dare questa opportunità anche ai meno fortunati”.
Uno dei maggiori eventi per raccogliere fondi che lui ha ideato è “Voi Siete Leggenda”. Una partita tra vecchie glorie della Roma, in una cornice di pubblico da grandi occasioni. Il 29 dicembre scorso allo Stadio Olimpico la prima di queste iniziative, che ha suscitato quella nostalgia che scioglie i cuori dei tifosi e ha contribuito a un nobile scopo sociale.
“È stato un modo per dire grazie ai magnifici tifosi della Roma, a cui noi calciatori dobbiamo esser riconoscenti”, spiega Candela. Che aggiunge emozionato: “Da qui ‘Voi siete Leggenda’, perché lo sono davvero, loro, delle leggende”.
Leggende attualmente svilite. La stagione calcistica appena passata si è distinta anche, purtroppo, per l’assenza dei tifosi delle Curve dallo Stadio Olimpico, in segno di protesta per la costruzione di barriere che dividono i due settori più caldi del tifo.
Un campione d’Italia con la maglia della Roma come Candela, abituato a ricevere la carica del tifo giallorosso, racconta di aver vissuto “molto male” questa situazione. “È bruttissimo entrare allo stadio e sentire quel silenzio – continua -. La Curva Sud la conoscono in tutto il mondo. La Roma sta perdendo un pezzo di storia”.
L’ex terzino non vuole entrare nel merito delle decisioni di nessuno – prefetto, società o sostenitori – ma spera che si faccia qualcosa “per risolvere questo problema”, perché “la Roma ha bisogno dei suoi tifosi ed i tifosi hanno bisogno della loro Roma”.
Che le due componenti siano inseparabili lo si è visto a “Voi Siete Leggenda”, quando il richiamo dell’appartenenza a questa squadra ha fatto tornare allo stadio i sostenitori della Sud. “Mi ha riempito di gioia, orgoglio, onore – afferma Candela -. Davvero immensi, commoventi i ragazzi ad aver deciso di tornare”.
Non lesina poi una critica: “Purtroppo il resto dello Stadio non ha risposto come doveva. Tante volte ho sentito criticare i ragazzi della Sud per questa scelta. Fiumi di parole… Poi, al momento che una festa poteva riunire il popolo giallorosso, proprio chi parlava… non si è presentato. Non è stato bello soprattutto per i ‘Roma Club’, ai quali credo di aver sempre dato tutto nella mia carriera. Ma questa volta, loro hanno deciso di non ridare qualcosa a tutti noi”.
E se si pensa alla carriera di Candela, torna fulgido il ricordo dello Scudetto vinto nel 2001. Il segreto di quel gruppo vincente? Secondo il campione francese “l’unità d’intenti, anche fuori dal rettangolo verde”. Racconta: “Ci divertivamo in campo, ma eravamo – e lo siamo tuttora – molto amici fuori. Solo con un grande gruppo si possono ottenere risultati”.
I rapporti umani, appunto. Ciò che Candela, ormai da spettatore esterno, rileva che manchino nel calcio d’oggi. “Ognuno pensa al proprio orticello, si cerca sempre meno il contatto con gli altri – commenta -. Ci si chiude con i giochi elettronici o davanti alla tv. E quando si hanno problemi, si vuole risolverli da soli”.
Una piaga, quella dell’individualismo, che riguarda la società tutta. Spiega che “i valori devono tornare a far parte della nostra vita e in questo, lo sport, può aiutare tutti, piccoli e adulti”. La sua carriera e il suo impegno sociale sono lì a testimoniarlo.

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Federico Cenci

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